Rivista Anarchica Online
Un figlio di Stalin abita a Milano
di Paolo Finzi
Nel venticinquennale della morte di Stalin (marzo 1953) alcuni partitini marx-lenin-stalin-maoisti ne hanno voluto ricordare la figura affiggendo - tra l'altro - migliaia di manifesti
recanti, sovrapposta al suo volto, la scritta "Stalin vive nelle lotte del proletariato per il
socialismo ed il comunismo". Che Stalin, in effetti, non sia morto del tutto ma sopravviva
nella pratica politica dei suoi seguaci, s'è fatto carico di dimostrarlo il Movimento dei
Lavoratori per il Socialismo (M.L.S.) il cui servizio d'ordine milanese ha aggredito un
gruppo di compagni che nel quartiere Ticinese affiggevano un manifesto polemico con
l'M.L.S. e ha ridotto in fin di vita Walter Pagliano, un simpatizzante di Lotta Continua che
faceva parte del gruppetto. Altre prevaricazioni ed aggressioni, sempre avvenute in queste
ultime settimane, hanno avuto elementi stalinisti come autori e militanti rivoluzionari come
vittime.
La lezione storica dello stalinismo
La violenza brutale, a volte addirittura criminale, che ha caratterizzato queste ultime
"azioni politiche" degli stalinisti è stata condannata duramente nei vari ambiti della sinistra
rivoluzionaria. Molti compagni/e, militanti e non delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare, sono rimasti profondamente colpiti da queste aggressioni che hanno
opposto "compagni" a compagni. Dopo i fatti del quartiere Ticinese, per esempio, Lotta
Continua ha dichiarato di considerare rotto qualsiasi legame con l'M.L.S., con il quale tra
l'altro condivide la gestione del comitato nazionale per la difesa dei referendum.
La brutalità che ha caratterizzato questi episodi dovrebbe ripugnare tutti gli esseri umani,
compresi quelli che fanno parte del servizio d'ordine di un'organizzazione stalinista. Invece
non è stato così. Perché? si sono chiesti e si chiedono molti compagni: per rispondere a
questo interrogativo è necessario rifarsi, secondo noi, alla matrice ideologica degli
aggressori, perché solo il fanatismo per un'ideologia intrisa di violenza può spingere dei
giovani (chiamarli "compagni" ci ripugna) a massacrare così bestialmente degli altri
compagni.
Fare i conti con lo stalinismo presuppone un suo duplice esame, come esperienza storica e
come pensiero. Quest'ultimo termine, evidentemente, è un eufemismo, dal momento che
Stalin di vero e proprio "pensiero" ne ha prodotto davvero poco; in compenso ha sempre
preteso di essere considerato l'interprete per eccellenza del marxismo-leninismo, oltre che
il suo realizzatore più efficace. Per un quarto di secolo questa sua pretesa è stata
assecondata da quasi tutto il movimento comunista internazionale, che l'ha osannato
rifiutando qualsiasi critica al suo operato. Morto Stalin, si è iniziato in casa marxista un
non disinteressato processo di "destalinizzazione" ideologica, giunto a tal punto che oggi
solo una piccola minoranza di marxisti (gli stalinisti, appunto) considera il dittatore
georgiano il più grande marxista-leninista di tutti i tempi. Questioni chiesastiche, che
lasciamo volentieri ai vari preti e difensori dell'ortodossia marxista leninista, ma che in
fondo ci interessano almeno un po': non foss'altro che per denunciare l'ennesima
mistificazione ideologica, che vorrebbe salvare il marxismo-leninismo scaricando tutte le
"colpe" sullo stalinismo.
La nostra modesta opinione è che lo stalinismo, in quanto "pensiero" ed in quanto pratica
politica, sia comprensibile solo se inquadrato nell'ambito del marxismo-leninismo: alla fin
fine è con quest'ultimo che, affrontando lo stalinismo, ci si ritrova prima o poi a fare i
conti.
Questi conti, invero, gli anarchici li hanno già fatti e chiusi oltre un secolo fa, ai tempi della
Prima Internazionale. Negli elementi essenziali della lucida critica bakuniniana al marxismo
sono già implicite tutte le successive elaborazioni dell'anarchismo e le sue lotte (spesso
disperate) contro l'involuzione dei processi rivoluzionari ad opera delle organizzazioni
marxiste. Il marxismo fin d'allora venne denunciato dagli anarchici come un'ideologia
autoritaria, accentratrice e tutto sommato controrivoluzionaria, funzionale tuttalpiù ad una
nuova classe di padroni - di cui allora si poteva solo preconizzare l'avvento, ma che oggi
esiste in tutta la sua concretezza.
Certo, Marx non aveva teorizzato lo sterminio sistematico di qualsiasi opposizione
rivoluzionaria, quale l'attuò poi Stalin; e neppure aveva propugnato la divisione del mondo
in due blocchi coesistenti, come fece invece Stalin a Yalta; e neppure nei suoi scritti pare
di poter trovare giustificazioni al patto russo-tedesco, alla colonizzazione di mezza
Europa, al sollecito riconoscimento del regime fascista (nel 1922 il regime bolscevico -
guidato da Lenin - fu tra i primi a riconoscere il regime fascista, all'indomani della marcia
su Roma). Eppure il pensiero di Marx già allora conteneva quegli elementi (il partito
unico, il rafforzamento della macchina statale, la pretesa scientificità, ecc.) che a posteriori
giustificheranno quella pratica controrivoluzionaria che avrà poi in Stalin il suo simbolo
più efficace.
A certo marxismo rivoluzionario (che denuncia nel leninismo il primo "tradimento" del
marxismo), al trotskismo (che data invece questo tradimento dall'avvento del potere di
Stalin), ad altre sette marxiste (che vedono invece nella politica del compromesso storico
la prima deviazione dal cammino rivoluzionario), gli anarchici hanno sempre opposto il
rifiuto di qualsiasi cedimento alla mitologia di una purezza originale del marxismo,
denunciando l'intima coerenza ideologica e storica tra marxismo, leninismo, stalinismo e
berlinguerismo.
Trotzky stalinista?
Un esempio storico di questa nostra convinzione - essere cioè lo stalinismo una legittima e
diretta filiazione del marxismo-leninismo - è dato dall'esame della figura dell'operato di
Trotsky, il militante marxista forse più noto in tutto il mondo tra quelli che combatterono
lo stalinismo. Trotzky, com'è noto, finì i suoi giorni esule in terra messicana, vittima di un
assassinio brutale (il cranio sfondato da colpi di picozza) eseguito su commissione di
Stalin da alcuni sicari (tra i quali ricordiamo - così per curiosità - il noto pittore di murales
David Alvaro Siqueiros, noto stalinista, che rivendicò pubblicamente questa sua
responsabilità). Il titolo di questo paragrafo potrebbe così apparire fuori luogo e di dubbio
gusto, se di Trotzky si ricordasse solo la lunga lotta ideologica e politica condotta contro
Stalin.
Se invece di Trotsky si ricordano invece anche altre azioni, come per esempio lo sterminio
dei marinai e dei proletari rivoluzionari di Kronstadt nel '21 insorti contro la nuova
burocrazia rossa e in difesa della rivoluzione sovietica, allora si comprende il perché di
quell'irriverente accostamento. Trotzky, allora, era "qualcuno", deteneva quale capo
dell'Armata Rossa la sua brava fetta di potere, in pieno accordo con Lenin: il suo
comportamento, a Kronstadt come in Ucraina, le sue famose circolari ai lavoratori per
obbligarli con tutti i mezzi coercitivi alla massima produttività, testimoniano meglio di
qualsiasi disquisizioni ideologica della natura controrivoluzionaria del potere. In questo
senso Trotsky può davvero essere considerato uno "stalinista" ante litteram, anche se poi
dello stalinismo fu avversario e vittima.
Risalendo ai nostri giorni, occorre sottolineare che intolleranze, prevaricazioni ed anche
aggressioni non sono patrimonio esclusivo delle organizzazioni staliniste, che pure ne
restano campioni indiscussi. Avanguardia Operaia, Lotta Continua ecc., quando ne hanno
avuto la forza e la convenienza, non hanno certo perso occasione, ogni qual volta si è loro
presentata, per tentare di imporre la loro strategia, negando l'"agibilità politica" alle altre
forze.
La cosa non ci meraviglia. Quando ci si pone in un'ottica autoritaria e centralizzatrice,
quando si nega l'autogestione delle lotte e della società, quando si teorizza e si costruisce il
"partito d'avanguardia" con la pretesa di rappresentare così gli interessi del proletariato, è
logico ed inevitabile che si arrivi rapidamente alla pratica dell'intolleranza e della
repressione violenta. Quando poi questa pratica politica si congiunge felicemente con la
presa del potere, allora il marxismo-leninismo riesce a dimostrare tutta la sua potenzialità
controrivoluzionaria.
Il nostro compito
Di fronte agli ultimi episodi di violenza stalinista, è dovere di tutti i rivoluzionari
denunciare la matrice ideologica e l'assoluta inaccettabilità di simili metodi di "confronto"
in campo rivoluzionario. Gli aggressori vanno respinti ed isolati, cercando di non cadere
nella loro aberrante logica violenta. Soprattutto va riaffermata e garantita l'"agibilità
politica" per tutte le forze rivoluzionarie, rigettando e combattendo l'intolleranza e la
violenza a squadristica. In poche parole, si tratta di isolare lo stalinismo, senza però
dimenticare la lezione della storia - secondo cui, appunto, lo stalinismo non è
un'aberrazione dovuta a chissà cosa, ma una diretta filiazione del marxismo-leninismo.
Rifiutare quello senza toccare questo è come strappare le erbacce lasciando però intatta la
radice.
In fondo in fondo (ma neanche tanto, a volte) in ogni dirigente marxista batte un cuore
stalinista.
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