Rivista Anarchica Online
Fuoco alle mimose!
Ho letto sul numero 72 di "A" un tentativo di stroncatura uterina del libro di Annie Le Brun
"Disertate". Sono rimasta molto sorpresa che "A" si presti a esorcizzare una delle rare
pubblicazioni di dissenso (scritto da una donna su problemi della donna) che compare a
smuovere il grigio e lamentoso, seppur floridissimo, panorama dell'editoria per le donne.
Certo il libro, brillante e provocatorio anche se di non facile lettura, non deve essere piaciuto
molto al settore più regressivo del femminismo italico, e qualche tentativo di stroncatura ce lo
potevamo aspettare. Secondo me non è piaciuto a quel settore che ha fatto di tutto per creare un
nuovo ruolo per le donne dopo quello di casalinghe, sante, puttane: quello di femminista. Ruolo
che per essere tale deve rispettare certe regole che si codificano in una ennesima ideologia con
tanti luoghi comuni, riti e idiozie, mimose, zoccoli, scialli, collant ecc. ecc.... tante piccole cose
che han dato in pochi anni una sicurezza, una possibilità di riconoscersi femministe in mille
luoghi comuni, per poter recitare insieme la nuova parte facendosi imporre nuovi schemi che
una volta accettati e praticati possano far dire, sì, quella lì è una femminista.
Ammette a malincuore l'autrice della critica al libro: "forse è vero che la liberazione della
donna (come quella dell'uomo) è un'impresa in larga parte solitaria". Certo irrita le fautrici
dell'intruppamento delle donne che si vada a dire in giro che alla base di ogni crescita sociale,
stia un problema di coscienza (individuale) e non di numero, e che questa coscienza tende a
sparire con la pratica delle liturgie, con l'adattamento a un modello precostituito, per fare posto
al pecorismo, alla delega, alla paura della propria identità e al bisogno di riconoscersi in
qualcosa di superiore che dia una paterna sicurezza come ad esempio un numeroso movimento
femminista, accettandone con gioia le regole stabilite proprio perché massificanti e annullanti il
problema della nostra scomoda personalità.
Io spero invece che almeno le donne anarchiche non abbiano dubbi sulla necessità della
coscienza individuale e sulla azione diretta critica e originale come base essenziale per qualsiasi
evoluzione, e questi "forse" non se li siano mai posti.
Condivido le critiche di Annie sulla azione negativa del movimento neo-femminista sulla reale
liberazione della donna. Pare invece che Marina Valcarenghi non abbia afferrato la critica
rivolta al femminismo come movimento organizzato. Infatti non è "l'impegno sociale per l'aborto
o per gli asili nidi" che impedisce "alla donna una rivolta personale contro il destino che il
modello sociale le impone". Ma è il metodo usato dal movimento femminista (e specificatamente
neo-femminista classico, accettando le distinzioni tracciate a pag. 26 dello stesso numero di "A"
da Claudia Vio) che ricalca paradossalmente (data la divisione in buone-le donne e cattivi-gli
uomini) gli stessi metodi delle organizzazioni tipicamente maschili più autoritarie e liberticide;
dagli effetti minimi più palesemente ridicoli, di costume (la già citata divisa da femminista che
corrisponde a quella del sinistrese) agli aspetti più seri, apertamente reazionari come la nascita
di una ideologia, di un vangelo femminista fino ad arrivare alla proclamazione del primo potere
buono della storia dell'umanità, quello delle donne.
Queste sono le cose che dovrebbero far accapponare la pelle alle donne libertarie. E invece su
"A" si trova lo spazio per criticare visceralmente una pubblicazione intelligente e acuta, che ha
l'unico torto di aver colpito nel segno gli aspetti più retrivi e, guarda un po' più antilibertari del
femminismo. FUOCO ALLE MIMOSE.
Violetta (Torino)
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