Rivista Anarchica Online
Antropologia e società
di P. Flecchia, M.T. Romiti, R. Marchionatti
"Antropologia e società di Pierre Clastres" è il tema di un dibattito che si è
tenuto alla
libreria Utopia, a Milano, il 20 marzo scorso: vi hanno preso parte Piero Flecchia e Roberto
Marchionatti, entrambi redattori della rivista An.Archos. I loro interventi sono stati
trascritti dalla compagna Maria Teresa Romiti, che ha redatto anche una scheda su
Clastres e sul suo originale contributo alle scienze sociali.
L'importanza di Pierre Clastres, dal mio punto di vista, può essere difficilmente sopravvalutata.
L'importanza del suo apporto consiste anche nel fatto che il suo pensiero giunge all'anarchia
partendo da quella che era la scienza più problematica sia rispetto al marxismo che al pensiero
borghese: l'antropologia strutturalista di Levi-Strauss, che è il grande fatto culturale degli anni
cinquanta-sessanta, la rottura dell'egemonia marxista da posizione neo-kantiana; l'instaurarsi di
un rapporto estremamente complesso tra filosofia e ricerche etnologiche che è a un tempo ricerca
pratica, rapporti con l'altro, con il diverso e rapporto tra la società primitiva e la cultura
occidentale in crisi d'identità. Clastres, allievo di Levi-Strauss, si pone allo stesso tempo in
continuità e rottura con il pensiero
del maestro: se l'antropologia strutturalista sostiene il primato del commercio rispetto a tutte le
altre forme culturali, (la civiltà è civiltà dello scambio a procedere dal tabù
dell'incesto) Clastres
rovescia il problema, riportando la centralità al processo politico; il suo richiamo culturale non
può essere che l'anarchia e con lui la tradizione anarchica rientra nel grande gioco culturale. Gran parte
della fortuna di Clastres dipende anche dalle sue eccezionali doti di scrittore, la sua
capacità di rapportarsi con il diverso, con l'altro, con la società prima della storia si regge su una
straordinaria abilità di narratore che riesce veramente a tradurre schemi diversi e quindi a
trascinare. Ma il valore di Clastres in termini sostanziali qual è? Al centro della propria
problematica egli pone il modo di rappresentarsi la realtà da parte dei popoli primitivi secondo
una tipica schematizzazione levi-straussiana, definendo società primitive quelle con tempi molto
lenti di trasformazione e una struttura di pensiero estremamente stabile e società calde le società
storiche che bruciano grandi esperienze in cicli molto veloci e accelerati. La differenza
fondamentale che rileva Clastres tra società primitive e società moderne, derivate, è la
mancanza
nelle prime della coppia dominatori-dominati. Questa mancanza non è dovuta ad una supposta
innocenza, ma ad una scelta precisa: queste società sono società senza dominio perché
riescono
ad impedire l'instaurarsi della coppia dominatore-dominato. Qui Clastres gioca tutta la sua
problematicità nel dimostrare la validità di questa asserzione, ma in questo è ancora
l'amplificatore, il continuatore del discorso iniziato da Levi-Strauss. Il discorso centrale
dell'antropologo francese è basato sulla "caperia": sull'analisi delle società primitive che
impediscono la coppia dominatore-dominato, ma nello stesso tempo mantengono la figura del
capo. Prendendo spunto da un fatto accaduto, una ragazza bianca rapita da una tribù e poi
innamoratasi del capo, Clastres nota nella descrizione della donna i tratti che qualificano
ordinariamente il modello dell'autorità politica, della "caperia" presso gli indiani: talento oratorio,
doti di narratore, di cantore, generosità, poligamia, grande coraggio. Questa descrizione non
significa nulla in sé perché tutti i capi, tutte le persone che arrivano alla leadership la
posseggono; ma l'interessante è che, in questo contesto selvaggio, le doti che hanno attratto e
legato la donna non si traducono in un rapporto di oppressione da parte del capo sugli altri.
Questo, secondo Clastres, è l'enigma da chiarire e lo straordinario insegnamento che la cultura
selvaggia ha da trasmetterci ancora. Fino a prima di Clastres la società che ha sconfitto e subordinato
il potere veniva collocata in una
mitica età dell'oro oppure riportata ad un divenire che doveva risultare la conseguenza di un
processo storico, ora invece le società che non si sono articolate intorno alla coppia dominato-dominatore
entrano nel concreto, esistono. Sono società che hanno impedito a questa
dimidiazione, a questa lacerazione di svolgersi; hanno costruito un grande tessuto di civiltà
articolandosi in modo diverso; uno spazio di libertà è esistito, uno spazio di libertà sociali
conquistate attraverso una grande sofferenza e mantenute con la coscienza della presenza del
dolore. Riferendosi al capo che ha fatto innamorare la donna Clastres dice: "... illustra
perfettamente la concezione selvaggia di un potere radicalmente differente dal nostro perché tutto
lo sforzo del gruppo tende precisamente a separare "caperia" e coercizione e dunque a rendere il
potere del capo impotente come strumento di coercizione della società". Esiste anche un
momento in cui la società si subordina al capo, è la guerra, eppure anche questo momento si
articola nella società selvaggia come un dis-valore per l'organizzazione statalista e come un
valore positivo in quanto negazione di qualsiasi movimento accentratore, centripeto, e coercitivo. La coppia
dominatore-dominato è, se vista come momento di massima chiarezza del pensiero
clastriano, una coppia estremamente limitata, una coppia che riduce tutto ad una opposizione
dualista bene-male, che ha un suo significato nel senso di dualismo assoluto, di opposizione
irriducibile di tipo manicheo, ma che non ha nessun valore conoscitivo in sé. La coppia
dominatore-dominato è solo l'esemplificazione, ma i meccanismi non sono chiaribili in termini di
logica dualistica. È importante non vedere Clastres in questa chiave perché allora sarebbe
riassorbito nelle categorie della dominazione che tende continuamente a riproporre le opposizioni
che esemplificano e semplificano invece di quelle che sono articolazioni più complesse e
problematiche del pensiero con spazi di dubbi e di non penetrabilità; giochi difficili da cogliere e
precisare che il dualismo dà l'illusione di possedere. Clastres non va ridotto a questo, il centro del
suo pensiero è nell'aver visto l'assenza della coppia dominato-dominatore, quello che non ci ha
trasmesso, quello che l'antropologia non può trasmetterci è la ragione per la quale si istituisce
questa coppia. Secondo me qui passiamo a problemi di involuzione del linguaggio e di
rappresentazioni dell'ordine del mondo non ancora chiarite. Se vogliamo, la cultura selvaggia
possedeva un modo di controllare la scissione dominatore-dominato attraverso la
rappresentazione mistica dell'unità del mondo, rappresentazione che noi abbiamo perduto come
capacità linguistica di prendere coscienza di questi problemi. L'intelligenza di Clastres sta nel
segnalare il luogo "altro", cioè la cultura selvaggia che si muove secondo una logica diversa, una
logica che non contempla la coppia dominatore-dominato".
Piero Flecchia
Pierre Clastres, nato in Francia nel 1934, si dedica in un primo tempo agli studi di filosofia, solo
più tardi si accosta all'etnologia, diventando allievo di Levi-Strauss, l'iniziatore della scuola
strutturalista. Ricercatore per il CNRS, riceve agli inizi degli anni '70 una straordinaria offerta:
studiare gli indiani Guayaki, tribù nomade dell'America del Sud, fino a poco tempo prima
totalmente sconosciuta. Clastres parte per il Paraguay, resta tra questi indiani per più di un anno,
descrivendo con commozione e nello stesso tempo fedeltà di cronaca la loro morte, dovuta alle
malattie e alla perdita della loro identità. Il risultato di questa ricerca è il libro Cronaca di una
tribù; non è solo l'opera dell'antropologo che studia una società diversa dalla sua
(anche se una
grossa parte del libro è dedicato alla spiegazione dei miti e riti del popolo Guayaki, alla loro
filosofia del mondo), è anche il racconto della vita in comune, la drammatica testimonianza di
chi assiste al genocidio di un'intera popolazione e della sua cultura. Clastres sarà in America del
Sud a più riprese nel corso di vent'anni, visitando oltre il Paraguay, il Brasile Centrale e il
Venezuela, da tutto questo lavoro trarrà un altro libro non ancora tradotto in italiano: Le grand
parler, raccolta di miti e leggende degli indiani dell'America del Sud. Ritornato in Francia, prima
della sua morte, avvenuta nel 1977 per un incidente stradale, inizia la sistemazione dei suoi studi
in un insieme organico. Nasce così la sua opera più importante, La società contro
lo stato, in cui teorizza un nuovo
approccio antropologico. Secondo Clastres, l'antropologia ha sempre avuto come sistema di
riferimento la società bianca occidentale, viziando così tutte le sue analisi che non sono altro che
continui paragoni con il nostro mondo. La rivoluzione di Clastres è una rivoluzione copernicana:
analizzare queste società nel loro universo senza paragonarle al nostro. Da questo modo di porsi
nasce la vera rivoluzione di Clastres, quella che lo ha fatto indicare come l'erede libertario di
Levi-Strauss: il suo privilegiare il momento politico. La sua analisi è centrata, infatti, più sui
modi organizzativi delle società amerindie piuttosto che sulla loro economia. Clastres vede
nell'assenza della coercizione il tratto caratteristico di queste società; le società selvagge si
rivelano dotate di cultura e raffinatezza di pensiero, l'assenza del potere non è altro che il rifiuto
cosciente del dominio. Nello stesso modo Clastres ci mostra come non si possa parlare in queste
società di "economia di sussistenza", termine molto caro agli antropologhi classici, ma come
invece i "selvaggi" riescano a produrre il necessario per vivere e spesso anche di più lavorando
pochissimo. Il mondo semplice e ingenuo dei primitivi è in realtà un mondo complesso, con le
sue regole e i suoi giochi, dove c'è posto per i contrasti e le loro soluzioni, dove non si dimentica
la morte e il suo posto nella cultura. Un mondo che riconosce nell'ambiente naturale il suo spazio
e non vi si contrappone: "un selvaggio" non ucciderebbe mai un animale o distruggerebbe una
pianta senza una ragione importante, di vita e sopratutto senza rendersi conto di aver turbato un
equilibrio, di aver eliminato un essere vivente quindi di doversi giustificare. Questo mondo che oggi non esiste
più, distrutto dalla furia e follia dei bianchi rivive attraverso le
pagine di Clastres riportato alla sua dignità. Questa è una delle ragioni per cui Clastres è
per
molti un antropologo scomodo, da dimenticare: ribalta in un attimo la nostra sicurezza facendoci
ripiombare in un mondo di dubbi. È troppo pericoloso ammettere che il dominio è una scelta e
che le società che hanno rifiutato il dominio non sono composte da "selvaggi" ancora vicini al
mondo animale, ma da uomini che hanno privilegiato valori diversi da quelli imperanti nella
nostra società, difendendo le loro scelte con coerenza, chiarezza di pensiero e raffinatezza
culturale. Ma per noi anarchici Clastres rappresenta molto di più: è la testimonianza di un
progetto simile
al nostro, quasi la scoperta dei propri "antenati". Il sogno che il potere ha distrutto, di cui ha
cancellato perfino la memoria è rinato, ritornato alla luce con tutta la sua pericolosità: non
più
visione demente, ma realtà vissuta e distrutta.
Maria Teresa Romiti
Paradossalmente Clastres, pur occupandosi quasi totalmente della sfera politica dà alcune
indicazioni estremamente interessanti che permettono di superare l'impasse in cui è finita la
riflessione sulle economie precedenti alla nostra. Normalmente l'antropologia economica
definisce le società primitive come società ad economia di sussistenza. Questa è una vecchia
definizione, quasi un luogo comune; gli antropologhi che hanno esaminato l'economia delle
società primitive hanno, nella grande maggioranza, accettato questa affermazione definendo,
come fa notare Clastres, le società primitive in termini negativi: società senza stato, senza storia,
senza scrittura, senza sovrappiù (sovrappiù fisico), società in cui l'economia è a un
livello di
sussistenza. La definizione che è ancora largamente dominante, anche se in qualche periodo è
stata parzialmente criticata, considera le società primitive come società senza sovrappiù
poiché
società incapaci di sviluppare una tecnica adatta per superare il livello di sussistenza. L'operazione che
Clastres compie rispetto a queste definizioni in negativo è di raggruppare una
serie di informazioni di provenienza eterogenea, di collegarle unitariamente e di confutare con
queste le definizioni precedenti. Se per tecnica intendiamo l'insieme di procedimenti atti ad
assicurare la padronanza dell'ambiente naturale relativamente ai propri bisogni, allora in questo
senso, le società primitive non possono definirsi tecnicamente sottosviluppate perché esse hanno
individuato delle tecniche perfettamente sufficienti ai loro scopi, tecniche anzi che permettono
dei tempi di lavoro estremamente bassi, tre o quattro ore di lavoro al giorno, con ritmi molto
blandi. Per spiegare questa realtà Clastres riprende, ampliandola, la risposta di un antropologo
americano, Sahlins: le società primitive sono società dell'abbondanza perché riducono i loro
bisogni materiali al minimo, non per necessità, ma per una scelta cosciente, per una strategia che
privilegia altro, strategia che Sahlins definisce Zen. Clastres confuta dal punto di vista logico la
definizione di tecnica sottosviluppata perché non è possibile fare una gerarchia delle tecniche: la
tecnica può essere vista solo in relazione al soddisfacimento dei propri bisogni. Ma il discorso
clastriano va ancora più a fondo rilevando che anche di fatto le società primitive non sono
sottosviluppate perché una società che coscientemente riduce i suoi tempi di lavoro e i suoi ritmi
non può essere una società che non aspira ad altro che al soddisfacimento dei propri bisogni
materiali. Allora queste società sono società senza sovrappiù perché slegano la
produzione dal
soddisfacimento dei bisogni. Inoltre, un sovrappiù non è completamente assente in queste
società, che spesso presentano sprechi colossali, ma questo sovrappiù non viene prodotto a fini di
soddisfacimento, bensì a fini di prestigio, di festa. Non esiste quindi un'incapacità di creare
sovrappiù; esiste invece la volontà di non crearlo. Queste società possono impedire la
creazione
di sovrappiù perché manca una forza coercitiva interna che costringa a lavorare oltre i propri
bisogni; il lavoro viene rifiutato perché è una categoria che si crea solo quando si ha imposizione.
Usando le parole stesse di Clastres: "... Quando anziché produrre soltanto per sé stesso, l'uomo
primitivo produce anche per altri senza scambio e reciprocità, solo allora si può parlare di lavoro,
quando alla regola scambista subentra il terrore del debito. La relazione politica del potere
precede e fonda la relazione economica dello sfruttamento. L'alienazione politica precede e
definisce l'alienazione economica". Il mantenere l'economia a un livello di sussistenza è un momento
della strategia di queste società,
la dimensione economica appare come una dimensione che non ha autonomia; non è una
dimensione degna di riflessione; normalmente il lavoro non è accettato; è rifiutato e disprezzato,
salvo che non sia lavoro a fini diversi, ma allora perde le sue caratteristiche di lavoro e diventa
gioco. La non-autonomia della dimensione economica, la sua sostanziale inesistenza è dovuta al
fatto che essa è rifiutata, quindi non è una necessità, bensì una dimensione
conosciuta del
pensiero umano che viene emarginata. Probabilmente perché i primitivi sperimentano come la
dimensione economica abbia un effetto disgregante nella società, principalmente perché rompe
con la legge delle società primitive, la legge degli avi, che indica che la società umana si fonda
sulla reciprocità e sull'uguaglianza. Si può esemplificare questo punto attraverso l'analisi delle
società berbere: la loro caratteristica
maggiore è di basarsi su due istituzioni distinte; da un lato la tribù dove valgono le relazioni di
reciprocità ed uguaglianza e dall'altro il mercato dove valgono le relazioni economiche. Questi
mercati, sempre al limite della tensione, vengono vissuti dalle popolazioni come momenti utili
per entrare in contatto con altri, ma vengono rigorosamente tenuti al di fuori della tribù perché se
inseriti avrebbero la capacità di smembrarla. La relativa compattezza e la continuità nel tempo di
queste società in effetti sono state spiegate anche con questo parametro: vengono posti al di fuori
momenti di centralizzazione (il mercato potrebbe essere uno di questi), e momenti di relazioni
economiche che pur essendo riconosciuti interessanti e necessari sono considerati disgreganti
perché negano il principio di reciprocità ed uguaglianza. L'analisi di Clastres permette di aprire
dei varchi in questa problematica abbastanza trascurata
nell'ambito della antropologia e dell'antropologia economica in particolare. Questa linea di ricerca di Clastres
permette tutta una serie di critiche all'approccio
dell'antropologia economica, ma ha anche un valore che va al di là del campo antropologico,
pone le basi per una critica allo stato attuale della scienza economica.
Roberto Marchionatti
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