Rivista Anarchica Online
Spagna '36: la pratica dell'autogestione
di Frank Mintz
Sotto nomi differenti - rivoluzione, comuni, comunismo libertario - e grazie alle traduzioni di
teorici stranieri (Bakunin, Kropotkin, Cornelissen, ecc.) e le opere di autori spagnoli (Anselmo
Lorenzo, Sanchez Rosa, ecc.), l'idea della realizzazione pratica dell'"emancipazione autonoma dei
lavoratori" si diffuse rapidamente in Spagna, con alcuni punti fermi e precisi: l'importanza delle
statistiche di produzione e di consumo, l'autonomia e la federazione delle unità economiche,
l'organizzazione collettiva di queste unità secondo i critici della revoca da parte dell'assemblea e di
rotazione dei compiti.
Curiosamente, fino al 1936 le altre formazioni politiche - sia "scientifiche", sia cooperativiste -
non proponevano vedute d'insieme pratiche. È certo che non poteva essere questo il caso di alcuni
cooperativisti - forti in Catalogna - che cercavano solamente (e in generale cercano) di riordinare
il capitalismo. E neppure poteva essere il caso del partito socialista e della sua potentissima
centrale sindacale, l'Unione Generale dei Lavoratori (U.G.T.), perché i due organismi erano divisi
da due forti correnti di destra e di sinistra, impersonate da Idalecio Prieto e Largo Caballero, il cui
obiettivo era l'eliminazione della frazione rivale partecipando il più possibile al potere. Il potere e
il suo colore erano di poca importanza: i socialisti avevano accettato la partecipazione ad un
regime di ispirazione fascista mussoliniana che permetteva loro di occupare un posto privilegiato,
mentre gli anarcosindacalisti erano nell'ombra, costretti all'illegalità.
In effetti, fino al 1936 non era chiaro nella sinistra il carattere pericoloso del fascismo. Così, in
Germania, il partito comunista e il partito socialista considerarono più importante combattersi
reciprocamente, lasciando crescere l'hitlerismo. Nel 1932, la delegazione del P.C. spagnolo
riceveva a Mosca i seguenti consigli: "il breve periodo di tempo cominciato dall'aprile del 1931,
dopo la partecipazione dei socialisti al potere, ha messo chiaramente in evidenza la fisionomia
del socialfascismo spagnolo". (A. Losovski, Anarquistas y comunistas en la revolución
española. La Entrevista de la I.S.R. con la delegación sindacal española en noviembre 1932,
Barcellona, p.V.).
Tuttavia, malgrado l'analisi fatta dai dirigenti sovietici, malgrado il riformismo del P.S. e
dell'U.G.T., che seguivano forse una tattica puramente provvisoria, l'U.G.T. vantava in agricoltura
la formazione di comuni, di sfruttamenti collettivi delle terre. E, a partire dall'ottobre 1934, si può
supporre che l'U.G.T. fosse a favore - benché questo favore non sia stato ripreso sistematicamente
- della collettivizzazione industriale, con milizie armate e, eventualmente, soppressione della
moneta.
Quanto al partito comunista filosovietico, limitatamente all'Andalusia dove era meno minoritario
che altrove, il suo ruolo fu importante a livello della propaganda, perché propagò l'idea di soviet
operai e contadini e della necessità di una rivoluzione immediata. (Tralascio qui di considerare le
calunnie e le menzogne del P.C.). Di conseguenza, la propaganda rivoluzionaria degli anarchici e
degli anarcosindacalisti ricevette l'appoggio involontario dei socialisti e dei comunisti e anche
degli oppositori che, criticando l'idea di espropriazione e di rivoluzione, ugualmente la
diffondevano. Lascio anche da parte i dissensi tra gli anarchici nonché le qualità ed i difetti del
movimento libertario che ho già trattato nel libro "L'autogestion dans l'Espagne Révolutionnaire"
(l'edizione spagnola è più completa). E insisto su di un elemento che ebbe un gran peso durante la
guerra: la sacralizzazione del lavoro. Escluso il famoso opuscolo di Lafargue Il diritto alla
pigrizia, che i marxisti sono i primi a censurare quando arrivano al potere, non si trovano simili
denunce nel movimento anarcosindacalista. Tanto in Kropotkin, quanto in Camillo Berneri "El
trabajo atrayente" (Barcellona, 1933) e in Falaschi "El trabajo responsable" (Barcellona, 1936),
troviamo una certa riduzione dell'individuo agli interessi della collettività. Del resto,
l'anarcosindacalismo stesso è fondato in gran parte sull'associazione inconscia "buon lavoratore-buon sindacalista" e "ozioso-parassita".
Un altro elemento particolarmente dimenticato fu una misconoscenza delle radici dello Stato
capitalista. Tutte le organizzazioni rivoluzionarie spagnole, benché si dicessero tutte
internazionaliste, agivano come se lo sfruttamento potesse scomparire immediatamente con la sola
scomparsa del capitalismo in Spagna. Al più, la maggior parte prevedeva un blocco, vedi un
intervento del capitalismo straniero, ma questa eventualità (vista dal congresso della F.A.I. del
febbraio 1936) veniva praticamente scartata dall'eroismo di cui gli operai sarebbero stati capaci e
dalla solidarietà proletaria internazionale. Ma l'altra parte del problema, lo sfruttamento di altre
popolazioni da parte del capitalismo spagnolo, non veniva presa in considerazione. Tuttavia
Kropotkin aveva richiamato questo problema nel suo commento all'edizione russa del 1921 di
"Paroles d'un Révolté" (p.277 nella riedizione Flammarion, 1978), ma, a parte una traduzione
francese, non sembra che gli ambienti spagnoli ne abbiano discusso. È per questo che, anche se la
"settimana tragica" del 1909 a Barcellona e l'esecuzione di Ferrer furono causate dalla questione
marocchina, anche se il congresso della F.A.I. del febbraio 1936 progettava timidamente una
propaganda in arabo (segno che fino ad allora non era esistita), il problema dei Marocchini venne
lasciato a se stesso e, come si sa, essi vennero interamente manipolati dalla destra spagnola.
Certamente esaminando oggi quegli avvenimenti alla luce dello sviluppo storico, possiamo
constatare che socialisti e comunisti francesi non fecero di meglio in Algeria e che i sovietici
hanno già raccolto molti scacchi con i loro musulmani; gli anarcosindacalisti, però avrebbero
dovuto essere più evoluti.
L'applicazione dell'autogestione durante la guerra di Spagna
Ho mostrato che ci furono un certo numero di collettività agricole e industriali del P.O.U.M.
(marxisti non-filosovietici), del P.C. e dell'U.G.T.. Si può notare che nessuna delle pubblicazioni
di queste organizzazioni, dopo il 1939, è dedicata a questa esperienza. Oltre al fatto che lo studio
dell'autogestione non è dunque globalmente ed esaustivamente possibile, ciò mostra che nessuna
di queste organizzazioni appoggiava l'autogestione. Il che non vuol dire che alla base i militanti
non agissero in modo relativamente identico a quello dei cenetisti, ma che le direzioni politiche
frapponevano degli ostacoli.
Allo stesso modo si sa che gli anarcosindacalisti, tanto quelli della Confederazione Nazionale del
Lavoro (C.N.T.), quanto gli aderenti ai gruppi anarchici della Federazione Anarchica Spagnola
(F.A.I.) frenarono il movimento di collettivizzazione. Le recenti memorie di Garcia Oliver (fine
1978) lo confermano. Si potrebbe fare il superficiale parallelo tra la testimonianza di Anton Ciliga
del 1936 nell'URSS (ripubblicata nel 1977 "Dieci anni nel paese della menzogna sconcertante")
che sottolineava che né Stalin, né Trotsky facevano appello, nella loro polemica, al giudizio della
base, e l'atteggiamento di Garcia Oliver, opposto al resto dei suoi compagni nel plenum del 21
luglio 1936 a Barcellona, su comunismo libertario o semplice lotta antifascista, senza che anche
qui nessuno si occupi di consultare la base.
In realtà il paragone è falso, perché le critiche esplosero subito da tutte le parti: "Non avremmo
mai creduto che sarebbe stato il giornale anarchico 'Tierra y Libertad' a tentare di gettare
acqua sul fuoco dell'Aragona, come era già stato fatto dal compagno Marianet al plenum di
Caspe. È facile dire che noi confederali d'Aragona, Rioja e Navarra, abbiamo dimenticato le
tattiche confederali. Noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo che viviamo una realtà
che nessuno può negare. Dopo tanta propaganda che era possibile impiantare in Spagna un
regime di libertà e giustizia, crediamo fermamente che sia giunto il momento di dimostrarlo. Ed
è quello che facciamo, né più né meno". (Julian Floristan, Valderrobres, provincia di Teruel,
6.IX.36, "Solidaridad Obrera", 9.IX.36, p.3).
Le discussioni del plenum furono appassionate (vedere i testi che do in antologia nel mio libro), le
reazioni agli ostacoli pure (La Fatarella, Vilanesa, maggio 1937,...). E quello che è molto
interessante è la fissazione sui collettivi economici fino alla fine della guerra e anche il loro
sviluppo, quando la vittoria franchista sembrava vicina (una adesione a Villacañas, in provincia di
Toledo il 26.XII.38; un'altra a Campo Leal, nella provincia di Ciudad Leal, il 26.I.39). La grande
lezione dell'esperienza è il valore dell'esempio: anche in Aragona non tutti i villaggi erano
collettivizzati (grosso modo l'80% all'inizio del 1937 e il 90% nel 1938) e nessuno era
collettivizzato allo stesso modo. E, almeno a Barbastro, non ci fu scelta deliberata della C.N.T.
per gli anarchici locali, quando si trattava di un conflitto in un collettivo: "quando io sapevo che
in un villaggio la collettività non andava molto bene, andavo al villaggio e riunivo la collettività
in assemblea generale. E mi rendevo allora conto della ragione per la quale la collettività non
funzionava bene. Non c'era altro mezzo che dissolverla e superarla. (...)".
"Se in una di queste assemblee libere in una collettività, la gente cominciava a criticare un
compagno della C.N.T., tu cosa facevi?"
"Non giudicavo gli individui. Gli individui e le azioni venivano giudicate dai membri della
collettività stessa. Quando c'era un problema che metteva in pericolo la collettività, che poteva
distruggerla, allora intervenivo per difendere una posizione o un'altra. Non c'era differenza,
perché non ero solo. Andavamo in comitato, e c'erano i compagni del villaggio, alcuni dei quali
erano tanto competenti quanto me. Ero il solo del comitato regionale, il compagno per il
trasporto era di Las Cellas; quello dell'agricoltura di Ponzan; e quello dell'economia di
Lagunarrota." (testimonianza inedita di Eugenio Sopena, giugno e dicembre 1976).
Evidentemente, l'esempio non avrebbe potuto dare risultati se non fosse stato economicamente
positivo. E il suo valore risultava dal fatto che le terre erano totalmente coltivate, con macchine,
con fertilizzanti, selezione delle piante, degli animali, ecc., tutte cose nuove per l'epoca.
Nell'industria, le condizioni igieniche, di lavoro, di salario, erano state profondamente migliorate.
In entrambi i casi la pensione veniva accordata a sessant'anni e le cure mediche erano praticamente
gratuite. Tutte queste cose esistevano ed esistono dappertutto - almeno secondo le propagande
dell'Est e dell'Ovest -, ma allo stesso tempo i lavoratori organizzavano la base stessa del loro
lavoro, sceglievano i loro delegati e manifestavano chiaramente il loro disaccordo.
Non riprenderò qui neppure le differenti tabelle statistiche, né le differenze economiche tra i
settori di applicazione. Quello che importa è mettere in rilievo le capacità di cui diedero prova i
lavoratori dell'industria e dell'agricoltura, analfabeti come letterati, quadri e manovalanza, in una
struttura che faceva appello alle loro responsabilità, alla loro autonoma emancipazione. Questa
realtà viene costantemente e accuratamente respinta e deformata. I ricchi e i privilegiati delle
gerarchie (capitalisti e marxisti, salsa cinese, vietnamita, ecc.) non possono riconoscere la
rotazione dei compiti e la revoca da parte della base, l'assemblea, né la costante rimessa in
discussione delle conoscenze e dei diplomi che questo sistema implica.
È evidente anche che l'autogestione spagnola non è un fatto isolato proprio alla Spagna, come la
corrida, l'horchata e la paella. Ogni movimento rivoluzionario dei lavoratori ha prodotto le stesse
reazioni di libera scelta dei delegati, responsabili davanti ai loro colleghi di lavoro,
dell'organizzazione collettiva dell'utile del lavoro: "l'autogestione delle imprese non è né una cosa
nuova, né una particolarità del nostro paese. È una vecchia rivendicazione proletaria e, nel nostro
secolo, quasi tutti i grandi movimenti sociali della classe operaia sono sfociati, prima o poi, in
un tentativo pratico di democratizzazione dei rapporti sociali nell'industria. Questo vale per le tre
rivoluzioni russe, come per la rivoluzione tedesca degli anni 1918-1920, per la guerra civile
spagnola, per la resistenza jugoslava e, più tardi, degli operai polacchi e ungheresi di fronte allo
stalinismo. Lo sforzo dei nostri lavoratori che mirava a costituire organismi che permettessero
loro di prendere realmente parte alla gestione delle imprese è solo l'ultimo databile degli anelli di
questa catena". (Milos Bárta "Práce", Praga, 17.II.1969, ristampato in "Prague, la révolution des
Conseils Ouvriers" Parigi 1977, presentata dal Vladimir Pisera, p.254). Si può notare che
l'anarcosindacalismo, così come era organizzato nel 1936, non ha permesso il pieno sviluppo
dell'autogestione, benché l'abbia stimolata fino ad un limite che non era mai stato raggiunto né
prima né, del resto, dopo. Questo mostra che è la via da seguire, migliorandola. E si può
sottolineare, a questo proposito, che era il prodotto di anni di militantismo e di diverse
generazioni di lavoratori anarcosindacalisti, dal 1868 al 1936.
A proposito delle interpretazioni dell'autogestione in Spagna
La maggior parte delle discussioni nascondono problemi di fondo. Ma io penso non sia tempo
sprecato mostrare la falsità di taluni attacchi. Ci sono affermazioni che io non condivido, come
quella dei compagni - pochi, sembra - che pensano che l'autogestione fu opera della C.N.T.-F.A.I.
al governo, oppure che è stato grazie alla collaborazione governativa che l'autogestione venne
protetta e fu in grado di resistere agli attacchi degli altri partiti (Cesar Lorenzo). Benché in alcuni
casi ci sia stata protezione dall'alto, nell'insieme io non ho mai constatato questa tendenza e i casi
di abbandono dell'autogestione sono frequenti durante o dopo la collaborazione governativa.
Nelle sue memorie, Garcia Oliver afferma di essere stato l'iniziatore della collettivizzazione in
Catalogna, ciò che vale a dire che senza capi le masse non fanno nulla. Su questo io ho dubbi
molto profondi e credo che ci sia confusione tra una persona che può incarnare, in un dato
momento, l'aspirazione di un gruppo numeroso, e una organizzazione collettiva di produzione. In
ogni caso si può notare che Garcia Oliver fu costretto a reprimere uno sciopero nel settore
dell'autogestione (cfr., sul libro di Vernon Richards la testimonianza di Marcos Alcon), ciò che
limita le facoltà di capo, di cui sembra farsi portavoce.
I consigliari e i marxisti-leninisti giocano sapientemente sugli aggettivi e sui nomi comuni per
parlare di vittoria "degli operai e dei lavoratori", nel luglio 1936, stigmatizzando gli errori degli
anarcosindacalisti. La collaborazione governativa sarebbe la campana storica
dell'anarcosindacalismo e la reazione dei lavoratori di Barcellona nel maggio 1937 la coscienza
rivoluzionaria della massa.
Neppure gli storici ufficiali sono più chiari e se ne traggono tre tattiche. La prima è il silenzio (H.
Thomas, qualche anno fa). La seconda consiste nell'abbordare l'autogestione trattandola come un
fenomeno frenante la vittoria dei repubblicani (Jackson, storico comunista). La terza affronta
l'autogestione di petto - generalmente in un capitolo - e lo storico utilizza tre risposte possibili: a)
non ci sono dati seri che permettono lo studio del problema (P. Vilar); b) i dati presentati non
sono verificabili (W. L. Bernecker) e non si possono trarre conclusioni; c) ci sono notevoli
supposizioni che permettono di affermare, in tutta logica, che il sistema sarebbe fallito, anche se
non è fallito (H. Thomas, versione attuale). Se aggiungiamo la versione comunista ("è evidente
che l'autogestione fu uno scacco") abbiamo dunque tre sistemi di critica: per mezzo del passato,
per mezzo del presente e per mezzo del futuro. Ma in nessun momento viene espressa la posizione
reale: l'ipocrisia, apparentemente logica, è la sola risposta.
Autore dell'interessante volume L'autogestion dans l'Espagne rivolutionnaire e collaboratore
della stampa anarchica, Frank Mintz sarà tra i relatori al convegno internazionale di studi
sull'autogestione che si terrà a Venezia dal 28 al 30 settembre.
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