Rivista Anarchica Online
Dal collettivismo burocratico all'azienda autogestita
di Ludovico Martello
Già noto per essere stato il primo marxista italiano ad aver definito la natura sociale dell'Unione
Sovietica, Bruno Rizzi viene oggi collocato tra i primi teorici dell'autogestione.
Ritenigo quindi estremamente interessante, in preparazione del convegno internazionale
sull'autogestione, riesaminare, attraverso l'esposizione delle principali tappe del pensiero rizziano,
le analisi sociologiche ed il modello autogestionario presenti nelle sue opere.
Appena ventenne, Bruno Rizzi, già militante nelle file del P.S.I., aderisce alla frazione comunista
partecipando attivamente alla fondazione del P.C.d'I. "Fare come in Russia" è l'obiettivo dei
militanti del nuovo partito. Ma la "dura replica della storia" non si fa attendere: Rizzi assiste alla
ascesa del fascismo. Contemporaneamente "fatti strani" avvengono nella federazione milanese,
avendo prove fondate per indagare in "una certa direzione" Bruno chiede di parlare con il centro.
Ma in un partito dove ancora oggi l'obbedienza assoluta alla direzione è la prima regola, i suoi
dubbi, le sue domande finiscono inevitabilmente col procurargli l'ostracismo dei compagni fino
all'espulsione dal partito avvenuta nel '37.
Ottenuto il passaporto Rizzi va in Francia. A Parigi entra in contatto con i trotskisti, fra i quali
Naville. Viene a conoscenza delle atrocità commesse dal regime staliniano, legge La Rivoluzione
Tradita di Trotskji. Privo da condizionamenti di partito, Rizzi coglie appieno il significato politico
dell'opera, scrive Dove va l'U.R.S.S. col proposito - come scriverà R. Reccagni - "di mettere al
corrente i militanti socialisti della reale situazione nell'U.R.S.S.".
Il testo di Rizzi ricalca i contenuti dell'opera dell'esule bolscevico, ma lo fa in modo così ostentato
che è lecito pensare che non si sia trattato di una semplice "volgarizzazione della Rivoluzione
Tradita" ma di qualcos'altro: la ricerca di una legittimazione politica, di una identificazione
ideologica per poter sostenere tesi che egli aveva maturato per anni. Descrivendo gli eventi più
significativi che hanno caratterizzato la società sovietica dalla morte di Lenin alla "Costituzione di
Stalin", Rizzi accusa il dittatore di aver tradito i proletari delle altre nazioni avendo optato per la
realizzazione del socialismo in un solo paese dopo aver sottomesso a lui e alla casta che
rappresenta la terza internazionale. Proseguendo nel suo "j'accuse" Bruno indica la genesi del
termidoro sovietico nel processo di formazione della burocrazia, nota inoltre le contraddizioni
presenti nelle scelte economiche di Stalin. Questi infatti, come noto, dalla piattaforma economica
di Bucharin, favorevole alla scomposizione della terra in piccole proprietà, fa suo il piano di
collettivizzazione, sostenuto precedentemente da Trotskji.
Rizzi non si pronuncia, in quest'opera, a favore di una delle due soluzioni, ma sostiene: "... il
socialismo... deve rappresentare... una forma economica superiore alla capitalistica". In questa
affermazione credo si possa individuare l'aspetto originale del testo in esame, ed è questo aspetto
a farne un'opera diversa dalla Rivoluzione Tradita. Rizzi intuisce che non è possibile edificare la
società socialista adottando le soluzioni economiche indicate dai bolscevichi. Inizia così la sua
ricerca solitaria per individuare un modello economico diverso quale base strutturale per una
società socialista nella quale socializzazione non corrisponda a statizzazione.
Sempre a Parigi, Rizzi, pur non aderendo a nessuna organizzazione della IV internazionale, ne
segue attentamente le pubblicazioni. Partecipa attivamente al dibattito sulla natura sociale
dell'U.R.S.S.. Nonostante i contrasti con Naville è invitato da questi a redigere un opuscolo sulla
questione. Rizzi invia il manoscritto a Naville, ma questi si rifiuta di pubblicarlo. Dopo averlo
sottoposto ad altri editori decide di pubblicarlo a sue spese. Il testo viene distribuito alle vendite
nell'autunno del 1939 con il titolo La Bureaucratisation du Monde.
Nel condurre la sua indagine Rizzi riduce il marxismo, assunto dai marxisti a religione, ad un
metodo. Ne condivide ed utilizza quasi esclusivamente le categorie economiche. Permangono, egli
osserva, nella Russia "socialista" proprietà e sfruttamento. Una nuova classe: la burocrazia, si
appropria indirettamente del plus-valore prodotto dai lavoratori: "... il plus-valore - egli scrive - è
inghiottito dai nuovi privilegiati attraverso la macchina statale...". E polemizzando con Trotskji, al
quale, nonostante la degenerazione burocratica, la nazionalizzazione dell'economia appariva un
dato strutturale progressivo per l'avvento di uno Stato proletario, Rizzi replica: "In realtà la
nazionalizzazione dei mezzi di produzione nell'U.R.S.S. ha creato una forma di proprietà
collettiva, ma di classe che risolve l'antagonismo capitalista della produzione collettiva e
dell'appropriazione privata". Nazionalizzazione e pianificazione economica non sono, egli
conclude, le basi strutturali per l'edificazione della società socialista. Né questo assetto sociale è
da considerare transitorio: "Un regime sociale - egli sostiene - non è mai transitorio: è peculiare di
un determinato tipo di società". Proseguendo nella sua analisi, egli ritiene possibile la formazione
di questo particolare sistema sociale anche per altre nazioni. "Poco per volta - ipotizza Rizzi - i
lavoratori di Francia, d'Inghilterra e d'America non si troveranno più normali cittadini, ma sudditi
di un regime burocratico che nazionalizzerà la proprietà e prenderà tante altre misure ad impronta
socialista. Non si chiamerà fascismo o nazismo o stalinismo, avrà certamente un altro nome, ma il
fondo sarà sempre lo stesso: proprietà collettiva nelle mani dello Stato, burocrazia come classe
dirigente, organizzazione collettiva e pianificata della produzione, sfruttamento che passa dal
dominio dell'uomo a quello della classe".
Con appropriata espressione Rizzi definisce questo particolare sistema sociale "Collettivismo
Burocratico". Ed è in questa fase del suo pensiero che appare (ancora allo stato d'intuizione) la
sua maggiore scoperta sociologica. Egli individua nell'assenza del mercato la base strutturale per
l'avvento di uno Stato burocratico e/o totalitario.
Libero da ogni schematismo dogmatico Rizzi riflette sulle sue nuove acquisizioni. Si convince che
l'eliminazione della proprietà privata e la mancanza di un policentrismo economico, con i suoi
attributi di concorrenza e di libero scambio tra gli uomini, finiscono col consegnare nelle mani
dello Stato società civile e potere economico. In tali condizioni - egli avverte - lo Stato, invece
che deperire, diventa un vero e proprio Moloch.
"Ne Il Socialismo dalla Religione alla Scienza e ne La Rovina Antica e l'Età Feudale - si legge
in un articolo di Rizzi - spiego e documento storicamente servendomi anche dell'etnologia, che
tutte le società feudali della barbarie sono fondate su di un sistema economico pianificato con
monopolio statale dei mezzi di produzione e della forza lavoro...".
Rizzi giunge a queste conclusioni attraverso una serie di "suggestive comparazioni storiche".
Rivisita le antiche civiltà dall'incaica alla spartana alla luce delle fondamentali categorie marxiane,
quali: proprietà privata, plus-valore, ecc.. A tale verifica empirica alcuni dei principali postulati
teorici indicati da Marx per la composizione di un sistema sociale comunista, risultano inesatti.
Primo tra tutti l'abolizione della proprietà privata quale presupposto per una società di eguali.
"Ecco che le terre spartane - egli osserva - ... si concentrano per un momento sotto l'egida dello
Stato e poi questo le ridistribuisce ai suoi membri... una proprietà per nulla privata, collettiva ma
non indivisa... nessun segno di comunismo traspare dalla società spartana". Rizzi si domanda:
quale forza opporre alla formazione di uno Stato iper-assolutistico? La soluzione che propone è il
"salvataggio del mercato". Quello proposto non è certo un mercato capitalista, bensì un mercato
non inquinato da manifestazioni negative miranti alla speculazione e all'usura, ma uno strumento
di distribuzione razionale. È possibile a Rizzi formulare una tale ipotesi in quanto non considera il
mercato un'invenzione del modo di produzione capitalistico. Egli sostenendo che: "La storia prova
e conferma la stretta dipendenza dello sviluppo sociale con quello del mercato", fa del mercato
stesso una categoria analitica, anzi, e mi pare più esatto, la variabile indipendente del suo sistema
analitico. Impiegando questa nuova variabile Rizzi riesamina il corso della storia. Egli individua
periodi densi di sviluppi tecnici e culturali contraddistinti da primitive forme di mercato. Mentre
altre fasi storiche, ove non sono riscontrabili né forme di mercato né alcuna libertà economica,
risultano caratterizzate da un diffuso regresso per l'esistenza umana e dalla presenza di uno Stato
assoluto e accentratore. Le conclusioni contenute ne Il Socialismo dalla Religione alla Scienza e
ne La Rovina Antica e l'Età Feudale collocano Rizzi fra quei pochi studiosi marxisti che sono
riusciti ad affrancarsi dall'idealismo hegeliano. Egli contesta il principio: "ciò che è stato doveva
essere". La sua indagine scientifica è priva di idealistici presupposti dialettici. Il mercato non lo
scandalizza, la proprietà privata non è il peccato originale. Essi, come dimostra l'indagine storica,
sono gli unici strumenti per contrastare la formazione di uno Stato totalitario. Depurati degli
attributi capitalistici essi possono essere la base strutturale per edificare una società socialista nella
libertà.
L'azienda autogestita
Pubblicati rispettivamente nel '62 e nel '70, La Lezione dello Stalinismo e Il Socialismo Infantile
costituiscono la proposizione ultima del discorso rizziano. In entrambi Rizzi, dopo aver operato
una sintesi di quanto precedentemente acquisito, propone "sulla carta" un modello di società
socialista e ne indica le modalità di realizzazione.
Il socialismo non può essere che uno solo, egli sostiene, caratterizzato da una determinata
combinazione degli elementi del ciclo produttivo, esso deve produrre maggiore ricchezza per la
società, eliminare l'estorsione del plus-valore, e garantire le libertà "borghesi" di ogni attore
sociale affrancandolo dallo Stato, peraltro in via di "deperimento". Espone quindi il suo modello
di società socialista, sintetizzabile nell'espressione: "autogestione delle aziende da parte delle
maestranze". Ed è nell'azienda, "cellula costitutiva della società umana", che bisogna muovere i
primi passi per la realizzazione del socialismo. Infatti egli nota: "Ad ogni tipo di società
corrisponde una particolare organizzazione economica dell'azienda". Quindi, alla ricerca di una
"via" per la realizzazione del modello, scrive ne La Lezione dello Stalinismo: "Trovato il tipo
d'azienda retto da un ordine economico che armonizzi coi fini del socialismo,... si passi
all'esperimento, non di un popolo usato come cavia per decenni, ma di qualche azienda. E se
l'esperimento funziona, si proceda alla generalizzazione di questa azienda. (ed individuando nelle
aziende già nazionalizzate il punto di partenza - N.d.R.).... Perché lo Stato ed i comuni
dovrebbero opporsi ad un rinnovamento economico delle loro aziende.... È necessario che
l'azienda del latte o quella tramviaria debbono essere semplicemente municipalizzate? Perché non
socializzate?". Ma avverte lucidamente Rizzi, evitando accuratamente di alimentare speranze
palingenetiche: "Vano è sognare una distribuzione basata sull'uguaglianza, quando il gettito dei
beni di consumo non copre i fondamentali bisogni.... Il nuovo sistema economico non può portare
ancora l'uguaglianza. Ciò sarebbe uguaglianza nel bisogno, mentre invece si deve giungere alla
soddisfazione naturale della necessità collettiva e singola attraverso l'aumento progressivo del
volume della produzione". In quanto agli elementi del ciclo produttivo, essi assumeranno nuove
forme economiche, infatti "Il rapporto di produzione socialista è il seguente - si legge nel I volume
de Il Socialismo Infantile - a) I dirigenti sociali non sono più i capitalisti, ma la Società stessa.... I
mezzi di produzione li concede lei e gratis. b) I lavoratori non sono più proletari; percepiscono
integralmente il frutto del loro lavoro e non lo vendono più a nessuno. Sono socialisti in carne ed
ossa e non di partito. c) I mezzi di produzione non sono più capitale, ma Sociale perché svolgono
una funzione acceleratrice della produzione, ma non speculativa. d) I prodotti restano merci,
perché il mercato è ancora necessario quale organo selezionatore, propulsore e razionalizzatore di
una società ancora povera, ma è stato moralizzato: la speculazione vi è eliminata". Affinché ciò sia
realizzabile è necessaria, secondo Rizzi, una differenziazione aziendale che non sia tecnica bensì
economica. Egli auspica la frantumazione del controllo unico, necessario per le aziende che
mirano al profitto ma costoso per la collettività. Quindi suggerisce una nuova "specializzazione
economica quadripartita: produzione-vendita-amministrazione-acquisti". Un esempio chiarirà il
concetto: un'azienda specializzata unicamente alla vendita può servire più aziende adibite alla
produzione. Infine, proseguendo nella sua esposizione, propone di sostituire al salario una
percentuale sugli utili.
Le conclusioni contenute nel progetto di Rizzi sono - e non poteva essere altrimenti - ancora sotto
forma di ipotesi. Come tali esse vanno verificate ed elaborate. È necessario quindi, volendone
seguire le indicazioni, sottoporle preliminarmente ad una critica costruttiva cercando le lacune da
colmare per una realizzazione empirica. D'altra parte è forse il miglior omaggio che si possa fare
alla memoria del nostro autore: non trasformare in verità assoluta, in dogma infallibile le sue
conclusioni.
La prima critica che ritengo si possa muovere all'impostazione della metodologia rizziana è il suo
determinismo economico che lo conduce ad un vero e proprio misticismo del mercato. Infatti egli
compie le sue comparazioni storiche impiegando un'unica variabile: il modo di produzione,
caratterizzato a sua volta dalla presenza o meno di forme di mercato. Risultato: egli finisce con
l'individuare sostanzialmente due tipi di organizzazione sociale: feudale e mercantile,
rispettivamente identificabili dalla presenza o meno del mercato. Mentre, come ha dimostrato
Wittfogel soprattutto nella prima parte del Dispotismo Orientale, esistono diversi sistemi sociali
fra i due indicati da Rizzi. Sistemi che si differenziano sia per caratteristiche di ordine politico
oltre che economiche. Per Rizzi ciò che è determinante è solo l'economico, il politico e il sociale
sono solo sovrastrutture, il riflesso puro e semplice del primo fattore. Così egli definisce, forse per
primo, la burocrazia russa come nuova classe, ma non ne analizza le motivazioni ideologiche. Non
ne individua gli aspetti causali. Egli ritiene che la "nuova classe" sia stata generata dal modo di
produzione instaurato. Rizzi non si interroga sulla possibilità che possa essersi verificato proprio
l'opposto: la "nuova classe" al potere non per "completare un nuovo ordine economico ma - come
osserva Gilas - per costituire il proprio e stabilire così il potere sulla società". Essa, infatti,
esercitando il suo potere instaurava "un monopolio sulla classe operaia stessa". Monopolio non
esclusivamente economico, anzi "Tale monopolio - si legge ne La Nuova Classe - è prima
intellettuale, sul cosiddetto proletariato di avanguardia, e poi su tutto il proletariato". Ciò è reso
possibile dalla natura autolegittimante contenuta nell'ideologia della nuova classe. Infatti "i capi
comunisti (sono convinti) di essere sulla via che porta alla creazione della felicità assoluta e di una
società ideale".
Prima del mercato essi hanno abolito la concorrenza intellettuale. Queste considerazioni sono
assenti nelle opere di Rizzi. Questi infatti, nella fase analitica della sua indagine, non impiega
categorie di ordine sovrastrutturale. Ciò ovviamente, si riflette nelle sue conclusioni. In esse sono
elusi una serie di interrogativi che ritengo sia indispensabile porre: a) è possibile, come sosteneva
Rizzi, "lasciar fare alle leggi economiche?" b) oppure è indispensabile un apparato
programmatore? e, se sì, con quali poteri? c) è possibile sostituire all'attuale organizzazione
gerarchica piramidale una organizzazione con rapporti orizzontali? Quali dovranno essere le
dimensioni aziendali?
A queste e ad altre eventuali domande bisognerà dare delle risposte che non consentano la pura e
semplice "autogestione dello sfruttamento", ma che non trasformino il progetto autogestionario in
una nuova promessa di "paradiso in terra". Riassumendo: bisogna trovare il giusto rapporto tra le
categorie dell'essere e del dover essere, evitare che i modelli teorici risultino il frutto della
proiezione dei nostri desideri.
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