Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 99
marzo 1982


Rivista Anarchica Online

A Livorno contro tutti gli eserciti
di Camillo Levi

L'ultima grossa manifestazione anarchica a carattere nazionale si tenne a Pisa, il 7 maggio di 5 anni fa, nel quinto anniversario dell'assassinio di Franco Serantini: almeno 10.000 persone (oltre la metà delle quali dietro le bandiere e gli striscioni anarchici) formarono un lungo serpente che, snodandosi nelle stradine e poi sui lungarni della cittadina toscana, rappresentò un momento significativo della storia anarchica recente.
Non è solo per questo, comunque, che la decisione presa nel corso del convegno antimilitarista anarchico di Firenze (10 gennaio) di convocare a Livorno, sabato 13 marzo, una manifestazione nazionale antimilitarista anarchica, assume a nostro avviso un significato che sarebbe errato sottovalutare. Negli ultimi mesi, infatti, si è parlato molto di pace, disarmo, pericoli di guerra, antimilitarismo; ci sono stati cortei oceanici e soprattutto ci sono state centinaia di manifestazioni un po' dovunque; e ovunque ci è stato possibile, nei limiti delle nostre forze, noi anarchici abbiamo criticamente preso parte a queste iniziative di dibattito, di mobilitazione e di lotta. La tematica antimilitarista, infatti, è "nostra" come poche altre. Vi è tutto un filone ininterrotto di impegno anarchico contro il militarismo e la guerra, che si è espresso in mille modi ma sempre con una coerenza teorica e metodologica che a tanti "antimilitaristi" dell'ultima ora manca del tutto: dalla lotta aperta contro le truppe, quando queste sono state utilizzate in funzione anti-popolare, alla propaganda disfattista durante la prima guerra mondiale, dal gesto di un Masetti che sparò all'ufficiale che incitava i "suoi" soldati a partire per la Libia ai casi anche recenti di obiezione totale, con conseguente rifiuto, oltre che del servizio militare, anche di quello "civile", dalla Settimana Rossa del '14 alla rivolta di Ancona del '19....
Dietro questa tradizione storica c'è l'indissolubile legame tra il nostro essere anarchici e il nostro antimilitarismo, che nascono dal medesimo rifiuto del principio di autorità, di violenza e di morte. Ma vi sono anche motivi di drammatica attualità, che esulano dal nostro patrimonio specifico teorico e storico per investire l'intera umanità, il suo presente ed il suo futuro. C'è una situazione internazionale sempre precaria, caratterizzata da guerre tra stati, massacri, occupazioni militari. C'è la continua corsa agli armamenti, e a quelli nucleari in particolare, che pende come una spada di Damocle sulle possibilità stesse di sopravvivenza del genere umano. C'è la presenza sempre più invadente e condizionante del complesso militare-industriale, all'Ovest come all'Est (si legga, per quanto riguarda l'URSS, il saggio di Castoriadis sul n.1/1982 di Volontà). Ci sono la Polonia e la Turchia, con i loro recenti golpe militari "interni" (protetti rispettivamente dal Patto di Varsavia e dalla Nato), c'è l'occupazione russa dell'Afghanistan, c'è il crescente impegno degli USA in appoggio alla giunta salvadoregna. C'è, in definitiva, la continua conferma del ruolo istituzionale degli eserciti: dalla parte del potere, dell'oppressione, dello sfruttamento.
L'Italia non fa eccezione. Anche da noi qualsiasi lotta veramente incisiva contro lo stato di cose presenti non può che trovare l'istituzione militare schierata dall'altra parte. Non saranno certo un Pertini, capo costituzionale delle forze armate, né un Lagorio, primo socialista al ministero della cosiddetta difesa, a trarci in inganno. Così come non ci potevano condizionare le martellanti campagne (l'ultima, all'epoca del terremoto in Irpinia) tendenti a dimostrare l'utilità sociale dell'esercito.
Oltre all'esercito italiano, poi, il nostro paese "ospita" una rete di basi Nato, da quella per i sommergibili nucleari alla Maddalena alla costruenda base missilistica di Comiso. Per la sua posizione geografica, infatti, l'Italia è considerata da tutto lo scacchiere occidentale un decisivo avamposto verso l'Est, il Medio Oriente e l'Africa Settentrionale: è bastato un piccolo incidente di frontiera aerea, come quello occorso mesi fa tra aerei libici ed americani, per far sentire a tutti noi quanto prossimi siano i pericoli concreti di esser invischiati in una guerra, seppure (forse) solo locale.
Motivi per scendere in piazza, per ribadire il nostro deciso NO a tutto questo, ve ne sono a iosa. In momenti come questo, caratterizzati da una notevole dispersione (non solo geografica) del nostro movimento, il valore "simbolico" dell'appuntamento del 13 marzo è indubbio. Non si tratta - è evidente - di "gonfiare" l'importanza di un corteo, attribuendogli chissà quale valore taumaturgico: più modestamente, senza illusioni ma anche senza pessimismo, si tratta di far proprie quelle iniziative che si muovono in senso costruttivo, con metodi libertari, su tematiche nostre che possono anche esser comprese da altri.
È necessario, a nostro avviso, che l'impegno logicamente più immediato e diretto contro il militarismo italiano e contro la Nato (soprattutto in zone, come quella di Livorno, che sono particolarmente condizionate) non faccia passare in subordine il nostro discorso più generale, la nostra opposizione altrettanto dura contro il Patto di Varsavia, i regimi dittatoriali marxisti ormai sempre più condizionati dall'esercito, il militarismo "di sinistra" insomma. L'antimilitarismo anarchico va ben oltre certo antiamericanismo a senso unico, che si è visto predominare in molti cortei pacifisti degli scorsi mesi e che richiamava alla memoria le battaglie anti-Nato condotte dalla sinistra parlamentare negli anni '50 e '60 - nel momento stesso in cui questa appoggiava o comunque avallava la politica imperialista degli stati marxisti. Per noi anarchici, distinguersi da questo antiamericanismo a senso unico, impropriamente fatto passare come antimilitarismo "di sinistra", è una questione fondamentale di sostanza, di immagine e di chiarezza nella comunicazione all'esterno. Si tratta di far capire con la massima chiarezza che siamo contro tutti gli eserciti, borghesi e proletari, riformisti o rivoluzionari, occidentali o orientali: appunto perché la nostra critica del militarismo va alle radici della sua struttura interna, della mentalità servile che esige e forma, dei meccanismi che ne regolano la sopravvivenza. Ne colpisce, insomma, la natura autoritaria e repressiva per eccellenza.
La necessità, sentita da alcuni compagni, di fondare il nostro antimilitarismo su analisi esasperatamente classiste, presentando l'esercito riduttivamente come "strumento della borghesia", definendolo necessariamente "fonte di disoccupazione e di miseria", con la volontà di collegare comunque la lotta antimilitarista a quella per la difesa dei cosidetti "interessi operai immediati", non ci convince. Certi tradizionali schemi classisti, di derivazione culturale marxista, non favoriscono l'analisi attenta ed intelligente del militarismo e delle sue tendenze future. Per i lavoratori dell'industria bellica - per esempio - cioè per almeno 80.000 lavoratori (circa 300.000 con l'indotto), l'occupazione è assicurata proprio da quell'apparato militare-industriale che noi combattiamo. Lo spirito di classe, la "difesa degli interessi operai immediati" non spingono certo nella nostra direzione: ne sa qualcosa quel Maurizio Saggioro che, rifiutandosi di costruire pezzi destinati alla produzione bellica, è stato licenziato (la conferma definitiva l'ha avuta il 17 febbraio) e si è ritrovato solo, con i suoi compagni "di classe" ed il sindacato sostanzialmente schierati con il padrone.
Una conferma in più del fatto che l'antimilitarismo - quello vero -, così come l'anarchismo, è innanzitutto una scelta di libertà.