Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 92
maggio 1981


Rivista Anarchica Online

Antropologia e società
di P. Flecchia, M.T. Romiti, R. Marchionatti

"Antropologia e società di Pierre Clastres" è il tema di un dibattito che si è tenuto alla libreria Utopia, a Milano, il 20 marzo scorso: vi hanno preso parte Piero Flecchia e Roberto Marchionatti, entrambi redattori della rivista An.Archos. I loro interventi sono stati trascritti dalla compagna Maria Teresa Romiti, che ha redatto anche una scheda su Clastres e sul suo originale contributo alle scienze sociali.

L'importanza di Pierre Clastres, dal mio punto di vista, può essere difficilmente sopravvalutata. L'importanza del suo apporto consiste anche nel fatto che il suo pensiero giunge all'anarchia partendo da quella che era la scienza più problematica sia rispetto al marxismo che al pensiero borghese: l'antropologia strutturalista di Levi-Strauss, che è il grande fatto culturale degli anni cinquanta-sessanta, la rottura dell'egemonia marxista da posizione neo-kantiana; l'instaurarsi di un rapporto estremamente complesso tra filosofia e ricerche etnologiche che è a un tempo ricerca pratica, rapporti con l'altro, con il diverso e rapporto tra la società primitiva e la cultura occidentale in crisi d'identità.
Clastres, allievo di Levi-Strauss, si pone allo stesso tempo in continuità e rottura con il pensiero del maestro: se l'antropologia strutturalista sostiene il primato del commercio rispetto a tutte le altre forme culturali, (la civiltà è civiltà dello scambio a procedere dal tabù dell'incesto) Clastres rovescia il problema, riportando la centralità al processo politico; il suo richiamo culturale non può essere che l'anarchia e con lui la tradizione anarchica rientra nel grande gioco culturale.
Gran parte della fortuna di Clastres dipende anche dalle sue eccezionali doti di scrittore, la sua capacità di rapportarsi con il diverso, con l'altro, con la società prima della storia si regge su una straordinaria abilità di narratore che riesce veramente a tradurre schemi diversi e quindi a trascinare. Ma il valore di Clastres in termini sostanziali qual è? Al centro della propria problematica egli pone il modo di rappresentarsi la realtà da parte dei popoli primitivi secondo una tipica schematizzazione levi-straussiana, definendo società primitive quelle con tempi molto lenti di trasformazione e una struttura di pensiero estremamente stabile e società calde le società storiche che bruciano grandi esperienze in cicli molto veloci e accelerati. La differenza fondamentale che rileva Clastres tra società primitive e società moderne, derivate, è la mancanza nelle prime della coppia dominatori-dominati. Questa mancanza non è dovuta ad una supposta innocenza, ma ad una scelta precisa: queste società sono società senza dominio perché riescono ad impedire l'instaurarsi della coppia dominatore-dominato. Qui Clastres gioca tutta la sua problematicità nel dimostrare la validità di questa asserzione, ma in questo è ancora l'amplificatore, il continuatore del discorso iniziato da Levi-Strauss. Il discorso centrale dell'antropologo francese è basato sulla "caperia": sull'analisi delle società primitive che impediscono la coppia dominatore-dominato, ma nello stesso tempo mantengono la figura del capo. Prendendo spunto da un fatto accaduto, una ragazza bianca rapita da una tribù e poi innamoratasi del capo, Clastres nota nella descrizione della donna i tratti che qualificano ordinariamente il modello dell'autorità politica, della "caperia" presso gli indiani: talento oratorio, doti di narratore, di cantore, generosità, poligamia, grande coraggio. Questa descrizione non significa nulla in sé perché tutti i capi, tutte le persone che arrivano alla leadership la posseggono; ma l'interessante è che, in questo contesto selvaggio, le doti che hanno attratto e legato la donna non si traducono in un rapporto di oppressione da parte del capo sugli altri. Questo, secondo Clastres, è l'enigma da chiarire e lo straordinario insegnamento che la cultura selvaggia ha da trasmetterci ancora.
Fino a prima di Clastres la società che ha sconfitto e subordinato il potere veniva collocata in una mitica età dell'oro oppure riportata ad un divenire che doveva risultare la conseguenza di un processo storico, ora invece le società che non si sono articolate intorno alla coppia dominato-dominatore entrano nel concreto, esistono. Sono società che hanno impedito a questa dimidiazione, a questa lacerazione di svolgersi; hanno costruito un grande tessuto di civiltà articolandosi in modo diverso; uno spazio di libertà è esistito, uno spazio di libertà sociali conquistate attraverso una grande sofferenza e mantenute con la coscienza della presenza del dolore. Riferendosi al capo che ha fatto innamorare la donna Clastres dice: "... illustra perfettamente la concezione selvaggia di un potere radicalmente differente dal nostro perché tutto lo sforzo del gruppo tende precisamente a separare "caperia" e coercizione e dunque a rendere il potere del capo impotente come strumento di coercizione della società". Esiste anche un momento in cui la società si subordina al capo, è la guerra, eppure anche questo momento si articola nella società selvaggia come un dis-valore per l'organizzazione statalista e come un valore positivo in quanto negazione di qualsiasi movimento accentratore, centripeto, e coercitivo.
La coppia dominatore-dominato è, se vista come momento di massima chiarezza del pensiero clastriano, una coppia estremamente limitata, una coppia che riduce tutto ad una opposizione dualista bene-male, che ha un suo significato nel senso di dualismo assoluto, di opposizione irriducibile di tipo manicheo, ma che non ha nessun valore conoscitivo in sé. La coppia dominatore-dominato è solo l'esemplificazione, ma i meccanismi non sono chiaribili in termini di logica dualistica. È importante non vedere Clastres in questa chiave perché allora sarebbe riassorbito nelle categorie della dominazione che tende continuamente a riproporre le opposizioni che esemplificano e semplificano invece di quelle che sono articolazioni più complesse e problematiche del pensiero con spazi di dubbi e di non penetrabilità; giochi difficili da cogliere e precisare che il dualismo dà l'illusione di possedere. Clastres non va ridotto a questo, il centro del suo pensiero è nell'aver visto l'assenza della coppia dominato-dominatore, quello che non ci ha trasmesso, quello che l'antropologia non può trasmetterci è la ragione per la quale si istituisce questa coppia. Secondo me qui passiamo a problemi di involuzione del linguaggio e di rappresentazioni dell'ordine del mondo non ancora chiarite. Se vogliamo, la cultura selvaggia possedeva un modo di controllare la scissione dominatore-dominato attraverso la rappresentazione mistica dell'unità del mondo, rappresentazione che noi abbiamo perduto come capacità linguistica di prendere coscienza di questi problemi. L'intelligenza di Clastres sta nel segnalare il luogo "altro", cioè la cultura selvaggia che si muove secondo una logica diversa, una logica che non contempla la coppia dominatore-dominato".

Piero Flecchia

Pierre Clastres, nato in Francia nel 1934, si dedica in un primo tempo agli studi di filosofia, solo più tardi si accosta all'etnologia, diventando allievo di Levi-Strauss, l'iniziatore della scuola strutturalista. Ricercatore per il CNRS, riceve agli inizi degli anni '70 una straordinaria offerta: studiare gli indiani Guayaki, tribù nomade dell'America del Sud, fino a poco tempo prima totalmente sconosciuta. Clastres parte per il Paraguay, resta tra questi indiani per più di un anno, descrivendo con commozione e nello stesso tempo fedeltà di cronaca la loro morte, dovuta alle malattie e alla perdita della loro identità. Il risultato di questa ricerca è il libro Cronaca di una tribù; non è solo l'opera dell'antropologo che studia una società diversa dalla sua (anche se una grossa parte del libro è dedicato alla spiegazione dei miti e riti del popolo Guayaki, alla loro filosofia del mondo), è anche il racconto della vita in comune, la drammatica testimonianza di chi assiste al genocidio di un'intera popolazione e della sua cultura. Clastres sarà in America del Sud a più riprese nel corso di vent'anni, visitando oltre il Paraguay, il Brasile Centrale e il Venezuela, da tutto questo lavoro trarrà un altro libro non ancora tradotto in italiano: Le grand parler, raccolta di miti e leggende degli indiani dell'America del Sud. Ritornato in Francia, prima della sua morte, avvenuta nel 1977 per un incidente stradale, inizia la sistemazione dei suoi studi in un insieme organico.
Nasce così la sua opera più importante, La società contro lo stato, in cui teorizza un nuovo approccio antropologico. Secondo Clastres, l'antropologia ha sempre avuto come sistema di riferimento la società bianca occidentale, viziando così tutte le sue analisi che non sono altro che continui paragoni con il nostro mondo. La rivoluzione di Clastres è una rivoluzione copernicana: analizzare queste società nel loro universo senza paragonarle al nostro. Da questo modo di porsi nasce la vera rivoluzione di Clastres, quella che lo ha fatto indicare come l'erede libertario di Levi-Strauss: il suo privilegiare il momento politico. La sua analisi è centrata, infatti, più sui modi organizzativi delle società amerindie piuttosto che sulla loro economia. Clastres vede nell'assenza della coercizione il tratto caratteristico di queste società; le società selvagge si rivelano dotate di cultura e raffinatezza di pensiero, l'assenza del potere non è altro che il rifiuto cosciente del dominio. Nello stesso modo Clastres ci mostra come non si possa parlare in queste società di "economia di sussistenza", termine molto caro agli antropologhi classici, ma come invece i "selvaggi" riescano a produrre il necessario per vivere e spesso anche di più lavorando pochissimo. Il mondo semplice e ingenuo dei primitivi è in realtà un mondo complesso, con le sue regole e i suoi giochi, dove c'è posto per i contrasti e le loro soluzioni, dove non si dimentica la morte e il suo posto nella cultura. Un mondo che riconosce nell'ambiente naturale il suo spazio e non vi si contrappone: "un selvaggio" non ucciderebbe mai un animale o distruggerebbe una pianta senza una ragione importante, di vita e sopratutto senza rendersi conto di aver turbato un equilibrio, di aver eliminato un essere vivente quindi di doversi giustificare.
Questo mondo che oggi non esiste più, distrutto dalla furia e follia dei bianchi rivive attraverso le pagine di Clastres riportato alla sua dignità. Questa è una delle ragioni per cui Clastres è per molti un antropologo scomodo, da dimenticare: ribalta in un attimo la nostra sicurezza facendoci ripiombare in un mondo di dubbi. È troppo pericoloso ammettere che il dominio è una scelta e che le società che hanno rifiutato il dominio non sono composte da "selvaggi" ancora vicini al mondo animale, ma da uomini che hanno privilegiato valori diversi da quelli imperanti nella nostra società, difendendo le loro scelte con coerenza, chiarezza di pensiero e raffinatezza culturale.
Ma per noi anarchici Clastres rappresenta molto di più: è la testimonianza di un progetto simile al nostro, quasi la scoperta dei propri "antenati". Il sogno che il potere ha distrutto, di cui ha cancellato perfino la memoria è rinato, ritornato alla luce con tutta la sua pericolosità: non più visione demente, ma realtà vissuta e distrutta.

Maria Teresa Romiti

Paradossalmente Clastres, pur occupandosi quasi totalmente della sfera politica dà alcune indicazioni estremamente interessanti che permettono di superare l'impasse in cui è finita la riflessione sulle economie precedenti alla nostra. Normalmente l'antropologia economica definisce le società primitive come società ad economia di sussistenza. Questa è una vecchia definizione, quasi un luogo comune; gli antropologhi che hanno esaminato l'economia delle società primitive hanno, nella grande maggioranza, accettato questa affermazione definendo, come fa notare Clastres, le società primitive in termini negativi: società senza stato, senza storia, senza scrittura, senza sovrappiù (sovrappiù fisico), società in cui l'economia è a un livello di sussistenza. La definizione che è ancora largamente dominante, anche se in qualche periodo è stata parzialmente criticata, considera le società primitive come società senza sovrappiù poiché società incapaci di sviluppare una tecnica adatta per superare il livello di sussistenza.
L'operazione che Clastres compie rispetto a queste definizioni in negativo è di raggruppare una serie di informazioni di provenienza eterogenea, di collegarle unitariamente e di confutare con queste le definizioni precedenti. Se per tecnica intendiamo l'insieme di procedimenti atti ad assicurare la padronanza dell'ambiente naturale relativamente ai propri bisogni, allora in questo senso, le società primitive non possono definirsi tecnicamente sottosviluppate perché esse hanno individuato delle tecniche perfettamente sufficienti ai loro scopi, tecniche anzi che permettono dei tempi di lavoro estremamente bassi, tre o quattro ore di lavoro al giorno, con ritmi molto blandi. Per spiegare questa realtà Clastres riprende, ampliandola, la risposta di un antropologo americano, Sahlins: le società primitive sono società dell'abbondanza perché riducono i loro bisogni materiali al minimo, non per necessità, ma per una scelta cosciente, per una strategia che privilegia altro, strategia che Sahlins definisce Zen. Clastres confuta dal punto di vista logico la definizione di tecnica sottosviluppata perché non è possibile fare una gerarchia delle tecniche: la tecnica può essere vista solo in relazione al soddisfacimento dei propri bisogni. Ma il discorso clastriano va ancora più a fondo rilevando che anche di fatto le società primitive non sono sottosviluppate perché una società che coscientemente riduce i suoi tempi di lavoro e i suoi ritmi non può essere una società che non aspira ad altro che al soddisfacimento dei propri bisogni materiali. Allora queste società sono società senza sovrappiù perché slegano la produzione dal soddisfacimento dei bisogni. Inoltre, un sovrappiù non è completamente assente in queste società, che spesso presentano sprechi colossali, ma questo sovrappiù non viene prodotto a fini di soddisfacimento, bensì a fini di prestigio, di festa. Non esiste quindi un'incapacità di creare sovrappiù; esiste invece la volontà di non crearlo. Queste società possono impedire la creazione di sovrappiù perché manca una forza coercitiva interna che costringa a lavorare oltre i propri bisogni; il lavoro viene rifiutato perché è una categoria che si crea solo quando si ha imposizione. Usando le parole stesse di Clastres: "... Quando anziché produrre soltanto per sé stesso, l'uomo primitivo produce anche per altri senza scambio e reciprocità, solo allora si può parlare di lavoro, quando alla regola scambista subentra il terrore del debito. La relazione politica del potere precede e fonda la relazione economica dello sfruttamento. L'alienazione politica precede e definisce l'alienazione economica".
Il mantenere l'economia a un livello di sussistenza è un momento della strategia di queste società, la dimensione economica appare come una dimensione che non ha autonomia; non è una dimensione degna di riflessione; normalmente il lavoro non è accettato; è rifiutato e disprezzato, salvo che non sia lavoro a fini diversi, ma allora perde le sue caratteristiche di lavoro e diventa gioco. La non-autonomia della dimensione economica, la sua sostanziale inesistenza è dovuta al fatto che essa è rifiutata, quindi non è una necessità, bensì una dimensione conosciuta del pensiero umano che viene emarginata. Probabilmente perché i primitivi sperimentano come la dimensione economica abbia un effetto disgregante nella società, principalmente perché rompe con la legge delle società primitive, la legge degli avi, che indica che la società umana si fonda sulla reciprocità e sull'uguaglianza.
Si può esemplificare questo punto attraverso l'analisi delle società berbere: la loro caratteristica maggiore è di basarsi su due istituzioni distinte; da un lato la tribù dove valgono le relazioni di reciprocità ed uguaglianza e dall'altro il mercato dove valgono le relazioni economiche. Questi mercati, sempre al limite della tensione, vengono vissuti dalle popolazioni come momenti utili per entrare in contatto con altri, ma vengono rigorosamente tenuti al di fuori della tribù perché se inseriti avrebbero la capacità di smembrarla. La relativa compattezza e la continuità nel tempo di queste società in effetti sono state spiegate anche con questo parametro: vengono posti al di fuori momenti di centralizzazione (il mercato potrebbe essere uno di questi), e momenti di relazioni economiche che pur essendo riconosciuti interessanti e necessari sono considerati disgreganti perché negano il principio di reciprocità ed uguaglianza.
L'analisi di Clastres permette di aprire dei varchi in questa problematica abbastanza trascurata nell'ambito della antropologia e dell'antropologia economica in particolare.
Questa linea di ricerca di Clastres permette tutta una serie di critiche all'approccio dell'antropologia economica, ma ha anche un valore che va al di là del campo antropologico, pone le basi per una critica allo stato attuale della scienza economica.

Roberto Marchionatti