Rivista Anarchica Online
Se Komeini fosse una donna
di Fausta B.
Sembra proprio che la sinistra italiana non possa nutrirsi che di illusioni: l'illusione della
"rivoluzione" russa, l'illusione della "rivoluzione" cubana, l'illusione della "rivoluzione" cinese,
l'illusione della "rivoluzione" portoghese e, ultima ma solo in ordine di tempo, l'illusione della
"rivoluzione" iraniana. E puntualmente, dopo aver giocato per periodi progressivamente sempre
più brevi col nuovo mito, lo ha visto sgretolarsi tra le sue mani.
Ci sono volute decine di anni per ricredersi su quella russa, un decennio per quella "culturale"
cinese, qualche anno per quella portoghese e, ora, un mese per quella iraniana. Meglio tardi che
mai, dice un antico proverbio. Chissà che questo progressivo accorciarsi dei tempi necessari alla
comprensione dei fenomeni sociali e rivoluzionari non corrisponda a una maggiore maturità e
obiettività della sinistra!
Se ripensiamo agli articoli apparsi su Lotta Continua e sugli altri organi di stampa o ai servizi delle
varie radio libere nei giorni caldi della "rivoluzione" iraniana, ci viene una gran rabbia in corpo. E
se leggiamo gli articoli o sentiamo le trasmissioni di questi giorni (è passato solo un mese) la
nostra pressione arteriosa aumenta pericolosamente. Ma com'è possibile che in determinati
momenti storici la sinistra perda completamente la sua capacità di comprensione, di analisi, di
obiettività? Quali oscuri meccanismi si mettono in moto per portarla a chiudere gli occhi di fronte
alla realtà (e come hanno potuto riuscirci perfino gli incaricati speciali presenti sul posto?), a voler
vedere solo quello che corrisponde alle sue speranze? Eppure il caso dell'Iran non permetteva
speranze rivoluzionarie di nessun tipo fin dall'inizio. Eppure il movimento popolare che ha saputo
scacciare lo Scià traeva la sua enorme spinta proprio dalla religione incarnata da Komeini. Eppure
le componenti marxiste non avevano praticamente incidenza e hanno partecipato alla
"rivoluzione" rimandando al "dopo" la risoluzione delle contraddizioni esistenti "in seno al
popolo".
Si tratta indubbiamente di un fenomeno strano, che può far pensare per similitudine alla fase di
innamoramento tra due persone quando si vede l'altro non come è ma attraverso lo specchio
deformante dei propri desideri.
Certo il "desiderio di rivoluzione" è e deve essere profondo e appassionato, ma non serve a nulla
fingere con se stessi, non serve a nulla sognare ad occhi aperti.
E così, con buona pace dei rivoluzionari delusi italiani, col prossimo referendum sarà
definitivamente sancita in Iran una bella repubblica islamica che riunirà anche formalmente il
potere politico e quello religioso. Alte grida di sdegno si sono levate in questi ultimi giorni
ovunque per le esecuzioni sommarie, per il trattamento riservato ai reati sessuali, per la
repressione di cui sono state oggetto le donne che sono scese in piazza per chiedere un minimo di
libertà. Ma forse che tutto questo non era prevedibile? Non si sapeva forse che la lotta serviva per
sostituire un potere con un altro? Ancora più terribile perché radicato nelle coscienze da millenni?
L'8 marzo a Teheran come in molte altre parti del mondo, circa 8.000 donne sono scese in piazza
senza tchador. Lo striscione che apriva il corteo diceva: "all'alba della libertà noi non abbiamo
alcuna libertà". Protestavano contro i recenti decreti di Komeini (rigorosa osservanza dei principi
del Corano, soppressione di alcune "leggi" fatte dallo Scià per aggiornare alcune antichissime
norme relative al matrimonio, ecc.. Una protesta giustissima. Ma mentre protestavano
continuavano a essere convinte che l'Iran fosse "all'alba della libertà". Non si ponevano quindi
contro Komeini, contro la religione islamica, contro il potere che le aveva sempre oppresse prima
e che continua ad sopprimerle ora.
Le richieste, dopotutto, erano minime: poter lavorare, potersi vestire come vogliono, avere libertà
sessuale. Obiettivi importanti, ma che non mettono certo in discussione il potere e la struttura di
classe. Basta guardare i paesi dove queste libertà esistono da anni per rendersene conto.
Le manifestazioni delle donne dissidenti sono proseguite per diversi giorni. Il giorno 12 marzo in
prima fila c'era anche la nota femminista americana Kate Millet che ha attaccato duramente
Komeini e Giovanni Paolo II perché "sono maschi sciovinisti perché in quanto capi stanno
tentando di limitare i diritti delle donne". L'impostazione del problema ci appare sbagliata.
Vorremmo chiedere a Kate Millet: "se al posto di Komeini ci fosse Indira Gandhi e al posto del
papa una papessa, questo cambierebbe qualcosa?".
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