Rivista Anarchica Online
Anno zero dopo Mao
di Emilio Cipriano
La lotta per il potere nella Cina-dopo-Mao si sta definendo in modo abbastanza chiaro. Nonostante le
molte perplessità e i molti interrogativi a cui non si riesce a dare una risposta esauriente, l'estromissione
dalla scena politica del "gruppo di Sciangai" (formato dalla vedova di Mao, Ciang Cing, da Wang Hung-wen, giovane leader emerso durante la rivoluzione culturale, da Ciang Ciun-ciao e da Yao Wen-yuan,
tutti membri del Comitato permanente, il massimo organo dirigente) sta a comprovare che l'esito dello
scontro si è ormai risolto a favore del primo ministro Hua Kuo-feng.
Che cosa significa questa vittoria e quali riflessi avrà sulla linea politica della Cina. Per dare un abbozzo
di risposta a questi interrogativi, nonostante le difficoltà interpretative, bisogna innanzitutto centrare la
nostra attenzione sulle due linee di sviluppo economico che sono sempre state presenti nella vita della
Repubblica Popolare: due linee che si sono alternate alla guida del Paese e per le quali i sostenitori
dell'una e dell'altra si sono spesso scontrati aspramente. L'una può essere definita come quella della
"politica al posto di comando", che appoggiandosi ad una "tecnologia intermedia a portata delle masse
e raggiungibile con l'intervento delle masse" configura un modello di sviluppo a tempi lunghi ma in grado
di coinvolgere maggiormente la popolazione creando una industrializzazione decentrata che non
permetta la creazione di un eccessivo diaframma tra città e campagna. L'altra linea di sviluppo punta
invece su una forte industrializzazione, con la creazione di grandi complessi a tecnologia avanzata, con
la istituzionalizzazione delle funzioni tecniche, con il conferimento di più ampi poteri alla tecnocrazia
aziendale e una maggiore possibilità decisionale alla grande impresa.
Lo scontro tra queste due linee ha caratterizzato la vita della Repubblica Popolare Cinese, superando
la pura contrapposizione economica, e ha assunto connotazioni politiche perché, in definitiva, si tratta
di due diversi modi di gestire il potere. La rivoluzione culturale aveva portato in auge la prima tendenza
tanto che Liu Shao-ci, sostenitore della forte industrializzazione, era stato deposto da ogni carica
scomparendo dalla scena politica. Non a caso la rivoluzione culturale aveva portato alla carica di
vicepresidente del partito il giovane leader di Sciangai, Wang Hung-wen. Morto Mao, che era riuscito
a contemperare le esigenze e le spinte delle due tendenze, si è aperta la lotta per la successione e gli eredi
della rivoluzione culturale hanno cercato di assicurarsi l'appoggio dell'esercito per poter prevalere. Ma
la manovra non è riuscita, anzi l'esercito si è schierato con l'ala del partito che fa capo a Hua Kuo-feng
e per il gruppo di Sciangai è stata la fine. Nonostante questi ultimi controllassero i mezzi d'informazione,
il ruolo decisivo è spettato all'esercito, quell'esercito che sotto la guida di Lin Piao è divenuto un
elemento determinante della politica cinese. Solo l'abilità di Mao e il suo enorme prestigio erano riusciti
nel 1971 a neutralizzare la manovra politica di Lin Piao, ma la sua defenestrazione non aveva influito
sulle nuove strutture dell'esercito, sulla "nuova psicologia" dei comandanti, i quali avevano ormai
chiaramente compreso quale peso avevano sulla vita politica del Paese.
L'esercito cinese non riesce a gestire direttamente il potere stante la complessità e l'articolazione delle
strutture socio-economiche, ma interviene come potentissimo "gruppo di pressione" imitando in ciò gli
eserciti delle nazioni industrialmente avanzate. Già durante la rivoluzione culturale l'esercito era divenuto
l'arbitro della situazione e in effetti la forza che maggiormente aveva saputo trarre benefici dalla
rivoluzione era stato proprio l'esercito. Oggi, con l'appoggio dato a Hua Kuo-feng, i militari confermano
il suo potere e vanificano i tentativi dell'opposizione.
Con la sconfitta dei dirigenti radicali la Cina molto probabilmente dovrebbe vedere un accentuarsi delle
iniziative economiche miranti a sviluppare in tempi brevi l'industrializzazione del Paese, con il
riconoscimento ufficiale, e non solo di fatto, dei privilegi dovuti alla "nuova borghesia burocratica" già
duramente attaccata dai giovani di Canton del collettivo Li Yi-che nel 1973. Il testo dei tazebao di
questo collettivo è un esempio del dissenso che certamente cova nella società cinese, nonostante non sia
ammessa, per principio, nessuna forma di opposizione. Il caso di questo collettivo è estremamente
interessante perché attaccava da sinistra anche il "gruppo di Sciangai" denunciando il fatto che
nonostante la socializzazione della proprietà non fosse stato socializzato il potere. I "Li Yi-che"
mettevano sotto accusa i quadri del partito (definiti "nuovi mandarini"), i tecnici dirigenti, gli intellettuali
superiori che ricevono elevati salari e trattamenti speciali. Questi dirigenti operano - secondo i "Li Yi-che" - una redistribuzione di beni e di poteri a tutto loro vantaggio e ne fanno oggetto di baratti di
potere. I giovani di Canton mettevano in luce inoltre il riformarsi di un diritto ereditario che si
concretizza non solo nella trasmissione ai figli di beni, ma nel trasmettere agli eredi la posizione
privilegiata all'interno delle strutture socio-economiche.
Nonostante l'esemplarità dei Li Yi-che, la dissidenza in Cina è un fenomeno isolato. In questi giorni si
è espressa a Sciangai strappando i tazebao dei sostenitori di Hua Kuo-feng, ma la possibilità di riuscire
ad essere una controforza è, allo stato attuale, impensabile.
Hua Kuo-feng si appresta dunque a dirigere "l'immenso paese" dopo aver eliminato i concorrenti di
sinistra e neutralizzato le posizioni troppo scopertamente moderate, collocandosi in una posizione di
centralità molto simile a quella ricoperta da Mao Tse-tung.
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