Rivista Anarchica Online
Quelli del Dioniso
di Balbus
L'esperienza di Dioniso, intrecciata con quella del suo promotore Gian Carlo Celli (morto,
cinquantenne, la scorsa estate) è certamente tra le più interessanti e ricche di insegnamenti nel
panorama delle esperienze alternative di vita, di espressione, di comunicazione e di lotta che
siano state realizzate negli ultimi vent'anni in Italia. Dall'elaborazione di un nuovo modo di
"fare teatro" all'occupazione dell'ex-Hotel Commercio di Milano, dall'esperienza sarda al
laboratorio-comune a Roma, dalla contestazione al Papa alla galera, quelli del Dioniso hanno
attraversato gli ultimi anni '60 ed il decennio successivo con il loro crescente bagaglio di
esperienze, di elaborazioni teoriche, di rapporti umani. Oggi si può parlare della loro
avventura al passato: la prematura ed improvvisa morte di Celli è
sopravvenuta quando il gruppo si era ormai definitivamente sciolto. A testimonianza del lavoro
comunemente svolto, restano numerosi documenti, tra i quali le riprese filmate de Il grande
funzionario, dei momenti più significativi dell'esperienza sarda e del negozio "uso libero". Resta
soprattutto la storia di un progetto e della volontà di realizzarle, di cui Celli fu il promotore e
del quale un altro compagno del Dioniso - Balbus - traccia in queste pagine un sintetico profilo.
Gian Carlo Celli nasce a Lucca il 22 giugno 1929, studia all'università di Bologna e nel 1951 si
laurea in giurisprudenza con la tesi: "Il diritto d'autore nella regia teatrale". Regista al CUT di
Bologna; collabora con Fiamma Selva fondatrice del teatro di poesia "La Cantina"; allestisce
"Tutto questo è finito" di J. Alldridge, "La Locandiera" di C. Goldoni, "La dama bruna" dai
sonetti di B. Shaw e di un libero adattamento di J. da Todi "Lauda d'amore", cura la scenografia e
i costumi della "Tragedia d'amore" di G. Heiberg. Dal 1951 al 1953 frequenta il Centro
Sperimentale di Cinematografia di Roma e per contrasti con l'allora direttore G. Sala non prende
il diploma e si dimette dal Centro perché non gli permettono di girare il suo cortometraggio
d'esame: "Reazioni diverse del primo bacio". Nel 1953 sempre con il teatro "La Cantina" realizza
al Ridotto dell'Eliseo la scenografia mobile, filmica e dipinta per lo spettacolo da un suo libero
adattamento: "Il Cantico dei Cantici", inoltre la scenografia e i costumi per "Il compianto Ignatio
Sanchez Meijas" di G. Lorca. Nel 1954 assistente alla regia di A Blasetti e di C.L. Bragaglia; nel
55/57 realizza in proprio "Ultimi Goliardi" e "10 minuti con un uomo" che vengono bocciati in
censura o alla programmazione obbligatoria. Questi continui scontri e le impossibilità a realizzare
prodotti culturali autonomi, gli dimostrano
la sudditanza totale del mondo culturale, che si rifà appieno alle leggi del mercato. A
dimostrazione di questo è costretto, per sopravvivere, a lavorare due anni in una società
pubblicitaria milanese come "esperto cinema", continua però instancabilmente a scrivere soggetti
cinematografici, testi teatrali e poesie; intensa in questo periodo anche l'attività di pittore e
scenografo. Torna a Roma, dove, dalla esigenza di sperimentare nuove ipotesi sulla
partecipazione attiva, fonda nel 1965 la "Cooperativa spettatori Dioniso club". Lo scopo sociale è
di favorire la sperimentazione di nuove soluzioni di linguaggio nel campo dello spettacolo e
inoltre di contribuire a creare un nuovo pubblico. Dalla cooperativa nasce ben presto la
compagnia sociale "Dioniso Teatro" e inizia anche la stabile collaborazione durata tre anni tra
Gian Carlo Celli e il musicista Domenico Guaccero. Le prime ipotesi del "Dioniso Teatro"
partivano da questi punti: a) La società tende a massificare e a soffocare l'individuo ed è quindi
prima di tutto indispensabile agire con mezzi che non siano quelli di massa. b) Fiducia nel teatro,
forse uno dei mezzi che può ancora sottrarsi alla massificazione. Le ipotesi da sperimentare: 1) Il
teatro può risolvere i rapporti interumani in modo più reale e civile del passivo fantasticare cui
è
costretto lo spettatore del cinema e della televisione. 2) Verificare a quali condizioni
psicologiche, ideologiche e di tecnica scenica è possibile una partecipazione attiva nell'ambito
dell'assemblea teatrale, concepita come comunità attori-spettatori. Appare subito chiaro che di fronte
a un pubblico eterogeneo, psicologicamente abituato a farsi
condizionare dal cinema e dalla TV, è indispensabile iniziare un primo controllo delle ipotesi,
partendo dalle particelle più elementari, stabilire delle primordiali strutture di linguaggio teatrale
aperto con inserimento degli spettatori. Il che in altri termini significa "iniziare" gli ex-spettatori
ai primi passi verso la partecipazione attiva. Così nascono le "prove di iniziazione per un
pubblico attivo o nessun pubblico".
Il rito laico
Agli inizi del 1966, prima e dopo le "prove di iniziazione", sono tenute anche le "poetry session"
che risultano un altro mezzo idoneo per evidenziare tendenza ideologica e politica dei presenti e
stabilire un certo grado di omogeneità nella comunità serale. È significativo infatti che quasi
tutti
i nuovi poeti e i loro amici partecipano poi attivamente alle esperienze del successivo momento
di ricerca: "il rito laico". La teoria del "rito laico" può essere così sintetizzata: a) La
società è oggettivamente divisa in
gruppi. Ogni gruppo ha una sua ideologia rudimentale, embrionale, oppure ben definita, in
accordo o contro la legge vigente. b) Il fatto teatrale deve nascere dalla base dei gruppi sociali,
dai suoi componenti posti alla pari tra di loro. c) Come il cittadino ha il diritto e il dovere di
partecipare alla vita pubblica, così i partecipanti all'assemblea teatrale hanno il diritto e il dovere
di influenzare e determinare un evento scenico. Il teatro assemblea può forse diventare il rituale laico:
un rito che, pronto ad autodeterminarsi ed
evolversi, garantisca il contrasto, la dialettica come metodo di ricerca, la libertà di opinione, di
espressione, di creazione, di parità di tutti i partecipanti. Vengono provate numerose strutture
aperte che si basano su combinazioni sceniche di cui il pubblico, ormai partecipante, interviene
scegliendo o le varie combinazioni, o la sequenza che queste devono avere oppure l'elaborazione
stessa della struttura base. Nel 1967 viene definita la funzione dell'autore, dell'attore, del partecipante. Il
partecipante è
l'elemento variabile, l'incognita che rivelandosi condiziona l'andamento e le varianti della serie.
L'attore è un partecipante specializzato provvisto di particolari doti psicologiche e di prontezza di
riflessi, oltre che di una preparazione tecnica sia vocale che gestuale. Non è più l'attore
tradizionale, ma l'elemento psicofisico che continuamente trasmette e riceve sottoposto ad una
serie di stimoli incalzanti che lo costringono, come mai avviene nel teatro tradizionale, o a
inventarsi in continuazione o a rivelarsi totalmente nella sua natura più segreta. Il regista ha la
funzione di predisporre le strutture portanti sulle quali l'attore prepara la sua serie di possibilità
sceniche catalizzate poi dall'intervento del partecipante. L'autore ha la funzione di individuare i temi che dal
punto di vista ideologico permettano una
vera comunione tra i partecipanti all'assemblea. Vengono così preparate strutture aperte dai testi
di Ben, di G. Falzoni, Elio Pagliarani e di Gaetano Testa e proposte al Festival di Spoleto. Il gennaio-febbraio
del 1968 è uno dei periodi più intensi dal punto di vista teorico che vive il
"Dioniso", ma è vissuto anche come un momento di disorientamento da parte di alcuni attori che
vedono sempre più chiaramente trasformare la loro funzione. Il passo successivo infatti, il teatro
dell'esperienza diretta sviluppa sino a conseguenze originali alcune premesse contenute in altri
esperimenti e sostiene che in luogo della rappresentazione di un testo, di una struttura, di una
esperienza, deve venire offerta una esperienza diretta, vitale, fondamentale, destinata ad un
pubblico in un rito nel quale ogni membro della compagnia, avendo rinunciato alla propria
teatralità residua, svolga solo un ruolo di assistenza a fini istruttivi e maieutici.
Fondamentalmente è l'apporto di Giordano Falzoni e della "dream machine" ("macchina per
sognare") di Brion Gysin, che è costituita da un cilindro illuminato internamente da una
lampadina, fuori nero, bianco dentro, con una serie di fessure verticali. Girando sul piatto di un
giradischi si produce una luce intermittente che, osservata da vicino ad occhi chiusi, attiva il
ritmo alfa. Questa macchina è sperimentata da Falzoni a Milano e usata dal "Dioniso" per una
serie di esperienze da cui in genere il pubblico istituzionalmente viene escluso: la visione diretta
dei propri contenuti psichici latenti. Ovvero la produzione di immagini affidata all'automatismo e
al caso per l'elaborazione di testi poetici. La nozione di teatro tradizionale risulta nettamente superata
poiché lo spettacolo cambia. Non è
più da ricercare nell'ambiente predisposto per l'esperienza, ma dentro di sé. Dal Celli viene
definita nella "teoria del campo teatrale" tutta l'esperienza tra soggetti agenti e partecipanti. Si
arriva al maggio 1968 che è decisivo per la definizione del gruppo che fino allora era stato in
modo generico di sinistra, laico e progressista, per una più precisa coscienza di lotta politica in
direzione libertaria. Iniziano esperienze culturali ed esperienze politiche, e d'ora in avanti su questo doppio
binario,
dialetticamente connesso si svolge la vita del gruppo. Viene contestato il Festival di Spoleto e
insieme alla Associazione Nazionale Autori Cinematografici il Festival di Venezia e
l'occupazione del Palazzo del Cinema. Il successivo documento teorico, dopo dieci giorni di
dibattiti, ha per oggetto il "rapporto diretto". Il suo punto più qualificante (creazione di un gruppo
autonomo con proprietà collettiva che intervenga politicamente nella realtà) determina una forte
selezione nel gruppo e conclude il capitolo del "Dioniso" all'interno dello spazio teatrale e lo
colloca nella strada, nella piazza come gruppo teatrale-politico. Nel dicembre del 1968, rimasti solo in tre, Gian
Carlo Celli decide di provare a Parigi il
"rapporto diretto" con partecipanti stranieri. Passando per Milano, date le difficoltà finanziarie,
chiede alloggio alla Casa dello Studente e del Lavoratore di piazza Fontana, ex-Hotel
Commercio, occupato da pochi giorni da un centinaio di studenti-lavoratori. La nuova realtà
esistenziale, la vita in comune con gli studenti-lavoratori, quasi tutti del sud, il rapporto continuo
con una realtà di lotta, fa dimenticare del tutto il viaggio a Parigi e Celli si decide a intervenire
prima di tutto nel luogo dove vive. All'interno della Casa dello Studente si pone due obiettivi:
affermare la propria identità politica in quanto anarchico, e sviluppare il discorso teatrale iniziato
a Roma: partire dalla partecipazione attiva degli spettatori all'interno della struttura teatrale, per
arrivare alla partecipazione attiva nella vita. Sono resi così dialettici e sottoposti al principio di
contraddizione e di implicazione interna i concetti di realtà e finzione: la realtà che con i suoi
aspetti netti e precisi fa di per sé spettacolo, finzione teatrale che nella rappresentazione
dell'"attore" diviene realtà oggettiva. L'Hotel Commercio come palcoscenico dove il concetto di
autogestione attuato dagli occupanti scardina la rigida separazione fra realtà-finzione, attore-spettatore,
logica stessa del potere. In questo contesto Gian Carlo Celli fonda il gruppo anarchico "Dioniso Milano" e il
12 febbraio
1969 viene effettuato un intervento di teatro guerriglia durante lo sciopero generale. È una
struttura itinerante nel quartiere operaio Bovisa ricavata dal testo "Uomo Massa" di E. Toller. Gli
interventi del "Dioniso" non si limitano sullo specifico teatrale, ma investono anche situazioni di
lotta di quel periodo: occupazione della casa editrice Saggiatore, picchettaggi all'Università,
interventi per impedire gli sfratti alle case popolari, lotta all'interno della Casa dello Studente per
l'agibilità di tutti. Nella primavera del 1969 con la collaborazione di Giuliano Scabia viene
proposto nei quartieri Gallaratese, Quarto Oggiaro, Tessera il testo "Il grande Funzionario" in
appoggio alla lotta per la riduzione degli affitti insieme all'Unione Inquilini.
In Sardegna
S'incomincia a discutere l'esigenza di sperimentare il "rapporto diretto" con popolazioni di
diversa formazione culturale. S'indicono riunioni; la presenza di compagni sardi, le loro
relazioni, le indagini con statistiche delle regioni italiane con il più alto tasso di emigrazione, e
infine, la notizia del movimento popolare di occupazione dei territori del poligono di tiro di
Pratobello presso Orgosolo, fanno optare per la Sardegna. Dopo una raccolta di fondi, collette e
tassazione di amici, ai primi di luglio del 1969, Celli con un gruppo di dodici compagni arriva a
Olbia con attrezzature da campeggio, una sola automobile stracolma di sacchi a pelo e materiale
di scena. Installano le tende vicino al campeggio di S. Lucia e iniziano subito le difficoltà. Una
denuncia per vendita di manifesti del maggio '68, blocchi stradali della polizia, controlli continui,
infine il divieto di rappresentare la struttura "esercizi per la rivoluzione" all'interno del
campeggio. Il gruppo da S. Lucia prosegue per Mamoiada dove la popolazione li accoglie amichevolmente e
mette loro a disposizione un mandorleto per accamparsi. Il "rapporto diretto" con la popolazione
prevede: inchiesta con magnetofono su problemi specifici del posto; Dioniso-Test, gioco politico
per stabilire un approccio di tipo "ludico", aprire un discorso politico sulle ideologie e mettere in
dubbio il concetto di ideologia, in quanto simbolico; pittura murale con partecipazione popolare:
Dioniso-Scuola, meccanismo che sfrutta la singolarità e spettacolarità dell'intervento a favore di
uno svisceramento dei problemi; poetry session nelle case; teatro assemblea: "esercizi per la
rivoluzione"; riunioni ed assemblee più strettamente politiche. La rappresentazione nella piccola
piazza di Mamoiada di "esercizi per la rivoluzione" costa 13 denunce per spettacolo non
autorizzato. Il gruppo "Dioniso" dichiarando di avere effettuato uno "psicosondaggio" e non un
testo teatrale evita il processo. Da Mamoiada il gruppo si sposta ad Orgosolo dove vengono
ripetuti gli stessi interventi, inoltre sono indette assemblee nella piazza del paese con i pastori,
con i braccianti, con il Circolo Culturale di Orgosolo. Le compagne del gruppo si organizzano
per riunioni di sole donne. Prima dell'inverno il gruppo si sposta a Nuoro; viene allestito uno
studio grafico per scritte, ritratti, pitture murali, cornici, cartelloni ecc.. Dopo riunioni a carattere
regionale dei gruppi operanti in Sardegna il "Dioniso" propone la creazione di un "Comitato
Sardegna" per l'internazionalizzazione dei problemi e delle rivendicazioni del popolo sardo.
Viene elaborato anche quello che riteniamo il documento teorico fondamentale sulla funzione di
un gruppo esterno: "Funzione libertaria del gruppo esterno di intervento" (l'Internazionale, 1
maggio 1970).
Il Papa contestato
La preannunciata visita del Papa a Cagliari (aprile 1970) e soprattutto nel quartiere S. Elia, viene
vissuta dal gruppo come una provocazione. Infatti questo borgo rischiava di essere demolito per
far posto ad un quartiere residenziale. Già nel novembre 1969, alcuni compagni del gruppo si
erano spostati a Cagliari per condurre una inchiesta sulle lotte esistenti per il diritto alla casa, e S.
Elia era l'esempio più macroscopico della ghettizzazione urbana. Il gruppo decide di attuare una
forma di protesta facendo lo sciopero della fame contro la visita del Papa e si sposta a Cagliari.
Viene fatta una raccolta di firme per impedire, non solo la demolizione del borgo, ma per la
messa in opera di strutture sociali e igienico sanitarie. Petizione che viene recapitata in comune.
All'accampamento del "Dioniso" si avvicinano numerosi compagni di Cagliari, che di fatto
tramutano un gesto di protesta in una assemblea permanente dove vengono affrontati tutti i
problemi del posto. Poche ore prima dell'arrivo del Papa quattro individui in borghese, senza
qualificarsi, arrivano alle tende asserendo che essendo stato rubato un megafono alla RAI,
devono controllare quello del "Dioniso", anzi lo devono requisire. Per strapparlo dalle mani del
Celli, gli procurano una lussazione al dito. Si decide di denunciare all'opinione pubblica la
violenza subita e Celli viene portato all'ospedale per poter sporgere la denuncia: all'arrivo invece
viene arrestato. Difatti nel frattempo la rabbia popolare esplode contro la polizia che non solo
non restituisce il megafono sequestrato, ma a tale richiesta ferma e carica i compagni. Scoppiano
tumulti, zuffe, sassaiole, il corteo papale fugge a spron battuto, la polizia che ha caricato si trova
in preda al panico. Con massicci rinforzi di carabinieri riprende in mano la situazione fermando
più di 80 persone, di cui 22 saranno arrestati e 3 e a piede libero, 25 feriti tra i poliziotti. "Il Papa
contestato", "La visita del Papa a Cagliari turbata da anarchici con lancio di pietre": nei
giorni seguenti si scatena una polemica forsennata fra il Vaticano e tutta la stampa che viene
definita "deformatrice" e non più informatrice. Dopo quattro mesi di carcere quelli del "Dioniso"
vengono assolti in istruttoria dai reati più pesanti. Gian Carlo Celli si rifiuta di lasciare il carcere
per solidarietà con i compagni sardi e dopo una situazione grottesca in cui le guardie carcerarie
inutilmente tentano di convincerlo ad uscire, viene scaraventato fuori. Il 3 ottobre 1970 inizia il processo contro
i 22 arrestati per i fatti di S. Elia. Il processo durato più
di un mese accerta la responsabilità oggettiva dei poliziotti nell'innescare la dinamica degli
incidenti, ma all'interno del loro "spettacolo giudiziario" non possono non far pagare ai sardi, i
più impegnati fra i compagni, lo smacco subito, per cui infliggono dieci condanne assurde di cui
tre pesantissime a 1 anno e 10 mesi. Ai primi del 1971 i quattro superstiti del gruppo decidono di
muoversi in direzioni diverse: Gian Carlo Celli torna a Roma e, dopo mesi di ricerche e
preparazione, riesce a creare insieme ad altri compagni romani, dopo un incontro-dibattito
tenutosi al Beat 72 sull'esperienza e l'evoluzione del "Dioniso", un laboratorio-comune-Dioniso
nel proletario quartiere Tiburtino. Il laboratorio si basa sulla produzione in comune di manifesti
politici, cornici e grafica come a Nuoro. Dopo i primi otto mesi dedicati a mettere a posto il
locale e a lavorare nel quartiere come artigiani, inizia un rapporto con i ragazzi più giovani e si
avvia una spontanea scuola libertaria.
Uso libero
Nel giugno 1972 viene decisa un'azione esemplare: parte della produzione del laboratorio è
adoperata per contestare il concetto di prezzo che equivale a contestare il concetto di valore. Si
organizza così la vetrina del negozio a uso libero con gli oggetti esposti a LireZero, e un cartello:
"prendete secondo i bisogni e secondo coscienza". Questo fatto, contrariamente a ciò che gli
scettici pensavano, non produce l'arraffamento degli oggetti esposti. I fruitori dell'uso libero
prendono gli oggetti che gli servono e portano quelli che non usano più. Si determina così un
reale cambiamento nel concetto stesso di valore d'uso rispetto al valore di scambio. Questa
esperienza dura anni con alterne vicende e si conclude di fatto nel 1978 quando viene a mancare
del tutto l'impegno dei compagni che avevano collaborato. Negli ultimi anni Gian Carlo Celli, dopo aver tradotto
"News from nowhere" (La terra promessa"
di W. Morris, poeta, pittore, tipografo e socialista inglese, studia di poter realizzare un progetto
ambizioso: adattare questo romanzo a festa-creazione collettiva, dove si ipotizza ed esperimenta
la futura società anarchica: vivere la realtà per un giorno, una settimana, un mese, nell'ambito di
una visione attualizzata del romanzo. Gian Carlo Celli muore a Massa il 21 luglio 1979 lasciando il progetto
della "Terra promessa"
incompiuto, ma avendo fatto della sua vita tale progetto, è questa la terra promessa che lascia.
Quale terra promessa?
Dall'intervento in Sardegna è da rilevare il formarsi di numerosi gruppi che sulla spinta dei fatti
accaduti si definiscono più precisamente. Difatti dopo gli interventi in Barbagia, dopo i fatti di S.
Elia e dopo il processo durato più di un mese, con conseguente partecipazione di stampa, la
propaganda fatta assume connotati che coinvolgono non solo il "Dioniso" e i compagni, ma tutta
l'area di coloro che vedono in questi esempi un modo diverso, autonomo di lottare. Per quello
che riguarda la vita comunitaria le esperienze più valide sono la cassa comune e la rotazione dei
compiti. Particolarmente importante l'incarico a rotazione di coordinare il lavoro di tutti; questa
funzione si rivela indispensabile sia per evitare tempi morti e dispersione di forze individuali, sia
per responsabilizzare ognuno a tutti i problemi in corso, sia per suddividere equamente tra tutti la
fatica del coordinamento. Tra tutti i vari mezzi di intervento uno dei più efficaci è l'affresco
collettivo perché oltre ad una effettiva partecipazione per la progressiva elaborazione dell'opera,
rimane l'opera che continua nel tempo a trasmettere il suo messaggio. Clamoroso l'affresco di Orgosolo che
è addirittura riprodotto nelle cartoline del paese. Il Dioniso-Test, la Dioniso-Scuola, il teatro e le
poetry session assolvono la loro funzione nel produrre un
processo di partecipazione. In pratica con l'affresco si cattura da un momento collettivo
un'immagine-messaggio che rimane oltre l'evento di partecipazione. Questa metodologia si
ritrova anche nella teorizzazione dei gruppi di intervento: le minoranze interne (ad un processo
produttivo) sono costrette a condurre lotte sulle rivendicazioni economiche o all'interno del loro
spazio ristretto, il compito dei gruppi d'intervento esterni è di studiare o eventualmente
promuovere azioni esemplari e lotte che coinvolgano l'individuo su altri piani: in sostanza azioni
di guerriglia politiche e culturali insieme. Alla fine del 1970 dopo avere assistito e vissuto gli spettacoli del
potere da P.zza Fontana a
Valpreda il gruppo vive una profonda crisi. Di fronte a tale abilità spettacolare e politica, abile
proprio perché non smerciata come spettacolo, ma fatta credere realtà, la risposta più alta
e
organizzata che il "Dioniso" ha potuto dare è lo "spettacolo reale" della contestazione del Papa a
S. Elia e l'essere riuscito a mettere uno contro l'altro il Papa e la grande stampa d'informazione.
Questa esperienza appare come la punta massima cui poteva arrivare un gruppo che in fondo era
nato come teatro sperimentale, e se da un lato gli spettacoli del potere danno la conferma di una
delle tesi contenute nella "teoria del campo teatrale", dall'altro risulta evidente l'impotenza del
gruppo ad agire sempre allo stesso livello. Qual è la "Terra promessa" che lascia Gian Carlo Celli?
È la sua visione dinamica dei contrari, in
relazione tra loro, in un eterno moto dialettico che produce sempre maggiori possibilità per
l'uomo. Questa esigenza di trovare ipotesi nuove caratterizza l'avventura mentale di Gian Carlo
come ricercatore e sperimentatore. Tutti gli avvenimenti della sua vita tendono a dimostrare che
fermarsi su una sola ipotesi vuol dire di fatto svuotarla di tutti i suoi contenuti, perché senza
dinamica non rimane che il guscio vuoto della ripetizione. Durante l'occupazione dell'ex-Hotel
Commercio il Celli lotta strenuamente perché la Casa dello Studente sia aperta a tutti. Questa
posizione determina una serie di effetti: innanzitutto mette in discussione il principio di
proprietà: la casa è di chi ci vive e non del comitato di occupazione; crea una pluralità invece
di
accettare il monopolio da parte degli occupanti, poi a molti compagni che hanno partecipato
all'attività del "Dioniso" sarebbe stata esclusa la possibilità di intervenire e di collaborare alla
gestione della Casa. Anche in carcere, sfruttando la sua laurea in legge, avrebbe potuto vivere la storia con
questo
vantaggio, invece adopera il suo prestigio a favore dei compagni carcerati e degli altri detenuti,
tutelandoli con la sua "investitura legale" da ulteriori attacchi da parte del potere. Scrive ai
giornali per ringraziare pubblicamente i detenuti sardi della loro solidarietà e per l'appoggio
ricevuto nei primi giorni di isolamento, creando su altri principi una mutua partecipazione alla
condizione carceraria. Anche quando verrà assolto e dovrà uscire dalla prigione, risponderà
con
l'incognita del rifiuto, che pur nella sua spettacolarità si avvale di contenuti profondamente umani
e politici. A Roma in tutto il periodo in cui porta avanti l'esperienza dell'uso libero, risolve il problema del
lavoro facendo il pittore e ritrattista a piazza Navona e mette a disposizione la sua casa con la
speranza di fondare una nuova comune. Compagni, operai, studenti, anche di varie nazionalità,
trovano nella casa del Celli un punto di riferimento. Questa nuova aggregazione determina però
più una possibilità concreta di affrontare bisogni primari (mangiare, dormire) che l'antica ipotesi
della comune come gruppo di intervento. Le cause di questo limite vanno viste in una reale
modificazione dei tempi storici; l'azione politica assume connotazioni diverse, il personale
diventa politico. Dalla "società dello spettacolo" dove il potere è sempre vincente perché
riesce a
recuperare e stravolgere le ipotesi più rivoluzionarie, si è passati a risposte che non si ricollegano
più alla logica della rappresentazione manifesta come identità rivoluzionaria, ma ad una
identità
più personale e privata nella pratica di vita. Questa modifica dei tempi non fu mai accettata dal
Celli. L'identità personale come pratica di vita era per lui limitativa come era stato limitativo il
fare teatro e chiudersi nell'avanguardia. Gian Carlo Celli si è mosso quindi su questi due aspetti:
dal contenuto allo spettacolo, dallo spettacolo al contenuto. L'implicazione tra utopia e realtà nel
momento in cui si attualizza, crea una nuova realtà che non è solo utopica, ma è anche
reale.
Quasi un testamento
(...) l'ipotesi di fondo è dunque ancora e sempre la liberazione della creatività degli individui e
delle masse; la creatività intesa come una enorme forza propulsiva, una forza felice da
contrapporre alla squallida organizzazione del sistema capitalistico, una forza da sviluppare,
teoricamente e praticamente, nell'ambito della lotta di classe.
Ma, la liberazione della creatività è di fatto impedita dagli argini, i netti confini che in questo
sistema dividono il lavoro dall'arte, la realtà dalla finzione. Nella "società dello spettacolo",
lavorare solo nell'ambito dell'uno o dell'altro dei campi indicati (lavoro o arte, realtà o finzione)
vorrebbe dire confermare ciecamente con il nostro stesso lavoro l'esistenza della separazione e
degli "opposti", vorrebbe dire confermare la separazione tra lavoro alienato e creatività: cioè
confermare uno dei principali pilastri del sistema. Dunque, se l'obiettivo a lungo termine è la
progressiva erosione degli argini esistenti tra gli "apparenti assoluti": realtà e finzione, lavoro
alienato e lavoro creativo.
Gian Carlo Celli
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