Rivista Anarchica Online
Anatomia di una lotta
di Angelo Gaccione
Occupazione di case a Ponte Lambro
Giugno 1977. A Ponte Lambro cinque famiglie proletarie hanno ottenuto una casa, con la semplice
presentazione della documentazione di rito che il Comune richiede in questi casi. Niente occupazione,
niente cortei, niente lotte. Hanno dimostrato il proprio stato di bisogno e, in poco più di un mese, sono
state sistemate. Il fatto può sembrare incredibile ma è vero. Però, non è stato provocato da un'improvvisa
generosità dell'assessore Cuomo, responsabile a Milano dell'Edilizia Popolare, e nemmeno da un "colpo
di fortuna" inspiegabile. È il frutto ultimo di una lotta, dura, difficile, lunga, che i proletari di Ponte
Lambro hanno portato avanti con coraggio e costanza e che, alla fine, ha dato i suoi frutti. Una lotta
iniziata molto tempo prima, spontaneamente, che si è via via autoorganizzata, autodiretta, ha ampliato
l'adesione, ha coinvolto il quartiere, si è politicizzata. Essa ha portato alla formazione di un Comitato
di Occupazione, deciso e combattivo, che è riuscito, nel luglio '76, ad ottenere le prime assegnazioni di
alloggi. Ed è stata proprio la presenza di questo Comitato, a "consiliare" all'assessore Cuomo la rapida
sistemazione delle cinque famiglie. Ma procediamo con ordine.
Prime lotte
A Ponte Lambro, un primo embrione di organizzazione di base per la lotta per la casa risale al 1972-73,
sotto forma di un Comitato dell'Unione Inquilini. In esso, grazie al compagno anarchico Donatiello, uno
dei più amati e conosciuti compagni del quartiere, era filtrato un discorso abbastanza libertario. La
maggioranza dei militanti del comitato era composta però da aderenti ad Avanguardia Operaia. Su una
pratica di azione diretta il comitato crebbe e diventò un organismo di massa coinvolgendo gli inquilini
sul problema delle case inabitabili. Si organizzò lo sciopero dell'affitto in alcuni caseggiati, si estese il
rifiuto di pagare le spese al padrone di casa, si fece una manifestazione organizzata dai lavoratori stessi
con comizi in quartiere, mostre fotografiche sulle case, ecc. Vennero occupate simbolicamente alcune
aree fabbricabili, per ribadire il diritto alla casa per i lavoratori, con affitto popolare pari al 10 per cento
del salario dei capi famiglia. Le case, però, erano di là da venire. Ci vollero più di due anni prima che due
delle quattro palazzine previste dal piano comunale fossero pronte. Questo provocò un certo riflusso
nella capacità di mobilitazione del Comitato: nell'attesa logorante che gli alloggi fossero ultimati, la
volontà di lotta diminuì alquanto e la rete di solidarietà e collaborazione tra gli abitanti del quartiere si
allentò. Inoltre, i militanti di AO tentarono alcuni "colpi" maldestri, come il tentativo di imporre il
tesseramento ai lavoratori o di trascinarli su di un terreno di lotta legata alle direttive della loro
organizzazione. Questo fatto causò la sfiducia degli abitanti di Ponte Lambro verso il Comitato, e quindi
il loro disinteresse. I militanti di AO, visto che non potevano tirare acqua al loro mulino, abbandonarono
il quartiere.
La prima occupazione
Nell'estate del 1975 gli occupanti di Via Negrelli e di Via Forze Armate vengono dirottati a Ponte
Lambro per lasciare libere le case ai legittimi assegnatari, e sistemati nelle due palazzine già ultimate. Per
gli abitanti del quartiere si prospetta una nuova lunga attesa. Nel frattempo il Comitato Unitario (PCI,
PSI, ACLI) fa solo chiacchere, resta sempre nel campo delle promesse, fa indagini tra le famiglie per
sapere chi può pagare più di 60 mila lire al mese di affitto. Si susseguono tuttavia i "rilievi e
sopralluoghi". Questi inutili chicchirichì dei burocrati e la situazione di sfiducia prodottasi verso le parole
magiche fa nascere la volontà di 26 famiglie di prendersi la casa con la lotta. La notte del 30 dicembre,
approfittando della nebbia, vengono occupate le due palazzine ancora libere quasi ultimate nel frattempo.
È in questa occasione che nasce (di fatto, senza alcuna sanzione ufficiale) il Comitato di occupazione
di Ponte Lambro, come organismo dettato dalla volontà di lotta degli abitanti del quartiere.
La mattina seguente c'è lo sgombero da parte della polizia solertemente chiamata dai burocrati del PCI.
Nei giorni seguenti arrivano altri assegnatari da altre zone perché tra le altre brillanti idee gli assessori
imitano la pratica militare di mandare i siciliani a Torino e viceversa, così gente di Trezzano è sbattuta
a Ponte Lambro e viceversa, lontana dal lavoro, dalle amicizie, dalle scuole. Questo sistema fa sì che
molti assegnatari rinuncino alla casa. Rimane comunque un'ultima palazzina libera, assolutamente
insufficiente per il quartiere. Il Comitato Unitario intanto depreca l'occupazione. Dà assicurazioni che
la palazzina sarà per i lavoratori di Ponte Lambro, per gli altri ci saranno case di risulta e quelle che
verranno ristrutturate dalla legge 167, perché come anche loro riconoscono, a Milano ci sono 40 mila
appartamenti sfitti. Molti ci credono ma altri sono disillusi. I 130 appartamenti rimasti non potranno
comunque coprire il bisogno del quartiere e del resto la manovra è troppo scoperta, in essi andranno solo
i raccomandati dei partiti e certamente i meno bisognosi. Infatti gira già la voce di un elenco stabilito
secondo questi criteri. È a questo punto che dopo un coordinamento più efficiente tra i lavoratori si
arriva ad una nuova occupazione.
Il 17 gennaio 1976
L'occupazione del 17 gennaio è molto più numerosa e compatta, il Comitato di occupazione è ora un
punto di riferimento della lotta proletaria. Nella notte le famiglie occupanti crescono rapidamente. I
giorni di occupazione rivelano una capacità magnifica da parte dei lavoratori di affrontare i loro problemi
e discuterli. Si pubblicizza con assemblee il motivo della lotta nel quartiere. Il solito bonzo del PCI (certo
Felisini) uno dei manovratori più squallidi del Comitato Unitario e membro dell'assegnazione, viene a
provocare gli occupanti ed è malmenato. Improvvisamente una rete di solidarietà si estende verso gli
occupanti. Gli occupanti di Via Negrelli e Via Bisceglie solidarizzano con la presenza fisica, altri
proletari pur avendo la casa partecipano alle assemblee e danno coraggio alla lotta. Da tutti gli interventi
emerge la volontà di continuare la lotta. Tra gli episodi curiosi citiamo la rabbia di una vecchia militante
comunista napoletana iscritta per 30 anni al partito che ha pubblicamente affermato che non avrebbe più
votato per il PCI, che la casa l'aveva avuta con l'occupazione e che questa era l'unica via da seguire. Un
comunista calabrese che aveva sempre comprato "L'Unità" ha messo alla porta un giovane della FGCI
che era andato a vendergliela.
Per parte sua l'Unione Inquilini trovandosi nella Giunta di sinistra ha dovuto assumere una posizione
codina e conservatrice difendendo la Giunta Comunale e sostenendo che la lotta era sbagliata, che la
legge 167 avrebbe permesso un esperimento di risanamento ed esproprio delle case malsane. Di quanto
fossero utopistiche queste idee abbiamo oggi una prova eloquente. Il Comune non è riuscito nemmeno
ad impedire che le catapecchie su cui aveva fatto apporre il sigillo di inabitabilità venissero nuovamente
affittate dai padroni di casa. Infatti appena usciti i vecchi inquilini i ghetti sono stati affittati a immigrati
a prezzi più alti e nello stesso stato di prima. Altro che volontà di risanamento! La speculazione
padronale trova legittimo appoggio nella complicità ammiccante del Comune. Del resto noi eravamo ben
coscienti che le resistenze padronali, le pressioni degli interessi economici e politici che ci sono dietro,
le difficoltà nell'avere il finanziamento, il deficit del Comune avrebbero impedito che questo piano
passasse, ammessa pure la buona volontà. Se a ciò assommiamo il tempo di realizzazione i lavoratori
avrebbero dovuto aspettare le calende greche.
Il 19 gennaio, su richiesta della giunta di sinistra, oltre 500 tra poliziotti e carabinieri sgombrano per la
seconda volta gli occupanti di Ponte Lambro, con la consueta delicatezza. Tutti si recano allora
dall'assessore comunista Cuomo che fa una solenne dichiarazione: le case verranno assegnate alle
famiglie numerose (con 6 o più componenti) e bisognose (con reddito inferiore ai 6 milioni annui). Non
si faranno più intrallazzi di sottogoverno. Il giorno seguente viene smentito tutto. L'assessore ha già in
mano una lista di famiglie compilata dal Comitato Unitario su manovre del PCI, le quali non rispondono
affatto ai requisiti richiesti. Le famiglie del Comitato di Occupazione sono furenti. Le continue assemblee
chiariscono bene ai proletari le sporche manovre della Giunta e del Comitato Unitario. Il quartiere viene
riempito di manifesti che denunciano la situazione. Viene richiesta una graduatoria pubblica delle famiglie
assegnatarie. Tutto ciò stravolge i piani dei galoppini e le case non vengono assegnate. Intanto nessuno
del Comitato di Occupazione paga più l'affitto.
La lotta si estende
All'assemblea del 21 gennaio tenuta dal Comitato Unitario il Comitato di Occupazione si reca in massa
per chiedere spiegazioni sulla lista delle famiglie, sui metodi seguiti per la scelta e per processare l'attività
delatoria del Comune. Le discussioni, gli interventi, non solo chiariscono le manovre dell'architetto del
Comitato Unitario ma finiscono per aprire gli occhi anche a parecchi di quelli che fanno parte di questo
organismo. Sotto accusa da tutte le parti i bonzi del Comitato Unitario ricorrono alla spudorata tattica
della calunnia come estrema difesa e cominciano ad accusare di fascismo i proletari del Comitato di
Occupazione. La rabbia dei compagni esplode istantanea e i bonzi sono costretti a chiudere
frettolosamente l'assemblea mentre la polizia è già sul posto. Il risultato più positivo è che circa metà
delle famiglie del Comitato Unitario si allea con quelle del Comitato di Occupazione, stanche degli
starnazzi inconcludenti dei loro leaders. Il Comitato di Occupazione allarga la sua influenza tra i
lavoratori. Gli occupanti di Via Forze Armate e di Via Negrelli che hanno avuto la casa a Ponte Lambro
dopo un anno di dure battaglie si alleano anch'essi e danno vita ad un Comitato per l'Autoriduzione
perché non ce la fanno a pagare l'affitto.
Le iniziative di lotta si moltiplicano. Il 24 gennaio i compagni di Ponte Lambro partecipano all'assemblea
di tutti gli occupanti di Milano e dintorni alla Palazzina Liberty di Dario Fo. Il 31 gennaio partecipano
al corteo degli occupanti che si conclude sotto Palazzo Marino. Dall'assemblea del 5 febbraio emergono
le seguenti proposte che una delegazione di massa si impegna a portare all'assessore: rifiuto di pagare
i mesi di affitto arretrato, contratto subito. Questo per quanto concerne il Comitato per l'Autoriduzione.
Per quanto riguarda il Comitato di Occupazione viene annunciato che si procederà a una nuova
occupazione se entro la fine di marzo l'assessore non avrà (come promesso) accolto la domanda di
assegnazione di tutte le famiglie. Come abbiamo detto all'inizio, le prime assegnazioni hanno avuto corso
nel mese di luglio. Fino ad allora, la lotta, quotidiana, per impedire al comune di rimangiarsi le promesse,
ha visto episodi che hanno del grottesco. Cuomo non si faceva mai trovare, non andava agli
appuntamenti, e i compagni di Ponte Lambro hanno dovuto fare veramente i salti mortali per incontrarlo
e metterlo di fronte alle proprie responsabilità. Sono stati costretti a picchettare gli uffici dell'assessorato,
la porta dell'ascensore, perfino l'auto personale del burocrate sfuggente ed infido. Ma anche questo è
servito a qualcosa: ad assaporare fino in fondo la beffa e l'arroganza del potere, a capire che ogni potere
è nemico dei lavoratori, anche se si dice comunista.
Ponte Lambro, quartiere proletario
La resistenza del Comune a sistemare decentemente le famiglie di Ponte Lambro è tanto più scandalosa
se si tiene conto della natura del quartiere, che è abitato esclusivamente da proletari. Per la maggior
parte, si tratta di immigrati meridionali (campani, calabresi, sardi) che lavorano nelle fabbriche che
sorgono numerose all'intorno: Atlantic, Fantini-Cosmi, Montedison, ecc. oppure impiegati con varie
mansioni all'Ortomercato. Sono tutte famiglie numerose, in media 6/7 persone, e, fino a quando non
hanno ricevuto gli appartamenti in assegnazione, sono state costrette ad arrangiarsi nelle catapecchie
malsane che rappresentano la quasi totalità delle abitazioni di Ponte Lambro: vecchi cascinali riattati,
umidi, senza riscaldamento, privi di servizi decenti, affollati (una famiglia in 1/2 stanze) e per di più
affittati a prezzi esorbitanti da proprietari criminali e senza scrupoli. Di servizi sociali non si parla
neppure. Mancano scuole, asili nido, i trasporti pubblici sono carenti e questo è grave soprattutto se si
pensa che nel quartiere non ci sono negozi: per fare acquisti bisogna arrivare fino in Viale Ungheria (due
fermate di autobus, 20 minuti di strada a piedi). In compenso il quartiere vanta un fiume pluricolorato
dai fetidi scarichi della Montedison (un vero attentato giornaliero alla salute) per non contare la melma
della roggia Certosa che con l'inondazione dell'ultimo gennaio ha invaso le case. In questo ambiente
idilliaco e sereno, nessuna delle forze politiche ufficiali ha mai mosso un dito. Il PCI, che è, in pratica,
il partito di "sinistra" più organizzato e presente a Ponte Lambro, si è occupato soltanto della vendita
de "L'Unità" o di qualche squallida festa, con gare di bocce o gite in montagna. Della vita degli abitanti
(tra i quali vi sono pure molti iscritti), della loro salute, non si è mai interessato, avallando così la politica
comunale di tolleranza dello sfacelo urbanistico, allo stesso modo della vecchia amministrazione di
centro-sinistra.
Qualche considerazione finale
Tutto ciò non fa che aumentare l'importanza delle iniziative degli abitanti di Ponte Lambro. Abbandonati
a se stessi, considerati una semplice "riserva di voti" da chi (almeno in teoria) dovrebbe difenderne gli
interessi, hanno fatto da soli. Da soli, con l'azione diretta, hanno ottenuto quello che anni ed anni di
deleghe e "legalità" non sono mai stati in grado di dare. L'azione diretta, dunque, paga. E non solo in
termini di conquiste. Paga in termini di crescita dei livelli di consapevolezza rivoluzionaria, perché
insegna, come già si accennava poc'anzi, a scoprire i propri nemici e a combatterli. Se le cose stanno così
le vittorie diventano non momenti di rilassamento della tensione di lotta, ma il punto di partenza per
nuove iniziative spontanee, più avanzate perché fondate su maggior consapevolezza, maggior fiducia
in se stessi. Non a caso, a Ponte Lambro si sta sviluppando, come conseguenza della solidarietà nata
durante le occupazioni, un vasto movimento di autoriduzione: contro gli affitti, le bollette della luce, del
gas ecc. L'assessore Cuomo (o chi per lui) può ricominciare a preoccuparsi. La questione Ponte Lambro
non è ancora finita.
|