Rivista Anarchica Online
A Wroclaw con Solidarnosc
di Marianne Enckell
Queste pagine dedicate all'attuale situazione nell'Europa Orientale (e precisamente in
Polonia e nell'URSS) comprendono cinque articoli. Il primo è il resoconto di un'esperienza
di viaggio e di colloqui in Polonia, inviatoci dalla compagna Marianne Enckell
(responsabile della biblioteca del Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo, a
Ginevra). Gli altri quattro pezzi sono stati tradotti (da Andrea Chersi) dal n. 3 della rivista
libertaria Iztok ("Oriente") edita a Parigi e dedicata alla situazione nei Paesi dell'Est. Ecco
il dettaglio: l'editoriale di presentazione del numero stesso, dal quale emerge nelle sue linee
essenziali l'approccio della redazione di Iztok alla questione polacca; notizie
sull'opposizione libertaria nell'URSS, integrate con quelle contenute nell'ultima circolare
diffusa a maggio sempre dai compagni di Iztok con gli ultimi aggiornamenti sulla situazione
dei detenuti libertari in Russia; l'intervista ad un membro della Comune di Leningrado
fino al novembre '78, quando dovette emigrare (l'intervista, fatta dopo il suo abbandono
dell'URSS, è originariamente apparsa sulla rivista austriaca Gegenstimmen); ed infine
notizie relative alla pubblicazione "autorizzata" (e controllata) di opere sull'anarchismo, e
anche di anarchici, in URSS. (La Redazione)
Davanti alla fabbrica Pafawag di Wroclaw, che produce soprattutto locomotive, vediamo una
serie di ritratti e di slogans che ricordano i manifesti elettorali: sono i ritratti dei lavoratori più
meritevoli, gli stakanovisti. Una guardiana con casco e cinturone urla e gesticola: vietato
fotografare, lasciate le macchine fotografiche e di passaporti all'entrata, tirate diritto! Una volta superato il
cancello, i responsabili della sezione di Solidarnosc ci accolgono a braccia
aperte. È la prima volta che una delegazione non ufficiale visita la fabbrica. Nel cortile una croce
di legno ricorda la grande messa officiata davanti a tutto il personale durante gli scioperi
dell'estate 1980. Nei reparti qualche scritta Solidarnosc sulle tute da lavoro, dei pugni, delle porte
aperte, e gli altoparlanti che prima diffondevano parole d'ordine vantando la produttività
socialista, ora trasmettono le informazioni del sindacato indipendente autogestito, le notizie degli
ultimi negoziati e durante le pause i corsi di formazione sindacale. È proprio a Pafawag (6.000 operai,
di cui il 98% aderisce a Solidarnosc) che nell'agosto scorso si
era installato il comitato di sciopero locale (MKS); è qui che in caso di sciopero generale si
rifugeranno gli uffici del comitato regionale di Solidarnosc, è qui che in caso di pericolo più
grave i militanti sapranno difendersi. È qui, come nelle altre imprese, che esiste la prima forza
sindacale e che le rivendicazioni diventano realtà. Non si tratta, per ora, di autogestione, poiché il
sistema continua: il sindacato indipendente reclama un diritto di controllo a tutti i livelli sulle
decisioni e sulla loro applicazione. Controllo, cioè diritto di veto, diritto di controllo
sull'andamento dei negoziati: non si tratta per ora di sostituirsi agli organi dirigenti o di gestire la
crisi o la produzione. Lo stesso controllo si pratica d'altronde in seno a Solidarnosc: ci si ricordi le trasmissioni
diffuse
in diretta, con gli altoparlanti, dei negoziati di Danzica, il principio di rotazione dei posti di
lavoro, la revocabilità degli organi di coordinamento per facilitare i contatti con la base. Ma la
democrazia interna non è un'istituzione - si sa troppo bene a cosa porta il "centralismo
burocratico" - essa si pratica e si conquista giorno per giorno, è questo che noi, un gruppo di
sindacalisti e di militanti del CSSOPE (comitato di solidarietà socialista con gli oppositori dei
Paesi dell'Est) invitati dalla sezione di Solidarnosc di Wroclaw a degli incontri nel quadro di una
campagna di appoggio, abbiamo constatato e voluto riaffermare in ogni momento. Una delle cose che aveva
colpito gli osservatori durante l'estate '80 era "la potenza e il
comportamento sorprendente degli operai che senza cercare di manifestare nelle strade o davanti
ai luoghi di potere, giravano le spalle a coloro che, con un incredibile disprezzo, restando ben
fermi sul loro terreno, esigevano che gli operai andassero a negoziare con loro". Da un lato vi è la
forza popolare che si organizza e dall'altro vi è lo Stato-padrone, senza possibilità di
equivoci.
Ogni partecipazione agli organi di stato sarebbe inammissibile, i negoziati si fanno sulla base dei
rapporti di forza. Tutte le persone con le quali abbiamo parlato avevano una chiara coscienza di
ciò: Solidarnosc è il movimento reale dei lavoratori; "essi" sono in basso, altrove ci sono gli altri.
Di Walesa, per esempio, si dice che se continua così finirà per rassomigliare a
loro.
Sindacalismo rivoluzionario
Sindacalismo rivoluzionario, società di resistenza come durante la Prima Internazionale, one big
union come l'IWW americana? Niente di tutto ciò, in ogni caso. In ogni impresa una sola sezione
riunisce tutti i lavoratori, dagli spazzini agli ingegneri. La sezione trattiene il 60/70% delle quote,
di cui una parte va al MKZ (il comitato regionale interaziendale), un'altra parte è destinata al
sostegno delle sezioni più povere. (Vi siete mai chiesti quale è la ripartizione delle vostre quote
sindacali?). Il MKZ è composto da rappresentanti di impresa eletti a suffragio diretto. Vi sono
inoltre dei consiglieri, intellettuali o altri militanti che si sono messi al suo servizio, preparano i
documenti, redigono testi, ma non hanno nessun potere decisionale. Ovunque ci si preoccupa
dell'informazione e della formazione. Si sono messi in piedi una serie di corsi nei quali si discute
sia del sindacalismo internazionale che della falsificazione della storia ad opera del Partito e della
letteratura in generale. Ogni tappa, ogni vittoria è discussa, commentata, analizzata per
migliorare e consolidare il movimento. Intorno alle sedi di Solidarnosc, in alcuni punti strategici come nei pressi
della stazione o delle
fermate degli autobus, dei manifestini contro la repressione, sugli ultimi negoziati, informano su
ciò che accade nel paese. I giornali murali sono dei fogli fotocopiati, grigi, senza margini,
pubblicati grazie a dei tesori di ingegnosità su macchine arcaiche, con carta da recupero, come gli
innumerevoli bollettini di fabbrica. Li si legge in gruppo, li si commenta, li si segnala al passante
distratto. I muri delle città polacche, vergini di pubblicità (se si esclude i manifesti per qualche
spettacolo,
per qualche impresa statale e per la... Pepsi Cola), sono anche vergini di graffiti: si vede solo un
John Lennon e due o tre scritte anti-nucleari. Le "A" cerchiate, cari compagni, indicano le
fermate degli autobus! Durante le riunioni ufficiali degli organi sindacali non si scherza, non si beve, si prende
tutto sul
serio (e si capisce il perché). Solo i responsabili della sezione radio e media, che lavorano
anch'essi notte e giorno, si considerano dei lumpen- intellettuali e offrono un bicchiere collettivo
di rosso e di vodka, ascoltando jazz a tutto volume. "Poveri ma liberi", "poveri ma degni", queste espressioni
si sentono spesso, non è forse sempre
stata questa una caratteristica dei movimenti operai nascenti?
Un po' di storia
Dal 23 al 31 agosto 1980 il Comitato Centrale di sciopero a Danzica pubblica quattordici numeri
del bollettino Solidarnosc, che espone in dettaglio le rivendicazioni degli scioperanti, informa
sugli sviluppi del movimento di lotta e risponde agli attacchi delle autorità. Dal 3 al 16 marzo
1921 il Comitato rivoluzionario provvisorio di Kronstadt aveva anch'esso pubblicato quattordici
numeri di Izvestia, organo del movimento degli scioperanti basato sulla parola d'ordine Tutto
il
potere ai soviet, non ai partiti. I famosi ventun punti delle rivendicazioni degli operai polacchi non hanno
nulla in comune con
le 21 condizioni di adesione alla III Internazionale, hanno a che vedere, invece, ed in più punti,
con i 15 punti delle risoluzioni adottate dall'assemblea generale delle prima e seconda squadra
della flotta del Baltico, a distanza di 60 anni. I due testi chiedono la creazione di sindacati indipendenti con
organi direttivi liberamente eletti,
la libertà di parola e di stampa, la liberazione dei prigionieri politici e di tutti gli operai e
contadini imprigionati per motivi di sciopero, il libero accesso ai mezzi di informazione ed alla
stampa e misure immediate per uscire dalla crisi economica: tessere di razionamento che
assicurino l'uguaglianza dell'approvvigionamento per tutti e la soppressione dei privilegi. La grande differenza
che ha segnato sessanta anni di storia del movimento operaio è che il 18
marzo 1921 aveva segnato definitivamente la sconfitta della rivolta di Kronstadt, mentre il 31
agosto 1980 segna la firma degli accordi di Danzica. "Avvenimento contro natura", dicono gli
osservatori per non gridare al miracolo. Mi era difficile far accettare alla mia mente ciò che i
miei occhi vedevano e ciò che le mie orecchie sentivano scrive ancora Krzysztof Pomian.
Semplicemente, non riuscivo ad assimilarlo, a integrarlo in quello che sapevo del mio paese e
delle sue istituzioni. Ci si scopre a sognare: "Nell'anno del centenario della nascita di Stalin, la
Polonia chiude definitivamente con lo stalinismo", direbbero i manuali di storia dei nostri
bambini.... In questo momento si vive della storia reale, non della fantascienza.
Le banane miracolose
Un economista irrispettoso sostiene che la Polonia potrebbe senza problemi basare la propria
economia sull'esportazione delle banane. Certamente dovrebbero nascere e svilupparsi nelle serre
e costerebbero quindi cento volte di più delle banane dell'Honduras, ma quanti posti di lavoro
saranno creati nelle miniere di carbone, nelle vetrerie, nelle acciaierie, nelle fabbriche di scatole
di cartone? La produzione potrebbe essere sovvenzionata e posta tra le voci in perdita del
bilancio statale, che pare sia una pratica corrente. Inoltre lo Stato potrebbe vendere ai produttori
di banane carbone, vetro e tubazioni per le serre a prezzi ridicoli, il commercio delle banane
sarebbe così redditizio a livello mondiale, anche se naturalmente le miniere di carbone e le
vetrerie sarebbero fortemente deficitarie. La bilancia commerciale del paese sarebbe così
magnificamente ristabilita, ma vi sarebbe carenza di carbone, non ci sarebbe più un quadrato di
terra da coltivare e nessun polacco conoscerebbe il gusto di una banana.... L'immaginazione dei
pianificatori è senza limiti e le attuali esportazioni creano tanti squilibri quanti ne creerebbero le
banane o qualsiasi altra cosa. Ciò che salta agli occhi del visitatore è tragico e sordido. I negozi
vuoti, code a non finire, patate
e cavoli sono il menu quotidiano, ovunque penuria e merda. Ma i nostri interlocutori ridono se
noi parliamo di aiuto filantropico, di vestiti, di derrate alimentari e di medicinali: abbiamo
bisogno di carta, di macchine da scrivere, da stampa, carta soprattutto, tutte cose che con la
nostra moneta non possiamo acquistare. L'esistenza di Solidarnosc non può fare i miracoli, il
fervore religioso presente ovunque non
significa che si creda ai miracoli. La chiesa, la nazione polacca, le lotte operaie tutto è mescolato
nella memoria che si sta conquistando: nel coro della cattedrale di Varsavia le persone sfilano
dinanzi ad una riproduzione del monumento alla memoria dei lavoratori caduti a Danzica nel
1970; i fondi per gli scioperi sono messi al sicuro presso l'arcivescovo; si intonano canti religiosi
durante gli scioperi, perché è l'altra faccia della resistenza. La chiesa, la nazione sono tutti
simboli di cui si sono riappropriati i nuovi sindacati, spogliati come sono stati dei simboli del
movimento operaio. Può darsi che nuovi simboli, nuovi anniversari, nuove canzoni
appariranno. Ciò che accade in Polonia oggi non è la rivoluzione, non è la nascita di
una società libertaria, ma,
secondo me, è altrettanto importante del risorgere della CNT spagnola dopo la morte di Franco.
Per la prima volta dopo Kronstadt un movimento operaio di massa si erge contro la borghesia
rossa, contro i nuovi padroni che hanno usurpato il socialismo. Nessun modello, nessun paragone
ci può dire cosa avverrà. A noi il compito di essere presenti, di aprire gli occhi, di trasmettere la
nostra storia e la nostra esperienza, a noi il compito di coltivare la rivolta permanente, il rifiuto
delle istituzioni, la critica dello stato in ogni sua forma.
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