Rivista Anarchica Online
Un'altra stangata
di C. L.
Dal 17 agosto i quotidiani sono passati da 300 a 400 lire; dal 1° settembre le tariffe ferroviarie
aumentano del 15-20%. E non sono che due degli ultimissimi aumenti del costo della vita, che si
vanno ad aggiungere e a confondersi con tutti quelli a raffica decisi e messi in atto durante
quest'altra estate italiana. Per quanto riguarda il governo, poco importa che sia il Cossiga 1° o il
Cossiga 2°, che sia di unità nazionale o tripartito, che goda della neutralità del P.C.I. o della sua
"intransigente" opposizione, che abbia sentito le parti sociali o che si adegui alla realtà europea:
in una maniera o nell'altra, i "ritocchi" (come lor signori, a mo' di vaselina, definiscono gli
aumenti da loro decisi) sono assicurati. E il giorno dopo, su tutti i quotidiani, compare il solito
editoriale che mette in guardia il governo sulla stanchezza del Paese reale, sul fatto che la gente
non ne può più, quindi sulla necessità che gli ultimi aumenti servano davvero a migliorare
i
servizi: come al solito, tirando un po' le orecchie al governo, non si fa che spingere la gente a
credere che questa volta davvero gli aumenti erano indispensabili, che serviranno a migliorare la
cosa pubblica, che non bisogna lasciarsi andare a reazioni inconsulte, ecc.. È sempre la solita
recita, che tutti ben conosciamo. Un copione un po' diverso ha avuto all'inizio dell'estate la vicenda dello 0,50%.
Non si trattava
del solito aumento, ma addirittura di una trattenuta (dello 0,50% appunto) direttamente
"all'origine", sulla busta-paga. L'insieme delle trattenute sarebbe andato a costituire un Fondo di
solidarietà gestito anche (seppur minoritariamente) dalla Confederazione sindacale CGIL-CISL-UIL:
è questo aspetto di novità, rispetto alle forme tradizionali di rapina sul salario, che ha
scatenato il dibattito politico-sindacale in proposito. Tra i rapinatori, questa volta, ci sarebbero
stati ufficialmente anche i sindacati, e questo aspetto della vicenda non poteva passare
inosservato. Tanto più che il direttivo confederale aveva dato il suo avallo completo al decreto-legge
governativo con tale rapidità, come se si trattasse della cosa più scontata del mondo, da
giustificare gli immediati dubbi di molti lavoratori su di una "pastetta" concordata tra il governo
ed i vertici sindacali. Pur rischiando di logorare la sua immagine unitaria, la leadership del P.C.I. non ha perso
l'occasione per "scavalcare" a sinistra i vertici sindacali, sconfessando pubblicamente i propri
esponenti nel sindacato (Lama in testa). Tutto ciò in coerenza con la dichiarata volontà di
condurre una "dura" opposizione contro il Cossiga 2° e con quella, altrettanto chiara, anche se
non dichiarata, di riacquistare credibilità e di serrare un po' le fila dopo la discreta batosta
elettorale dell'8 giugno. Mobilitando i suoi militanti, rivitalizzando le cellule di partito nelle
grandi fabbriche, lanciando parole d'ordine apparentemente dure e combattive, il P.C.I. si è
presentato come la guida della riscossa operaia contro l'attacco di classe sferrato dal governo e
dal padronato e reso possibile anche dal comportamento imbelle della dirigenza sindacale. Grazie
anche all'atteggiamento analogo assunto su scala nazionale dalla F L.M., soprattutto nelle grandi
fabbriche del Nord (Italsider a Genova, Alfa Romeo a Milano, Petrolchimico a Marghera, ecc.) si
sono rivisti dopo molto tempo cortei interni ed esterni (a volte, con blocco della circolazione
automobilistica) affollatissimi e combattivi, cui hanno fatto seguito assemblee surriscaldate nel
corso delle quali l'operato dei vertici confederali è stato sottoposto a feroci critiche. Sono anche
emerse molte richieste di modifica dei meccanismi sindacali di delega, con l'obiettivo di
coinvolgere maggiormente i consigli di fabbrica a scapito delle strutture burocratiche sindacali
nella contrattazione nazionale e nella discussione dei piani di settore. Senza troppa fatica,
comunque, è prevalsa l'impostazione del P.C.I. e della F.L.M. tendente a limitare la protesta e ad
indirizzare il malcontento al fine di ottenere la semplice trasformazione del decreto-legge in
disegno di legge: approfittando dei tempi più lunghi, conseguenti alla necessaria discussione in
parlamento, sarebbe così stato possibile "consultare" la base - il che significa, in termini pratici,
prepararla adeguatamente all'accettazione di questa ulteriore batosta, magari un po' abbellita. Al
contempo, il P.C.I. avrebbe avuto l'occasione per usare le Camere come cassa di risonanza per la
sua linea demagogica, alla ricerca di nuovi consensi. L'intera vicenda si è poi conclusa farsescamente
all'italiana, con la rinuncia per ora da parte del
governo all'applicazione della famigerata trattenuta, anzi con l'impegno a rendere al più presto
quanto, in alcuni casi, già era stato trattenuto. Comunque, se ne riparlerà tra breve. Le questioni
sul tappeto restano aperte. Vi è per esempio il campanello d'allarme che è suonato
per i sindacati confederali riguardo a possibili forme di cogestione istituzionalizzata: la prudenza
in questo campo - questa la lezione per i vari Lama, Benvenuto, ecc. - non è mai troppa,
sopratutto in momenti come questo di diffuso malcontento tra la base per il continuo aumento del
costo della vita. Ancora più drammatica è la situazione dell'occupazione, dopo i preannunciati
licenziamenti alla FIAT ed in moltissime altre aziende anche grandi; interi settori, come quello
della chimica (sintomatico il caso della S.I.R.), sono sul punto di espellere decine di migliaia di
lavoratori. In ogni caso, poi, la minaccia dei licenziamenti serve per "ridurre alla ragione" i
lavoratori e le loro richieste: il rifiuto dello straordinario, le lotte contro il sabato lavorativo, il
deciso no alla mobilità operaia, ecc., rischiano di diventare solo un ricordo del passato - seppure
di un passato a noi vicinissimo. Non vi sono elementi sufficienti per ipotizzare, in questo contesto, una crisi
drammatica del
sindacalismo riformista, e di conseguenza non v'è da farsi illusioni in proposito. Certo è,
comunque, che la situazione sociale dei prossimi mesi non sarà troppo tranquilla. Chi intende
opporsi al disegno di normalizzazione riformista nelle fabbriche non dovrà stare con le mani in
mano.
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