Rivista Anarchica Online
Anarchia a Portland
di Marianne Enckell
Dal 17 al 24 febbraio si è tenuto a Portland (nello stato dell'Oregon, USA) il preannunciato
Primo simposio internazionale sull'anarchismo, come è stato un po' pomposamente definito.
Al
simposio, organizzato dal Lewis and Clark College, hanno preso parte tra gli altri le compagne
Rossella Di Leo (del Centro Studi Libertari "Pinelli" di Milano) e Marianne Enckell (del Centro
Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo di Ginevra). Appena rientrata in Europa, Marianne
ci ha inviato un primo resoconto dei lavori del Simposio, che pubblichiamo in queste pagine.
Si sostiene che i nordamericani si trovino più a loro agio nel campo della prassi che in quello dei
concetti. E le discussioni che hanno fatto seguito alla maggior parte delle conferenze in questa
settimana colorata ed eteroclita non hanno smentito questo adagio: che fare, come fare, in che
campo impegnarsi, da dove cominciare, femminismo, ecologia, comunità e cooperative,
resistenza all'esercito, alle società transnazionali, alle tasse. L'idea e la realtà - la pratica
dell'Utopia. A New York, dove siamo passate sulla via per Portland, siamo andate a comprare dei libri alla
libreria "Laissez-faire" e siamo rimaste stordite per la confusione, per il gran numero di
pubblicazioni del "Partito Libertario" (Libertarian Party) e di quella corrente antistatale
favorevole all'iniziativa privata, come ai vecchi tempi del capitalismo trionfante, che integra tutti
i qualunquismi e punta alla conquista del governo per ridurre le prerogative economiche dello
stato. Gli anarchici americani, ci domandavamo, si riconoscono proprio tutti in questo ultra-liberalismo? La
grande maggioranza dei partecipanti al Simposio, al contrario, ha preso nettamente le distanze
da quelle posizioni. Certo la tradizione e l'esperienza sono molto differenti dalle nostre qui in
Europa: non vi è in pratica alcun movimento organizzato, le lotte sono molto limitate e nel luogo
e nella tematica, ci si indirizza perlopiù verso realizzazioni alternative (comuni, cliniche libere,
scuole alternative, radio libere, giornali, giornali e giornali) e gli interventi specificatamente
politici sono probabilmente meno spettacolari che da noi. Anche il clima del dibattito, soprattutto
su un campus universitario in mezzo ai boschi era diverso da quello che ci aspettavamo: provate
un po' a immaginarvi gente che ascolta senza interrompere quelli che parlano, che si passa il
microfono con calma, che discute tranquillamente anche con quelli che dicono delle cazzate, e
ciascuno può terminare il suo discorso... eppure si trattava, proprio, in gran parte di compagni! La
maggioranza delle conferenze ha affrontato argomenti storici. Vi è stata una giornata dedicata
a Bakunin, nel corso della quale Arthur Lenhing ha fatto il punto brillantemente sulla questione
Marx/Bakunin e ha validamente contrastato le interpretazioni poco convincenti e le
approssimazioni di alcuni oratori pretenziosi. Vi è stata poi una giornata italo-americana, nel
corso della quale Bob D'Attilio ha fatto rivivere il mito di Sacco e Vanzetti quale ancora presente
nell'immaginazione popolare e nel film di Montaldo: inutile ripetere che erano un povero
pescivendolo e un bravo operaio per dire che erano innocenti; la sua conferenza, illustrata da
un'interessante serie di diapositive, è stata seguita da una relazione sul periodico La questione
sociale di Paterson, da un'altra sulle avventure americane di Ciancabilla e da un canto d'amore
dedicato a Bruno Misefari e alla Calabria da un poeta calabrese esule a Portland.... Non poteva mancare,
naturalmente, la Spagna. Carlos Otero e Arthur Lenhing, dopo la
proiezione di un film retorico sulla C.N.T. del '37/'38 (La volontà del popolo), sono stati
protagonisti di un dibattito troppo rapido su guerra e/o la rivoluzione, partecipazione al governo,
F.A.I. e C.N.T.. Martha Ackelsberg ha parlato del ruolo delle donne nella rivoluzione spagnola,
sulla base di una serie di interviste realizzate recentemente in Spagna e in Francia, dopo aver
brillantemente riassunto la situazione del movimento anarchico di quell'epoca, le modalità con le
quali si erano superati i possibili conflitti tra spontaneità e organizzazione (soffermandosi sul
ruolo degli Ateneos, dei gruppi di affinità, dei periodici, della cultura) e le principali
realizzazioni
in tema di salari e di condizioni di lavoro. Burnet Bolloten, autore delle prime opere lucide sulla
guerra e la rivoluzione spagnola (tra le quali The grand camouflage) che da quarant'anni non fa
altro che scrivere e riscrivere questo libro, ha parlato dei dilemmi che la guerra civile ha posto
innanzi agli anarchici: "per sopravvivere in una situazione di guerra civile - ha affermato
Bolloten - gli anarchici dovevano partecipare alla lotta per il potere; ma così facendo essi erano
obbligati a dimenticare i loro principi e quindi a perdere la rivoluzione". Lenhing ha proposto
un'interpretazione leggermente differente: "la reazione al pronunciamento è stata la rivoluzione
sociale, ed è stata proprio la partecipazione al governo che ha assicurato la priorità alla guerra e
alla militarizzazione". Il pubblico intanto, cercava soprattutto di trarre degli insegnamenti per
l'oggi. Quasi tutti i pomeriggi dei gruppi di affinità si riunivano davanti ad un triste hamburger ed ad
un
succo di frutta inqualificabile, per discutere di autogestione, vita quotidiana, prigioni,
omosessualità, antimilitarismo, e per organizzare e coordinare delle attività. Un folto pubblico
ha partecipato alle tre principali tavole rotonde. La più vivace ha avuto per
tema "Anarchismo e femminismo": io e Rossella abbiamo commesso un errore e creato un
incidente, poiché Rossella non se l'è sentita di intervenire per paura di non saper esprimere le sue
critiche in un inglese comprensibile, e noi allora abbiamo invitato Stephen Schecter, il quale ha
parlato delle ripercussioni del femminismo sugli uomini, ma è stato subito rifiutato dalle più
accese. La massima affluenza ed il massimo successo hanno riscosso Ursula Le Guin e due altri
scrittori, sul tema "Anarchismo e letteratura". La tavola rotonda più intellettuale ha avuto luogo
l'ultimo giorno sul tema "Anarchismo e cinema". Avremo occasione di riparlarne. Bisognerebbe citare ancora
le proiezioni di films (in particolare La Patagonia rebelde e il
documentario sugli anarchici ebrei negli Stati Uniti The Free Voice of Labour), i concerti di
musica contemporanea e anarco-punk, le splendide relazioni storiche di Paul Avrich su James
Joyce, Bernard Shaw, Man Ray e di altri artisti influenzate da Benjamin Tucker e da Emma
Goldman, la conferenza appassionata ma difficile da seguirsi (siamo in attesa della sua
pubblicazione!) di Carlos Otero su linguistica e razionalità, quella di Joel Spring sull'intervento
statale nel sistema scolastico americano... troppe tematiche, troppe giornate composite, scarso il
filo conduttore ma in complesso, almeno sul piano culturale un bilancio piuttosto positivo, con
numerosi contatti e nuovi campi di indagine.
Incontro ravvicinato con U. Le Guin
Il suo libro più conosciuto, I reietti dell'altro pianeta, ha entusiasmato tanti compagni, ed
è già
un "classico" della letteratura libertaria. E noi, che sapevamo di trovarla qui a Portland, non ce la
siamo lasciata scappare. Naturalmente il discorso con Ursula Le Guin non poteva iniziare che da
I reietti. Al centro di questo libro - ci dice Ursula - c'è una piccola
comunità di persone, gli odoniani:
questo nome deriva dalla fondatrice della loro società, Odo, che era vissuta molte generazioni
prima dell'epoca narrata nel romanzo e che non interviene se non implicitamente - dal momento
che al centro di tutta l'azione vi è lei. L'odonianesimo è l'anarchismo, non però quello
con-la-bomba-pronta, che io definirei comunque terrorismo, né quello del libertarismo economico di
matrice darwinista, che è di estrema destra, ma l'anarchismo quale prefigurato dall'antica
scuola filosofica Tao e successivamente espresso da Shelley e da Kropotkin, dalla Goldman e da
Paul Goodman. Il primo nemico dell'anarchismo è lo stato autoritario, sia esso capitalista o
socialista; il tema centrale della sua etica e della sua pratica è la cooperazione, il mutuo
appoggio. È certo la teoria politica più idealista, e per me la più interessante. Farla vivere
in un
romanzo: non lo si era mai fatto e per me è stato un compito lungo e difficile, che mi ha
assorbito per molti mesi. Dal momento che il tuo romanzo descrive una società anarchica sulla
luna, isolata, con poche
risorse, senza governo ma dove la libertà e la creatività individuali sono drammaticamente
limitate dalla pressione dell'opinione pubblica, forse vuol dimostrare che l'anarchismo è
irrealizzabile? Davvero ti sembra che sia così? Quando io ho concepito questo libro, non
conoscevo nessun
tentativo di metter per iscritto un'utopia anarchica, né un'utopia creata da una donna. Io ho
cercato di dimostrare un ideale che a me sembra necessario, senza il quale non vi può essere
progresso. È chiaro che a mio avviso questo ideale può essere realizzato in piccole comunità,
mentre su scala nazionale vi sono tanti altri problemi. Io non voglio esprimere giudizi, tanto
meno sul fatto se il movimento anarchico attuale costituisca una forma di realizzazione pratica
di questo ideale: in una certa misura, penso proprio di sì. Ma la società di Anarres non
è forse ancora più oppressiva di quella in cui viviamo ora noi? Che vuoi, le persone sono
quelle che sono. Non si può lasciar scomparire semplicemente lo Stato
e poi sfregarsi le mani e dire "è fatta!", senza che la generazione seguente non abbia da fare,
non debba impegnarsi per costruire qualcosa ed evitare che lo Stato ritorni.... Quali sono state le tue fonti
di ispirazione? Kropotkin, soprattutto Il mutuo appoggio; gli anarco-sindacalisti; Paul
Goodman, per quel che
riguarda la gestione delle città; Murray Bookchin, per quel che riguarda le tecnologie dolci ed
anche il suo modo di presentare l'anarchia come un'idea semplice, bella da immaginarsi; per
quel che riguarda il funzionamento della società, mi sono ispirata ai kibbutz e alle collettività
cinesi. Hai citato Bookchin:secondo lui, è proprio la nostra società del benessere che
più di altre rende
possibile l'anarchia. Tu invece fai di Anarres una terra povera, al punto che la scarsità delle
risorse provoca, per esempio, la censura (a causa della penuria di carta). Tu avresti potuto
scrivere di un post-scarcity anarchism, cioè di una anarchismo in una società del
benessere,
senza penuria? Non vedo perché non dovrebbe funzionare. La povertà di Anarres non
costituisce un presupposto
ideologico, serviva solo per semplificare le finalità dell'autore. Me la caverei anche nel
descrivere questo contrasto semplice tra gli anarchici poveri ed i capitalisti ben pasciuti. Nel ciclo dei
romanzi di cui fa parte, I reietti dell'altro pianeta è uno dei pochi a situarsi in
un'epoca che assomiglia alla nostra, con una vita quotidiana simile alla nostra, mentre quasi tutti
gli altri libri sono quasi dei romanzi che si svolgono nel medio-evo, presso tribù
straniere.... Anche questo è dovuto alla semplificazione, necessaria in un romanzo. Se avessi
scritto "c'era
una volta...", il lettore avrebbe potuto subito datare il libro: mentre quando è in ballo un grande
tema, ci si deve concentrare su quello e basta. Per esempio, nel libro The left hand of darkness i
personaggi sono androgeni e vivono in un regno tutto sommato familiare. Se li avessi posti in
una società sperimentale come Anarres, tutto si sarebbe complicato. È necessario che i
personaggi siano almeno un po' riconoscibili! I reietti è inoltre il più politico dei miei
libri, e
quindi anche il più satirico. Alcune compagne si sono dispiaciute che il protagonista sia un
uomo. Non è stata una scelta deliberata. Shevek proviene dal mio inconscio: se è un
uomo, che posso
farci? Pensa poi che all'inizio io credevo che Odo, la fondatrice del movimento, fosse un uomo, e
ciò per pura e semplice abitudine. È stato necessario che io la guardassi più da vicino, per
accorgermi invece che era una donna. E se ora mi chiedete se per me vi sono rapporti tra
l'androgenia e l'anarchia, io vi rispondo che vanno di pari passo. Nel movimento anarchico molti
apprezzano i tuoi libri e stasera, per esempio, quasi tutte le 300
persone presenti avevano I reietti in mano. Quali sono i tuoi rapporti con il
movimento? Dopo la pubblicazione di questo libro, molti mi hanno scritto. Tutto il lavoro precedente di
ricerca e di comprensione io me l'ero fatto da sola. In questi tempi sto lavorando ad un progetto
diverso. A volte mi sento un po' in colpa, ma non ho alcuna intenzione di mettermi al servizio di
chicchessia. La mia vera vita è sulla carta, e quando vado a qualche manifestazione, tutto mi
sembra un po' teatrale. E così, mentre durante la guerra del Vietnam io mi trovavo in
Inghilterra, è stato duro per me non poter far niente, non firmar niente, non manifestare mai. E
allora ho scritto un romanzo, The word for world is forest. Un libro sul Vietnam.
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