Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 83
maggio 1980


Rivista Anarchica Online

Medicina e potere

Cari compagni di A,
Nel numero di maggio della rivista ho letto alcuni servizi riguardanti salute e potere, entranti nel merito di ospedali, personale infermieristico ecc., così mi è venuta l'idea di poter dare un contributo su questi problemi, descrivendo alcune esperienze in merito a problemi di produzione di farmaci, e al modo di far ricerca, in definitiva ad orientare ed a vendere la straboccante produzione di farmaci nel nostro paese, come mezzo di consumo. Tutto questo come dicevo per poter ampliare e conoscere un più vasto orizzonte in merito alle tematiche del Potere e della Salute. Come si produce il farmaco in Italia?
Nel nostro paese esistono e producono fra grandi e piccole circa 250 industrie farmaceutiche che danno lavoro a circa 20 mila persone. Queste industrie si rivolgono potenzialmente ad un mercato interno di circa 55 milioni di possibili acquirenti. Come si può ben notare il rapporto fra personale addetto alla ricerca-produzione-vendita di farmaci, ed il tessuto sociale è molto elevato per cui la produzione commerciale del farmaco dà vendite estremamente elevate. Chi di noi, non si ammala almeno una volta nella vita in questa società? Sinteticamente il meccanismo di produzione è questo:
ogni azienda di medie dimensioni (100-50) persone, (tutte le altre al di sotto di tale dimensione non producono farmaci mediante ricerche, ma copiano farmaci) hanno, dicevo, un ufficio addetto alle ricerche di mercato che mediante indagini compiute girando ospedali, cliniche, medici, indaga se esistono "spazi" in cui si possa in immettere un nuovo farmaco o specialità. Tali indagini non partono da pazienti o dal sociale ma da ambiti ristretti, e partono dal concetto che una ricerca deve essere necessariamente produttiva e deve mirare a vendere il farmaco, costi quel che costi. Vi sono così malattie che hanno a disposizione una vasta gamma di preparazioni medicinali e altre malattie che pur essendo presenti nel tessuto sociale non vengono considerate, anche perché essendo pochi i portatori di questi malesseri, non conviene commercialmente produrre farmaci che avranno una bassa produzione e quindi una bassa vendita. Tanto per fare un esempio calzante, a mio figlio, affetto da spasticità, devo dare pillole che gli levino durante la notte alcune piccole crisi epilettiche, ma che non risolvono il suo stato di scoordinazione motoria. Tenete presente che in Italia abbiamo il più grosso ricettario farmaceutico, in cui compaiono qualcosa come 16.000 specialità medicinali e ricordiamoci che i principi attivi che hanno vera efficacia su cui si basa un farmaco in genere sono circa 220. Per principio attivo si intende uno specifico meccanismo d'azione per cui, una volta somministrato un farmaco a un paziente, tale farmaco produce una rigenerazione di alcuni tessuti, tale da rimuovere parzialmente o totalmente la causa del malessere.
Dall'indagine alla ricerca di qualcosa di vecchio da rivestire a nuovo e presentabile in forma diversa, il passo è breve. In altre parole, dopo aver individuato un "terreno malato" che offra spazi di sicura vendita per un "nuovo-vecchio" farmaco, questi uffici di indagine passano la loro informazione al settore ricerca il quale sintetizza il concetto dicendo ad esempio: nel settore delle malattie di cuore si può immettere un nuovo farmaco, visto che esistono farmaci vecchi in commercio, e visto che le malattie cardiache sono in aumento. A questo punto scatta il meccanismo di ricerca: definito il campo di ricerca cardiaco, il tecnico ricercatore ha alcune metodiche di lavoro, per cui somministrando ad un animale una sostanza x di cui si pensa che possegga attività sul cuore, si possano quindi vederne le modificazioni cardiache. Ad esempio: dando del calciocloruro in vena ad un ratto, ecco che il suo battito cardiaco si modifica, a questo punto dopo un breve periodo gli si dà la sostanza x e si annota se queste modificazioni scompaiono. Posto che la sostanza x abbia effetto si provvederà a sperimentare sulle persone fisiche, dopo aver per fortuna fatto alcuni studi sulle tossicità latenti. A volte succede così, cari compagni, che il farmaco che stanno somministrandovi in ospedale non si sappia esattamente ancora se faccia bene o male e così si fa le cavie per il padrone del farmaco.
Mi ricollego e confermo quanto detto da Giuliana nell'articolo Le cattedrali della salute ("A" 74, pag. 19). Una volta che in clinica il farmaco abbia dato qualche effetto, gli si dà un nome facilmente ricordabile e via, si lancia il prodotto con tanto di campagna pubblicitaria, come le macchine, farmaco nuovo per malattia sociale. Sono tantissime le diverse preparazioni medicinali di pastiglie, fiale, supposte, sciroppi ecc. e tutte devono passare per una piccola "fessura di mercato" che il medico, cioè colui che determina la vendita, prescrivendo di fatto il farmaco. Questa "strettoia" viene unta e allargata con volantini, regali e sollecitazioni insomma di tutti i generi onde ottenere l'effetto desiderato: la prescrizione.
Tutto questo ben congegnato meccanismo ha reso miliardi, molti troppi farmaci inutili sono prodotti in Italia e per di più pensate che, essendo a carico delle mutue, siamo ancora noi lavoratori che paghiamo le medicine in forma differita, tramite le trattenute in busta paga. Il cosmofarmaco ha radici così profonde ed il medico ha un ascendente così forte sul malato che il cerchio è praticamente eterno. Per descrivere più dettagliatamente l'intero universo farmaceutico italiano non basterebbe un numero completo della rivista. Ho cercato di essere sintetico, ciao e non ammalatevi mai.

Un lavoratore farmaceutico (Milano)