Rivista Anarchica Online
Carissimi, dolcissimi compagni
di Monica Giorgi
Dalla compagna Valeria Vecchi, del "Collettivo carceri" di Parma - arrestata il 16 agosto insieme
con Ivano Zerletti e Nella Montanari e accusata per l'invio di materiale esplodente a detenuti del
carcere nuorese di Badu e Carros - ci è giunta ai primi di agosto copia di questa lettera della
compagna Monica Giorgi, arrestata in aprile a Cinisello Balsamo (nei pressi di Milano) dove
viveva ed insegnava tennis, nell'ambito della stessa retata che ha portato all'arresto di Gabriele
Fuga e di numerose altre persone (poi in gran parte rilasciate). A Livorno, sua città natale ed
anche sua attuale residenza (nelle locali carceri di Domenicani), Monica è ben conosciuta per la
sua intensa attività di propaganda e di agitazione anarchica - alla quale lei stessa accenna in
questa lettera. Il fatto poi che Monica sia stata per anni un elemento di punta della nazionale
azzurra di tennis, vincendo anche numerosi campionati italiani ed incontri internazionali, non
poteva non stimolare la imbecille creatività dei giornalisti nostrani, che hanno parlato di
"molotov della racchetta" ecc.. Intanto Monica è dentro e ci resta, sulla base delle accuse vaghe,
interessate ed inattendibili del solito Paghera. Come Gabriele Fuga sta pagando per il suo
impegno di lotta libertaria.
Carissimi, dolcissimi compagni, alla stregua del personaggio Josef K. ne "Il processo
di Franz Kafka" non so di che cosa mi si
accusi. Proclamarmi innocente è già un "cedimento", un'accettazione a lasciarmi
inquisire. Sulle carte - quelle per cui ti mettono le manette ai polsi - sta scritto: "Partecipazione
a banda
armata e associazione sovversiva". Un reato associativo, non un delitto specifico. Lasciamo
perdere le analisi descrittive dei mitra spianati, della irruzione senza ritegno di fronte
ai miei nipotini che, quella mattina, si erano alzati di buon ora per studiare prima di andare a
scuola.... Lasciamo perdere l'umiliazione, gli spaventi che i tutori dell'ordine, i carabinieri "nei
secoli fedeli" (fedeli cioè a Napoleone, ai Savoia, a Garibaldi, al fascismo, alla democratica
repubblica nata dalla resistenza) hanno fatto provare a mia madre, alle prime luci dell'alba quel
30 Aprile 1980: mia madre da sola ha "ricevuto la loro visita", la loro perquisizione che le ha
sconquassato la casa. Volevano perfino buttare giù un muro: peccato non c'erano segni né di
arma, né di banda!!! Così l'abbinamento politica-terrorismo/anarchia-delinquenza è andato
a
vuoto; ed è andato a vuoto, scartabellando fra libri di storia, filosofia, anche l'altra equivalenza:
pensiero uguale a disordine, come al tempo del nazismo quando si bruciavano i libri. Facciamo
un po' di storia: è senz'altro più istruttivo anche se non meno violento. Nei secoli
che vanno dal 1300 al 1600 trecentomila contadine, donne di umile origine furono
bruciate in seguito all'accusa di "stregoneria". Un invidiabile primato, forse non ancora
minacciato dalle odierne percentuali di prigionieri politici. L'imputazione che veniva rivolta agli
avvocati che si accollavano con troppo zelo il dovere di difenderle era quella di "indizio minore
di stregoneria". Una correttezza medievale di differenziazione fra imputata e difensore, che oggi,
"in nome dell'interesse comune", non è permessa. Oggi battersi per i diritti della difesa
significa "favorire", quindi essere complice, quindi
colpevole. Allora, l'inquisizione - come tale - era già per le poverette inevitabile condanna. Oggi
la procedura speciale è diventata diritto speciale non codificato. Allora il teste chiave delle
procedure per stregoneria era la tortura delle inquisite che, alla fine, si autocolpevolizzavano.
Oggi il teste chiave delle procedure, più o meno sommarie, sono i decreti antiterrorismo, i
trattamenti di favore, le leggi Fioroni che fanno degli assassini reo-confessi dei "pentiti" e
quindi dei depenalizzati. Trame e motivi, ieri come oggi sono sempre gli stessi. Provocazioni,
stragi di stato, genocidi in nome della civiltà sono i sistemi del potere. Coinvolgendo delle
persone oneste (e non mi perito a sottolineare l'aggettivo), i compagni
anarchici (e mi sento orgogliosissima di esserlo), si vuole annientare un'idea di uguaglianza e di
libertà, una tendenza storica dell'umanità sfruttata. Sulla questione giudiziaria del
mio caso specifico sono riuscita, attraverso la graduale
comprensione del linguaggio politico-poliziesco che la sostiene, a fissare alcuni punti. 1)
L'impalcatura indiziaria frana da ogni parte. Si cerca di arginare un lato rubando cemento
all'altro, senza che sostanziale e concreto materiale possa intervenire per tenere unita la trama
generale. 2) Paghera, "il teste-chiave" di tutta l'operazione 30 Aprile è senz'altro lo
scagnozzo di agenti
segreti e con le sue farneticanti dichiarazioni ha aperto una succursale in proprio. Come lo
stesso giudice istruttore Corrieri notifica, nei miei confronti "le dichiarazioni del Paghera
riguardano fatti da lui conosciuti non direttamente; ma appresi da terzi
(Cinieri-Monaco-Messana).... 3) Sul conto di Paghera, quale figura giuridica a cui sono riservate
attendibilità e credibilità c'è
da annotare: a) Ottenimento di un permesso dal carcere di Bologna dietro pagamento di 5 o 10
milioni versati
dal CIA Roland Stark. Nemmeno a dirlo: mancato successivo rientro alla scadenza. b) Arresto in
una pizzeria di Lucca con ritrovamento di armi. c) Autoproclamazione pubblica di appartenenza
ad Azione Rivoluzionaria. d) Assoluzione in tribunale dall'accusa di banda armata nel Novembre
'79. e) Troppo loscamente noto il personaggio Stark - agente tutto-fare fra servizi segreti americani,
italiani e libici - per soffermarcisi ancora una volta. Gli interrogativi, i lati oscuri di questa vicenda
che a definirla mistificazione non si rischia certo
di cadere nella retorica, si sprecano. Ad esempio: le "dichiarazioni" del Paghera quando, a chi,
di fronte a chi, per quali contropartite furono rilasciate?? È certo che il Paghera già nel carcere
bolognese sotto il tirocinio di R. Stark ha iniziato il suo addestramento alla provocazione e
all'infamia prezzolata. Perché i mandati di cattura sono stati eseguiti oggi e non al
momento delle acquisizioni di
"sufficienti indizi" (ammesso e non concesso che esistano) che il Paghera veniva diffondendo???
Nello spettacolo del potere, il blitz è più eclatante di disparati arresti frazionati nel tempo. Non
c'è da meravigliarsi se, come certamente sarà, nessun confronto in presenza di un giudice è
mai
stato fatto tra Paghera e i cosiddetti terzi, a conferma o meno delle sue dichiarazioni. Dunque,
"partecipazione a banda armata e associazione sovversiva". Mi fa un po' ribrezzo
essere abbinata a termini che si addicono più allo stato di corruzione e di violenza di questo
stato "democratico" che a me, immersa in una vita fatta di studio, lavoro, impegno,
indipendenza e libertà di scelte come donna e come persona coerente alle proprie idee
anarchiche e libertarie. L'esempio è sempre qualcosa di pericoloso, di sovversivo in una società
in cui la filosofia del "così è sempre stato" fa perpetuare sfruttamento e oppressione. Ecco,
immergendomi nella loro logica, nella loro mentalità che considera incomprensibile follia il
dissenso politico e per di più anarchico, mi è possibile giustificare l'arresto. Certo sarebbe stato
più leale scrivere sul mandato di cattura:... perché imputata di far parte di una banda che mette
in pratica l'uguaglianza e la libertà, dando contributo operativo affinché queste azioni si
propaghino nella società.... In questo caso non starei a scrivere della mia innocenza. Mi sarei
ritenuta, dichiarate irrimediabilmente e inoppugnabilmente colpevole. Ma così...!! Mi
è difficile cari compagni, fare una piecè ironica, una commedia alla rovescia di
una situazione che mi toglie - fosse anche per un giorno - il diritto alla vita. Quello su cui i
codici della legge dicono di essersi conformati, ma che invece hanno calpestato in quanto
strumenti coercitivi di una dittatura di classe, di qualsiasi classe che abbia conquistato il potere
per esercitarlo contro altre classi, contro altri uomini. Le responsabilità storiche di un diritto
che esercita la forza per estrapolare il consenso sono vicende che si legano al fascismo, al
totalitarismo politico, al terrorismo di stato. E intanto - come si fa a scherzarci sopra - perdo il
lavoro, i miei impegni sportivi che sono lavoro, i miei studi e le mie vacanze che sono lavoro
intellettuale e miglioramento morale. Sapete, la galera a chi la fa costa cinquemila lire al
giorno, anche se poi risulta innocente. Non consideratele lamentele personali; nella mia situazione
si trovano migliaia e migliaia di
proletari innocenti, non ancora colpevoli, colpevoli privati sempre dei presupposti per non
diventarlo o per non esserlo più. La galera, al di là dei suoi ricatti giornalieri, della sua
pedagogia a base di punizioni e compensi, resta e sarà l'infamia, la vergogna più grande di una
società che ha il coraggio spudorato di definirsi civile. E mi ricordo delle discussioni pubbliche
e collettive - organizzate dal Niente più sbarre a Livorno - proprio sul tessuto sociale proletario
che il carcere riveste; sulle prime analisi della riforma carceraria, sulle connotazioni di classe
che doveva caratterizzare l'intervento sul carcerario, sulla trasformazione del carcere in
prigione - campolager - in funzione di deterrente psicologico per il proletario politicizzato,
contenimento di antagonismo di classe. Non sono passati più di tre anni, eppure si vuole
proprio criminalizzare tutto questo lavoro,
questo patrimonio di coscienza, di storia, di acquisizione, di spazio politico che gli sfruttati si
sono conquistati. E mi ritornano alla memoria gli sforzi per fare arrivare anche a Livorno il
Living Theatre. Il "Niente più sbarre", collettivo anarchico, riuscì ad ottenere -
sotto il patrocinio comunale
dell'assessorato alla cultura - il palazzo dello sport dove gratuitamente assistettero allo
spettacolo del gruppo americano oltre duemila persone!! E mi sovviene delle continue,
snervanti, burocratiche richieste per usufruire della sala della provincia per i pubblici dibattiti
su "Repressione sessuale e oppressione sociale nell'opera di W. Reich", su "Germanizzazione:
un nuovo modello di violenza di stato". Allora erano presenti avvocati scomodi come Sergio
Spazzali, intellettuali anarchici come Bonanno, la sottoscritta, tutti finiti - guarda caso - in
carcere; consolante conferma delle loro analisi e previsioni politiche. E le campagne antifasciste
come quella per la liberazione di Giovanni Marini. In quell'occasione fu la compagnia portuali
a concedere la sala. Intervennero l'avvocato Papilo di Livorno, il Luca Villoresi allora
giornalista di Umanità Nova e oggi de La Repubblica, il pretore Viglitta, quello
dei "fanghi
rossi" di Scarlino. E l'impegno non-violento, antimilitarista contro quella bugia immane che è la
festa della Vittoria il 4 Novembre di ogni anno. "Non festa ma lutto" - si scriveva sui nostri
manifesti - "oltre due milioni di morti è costata questa 'festa'" - Festa di padroni ovviamente. E i
sacrifici economici, gli ostacoli burocratici per stampare e affiggere i manifesti che
commentavano i suicidi di stato di Ulrike Meinhof, di Baader, di Esslin, di Raspe, di tutti quei
prigionieri politici assassinati nei carceri-modello della socialdemocratica Germania. E il
tentativo di collegare al territorio i problemi carcerari. Quartieri-dormitorio, baracche,
ricoveri, prigioni, manicomi sono le strutture riservate al sottoproletariato, ovunque e sempre
detenuto: fuori nei ghetti, dentro nelle prigioni. Certo non è stato facile fare politica e
politica culturale a sinistra del PCI, in una città-provincia
come Livorno, dove questo partito forse più che altrove rivela tutta la sua monolitica mentalità
di "partito di governo", di partito in cui le istanze della base non sono neppure humus dialettico
per i vertici, ma grattacapi da risolvere in famiglia, possibilmente rintuzzandole, rinchiudendole
nell'"unità a tutti i costi". E soprattutto mi è costata cara questa politica; è costata cara a tanti
altri compagni. Le "operazioni 7 Aprile" non sono prerogativa esclusiva della Procura di Padova
e della locale
sezione PCI. Gli ordini sono centralizzati, partono dal cuore del potere, dal sistema dei partiti,
dalle segreterie nazionali, dagli uffici del ministero degli interni, dalle caserme del
"Generalissimo", dalle succursali, dai banchi sparsi ovunque dei Pecchioli di turno. L'alchimia
politica che fa di ogni oppositore, di ogni libero pensatore, di ogni giornalista, avvocato,
operaio non in riga un terrorista si travasa nelle storte cliniche che vogliono far reagire
ingredienti tanto diversi come politica rivoluzionaria e terrorismo. Campagne giornalistiche di
criminalizzazione preventiva non sono mancate neppure a Livorno.
Hanno raggiunto l'apice dell'arroganza e delle "inesattezze ad hoc" in un articolo sul Tirreno,
apparso in occasione di un convegno su "Terrorismo e violenza comune", a firma Mario Tredici,
uno scribacchino piccista che si sublima in qualche galoppata per ricevere giusto,
ricompensante riposo sopra qualche comoda poltrona del suo partito. Non risposi, cercando di
farla cadere nel vuoto, alla provocazione giornalistica che faceva di "Niente più sbarre" il polo
attrattivo del terrorismo livornese. Non avevo tempo e testa - lavoro e abbandono della
militanza politica attiva, per farlo. Oggi rispondo in questo modo, con la mia, la nostra
carcerazione ingiuste politicamente e
giuridicamente. Non è un modo autolesionista. È una verità storica fatta di operazioni
giudiziarie che sgretoleranno, di arresti-blitz eclatanti quanto numerosi ed irrazionali che
cesseranno, di prigioni stracolme che, prima o poi si apriranno, perché, nella mia
imperdonabile impertinente fiducia e certezza, nessun uomo, poliziotto, politico, giudice, al di là
del proprio ruolo, potrà sostenere questa orrenda macchinazione. Vi sono vicina, Vi sento
vicini, Vi abbraccio forte nelle comuni idee di uguaglianza e libertà.
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