Due deputati quantomeno distratti e
tardivi hanno recentemente scoperto che nel Museo di Criminologia
di Roma è conservata la testa di Giovanni Passa-nante
e, muovendosi alla circospetta pietà di chi ha la consapevolezza
di far parte della maggioranza di governo, hanno rivolto al
Ministro di Grazia e Giustizia un appello affinchè a
detta testa si conceda la tanto attesa sepoltura.
Passanante - classificato come anarchico, forse con un po’
di beneficio d’inventario - era un cuoco calabrese che, a Napoli,
nel lontano 17 novembre del 1878, tentò di piantare un
coltello in qualche organo vitale di re Umberto I, mentre passava
fra la folla osannante, sul cocchio di ordinanza, con regina,
figlioletto e Presidente del Consiglio dei ministri al seguito.
A quanto riferiscono le cronache, Passanante si precipitò
verso il cocchio reale con un braccio avvolto in un panno rosso
da cui, al momento cruciale, liberò il coltellaccio che,
presumibilmente, in cucina usava con maestria su pollame e quarti
di bue. Sui quarti e sugli interi di nobiltà, tuttavia,
fu meno abile, perchè sfiorò appena il re e colpì
in un cosciotto Benedetto Cairoli, un ex-mazziniano ed ex-garibaldino
ed ex-tutto che aveva trovato il modo di temperare la propria
vocazione populista facendo carriera politica sotto l’egida
di Casa Savoia.
Quando il Passanante fu messo nelle condizioni di nuocere
ancora di meno, si poté constatare che sul panno rosso
campeggiava la scritta "W la Repubblica Internazionale", mentre
in tasca gli fu ritrovata un’altra bandiera su cui era scritto
ancora "W la Repubblica" e "W Orsini".
Al processo, svoltosi nel marzo dell’anno successivo, il
Pubblico Ministero chiese la pena capitale e nessuno gliela
negò. Solo dopo la conferma della Cassazione, il re -
che dovrà aspettare quasi una dozzina d’anni prima di
lasciarci le penne per mano di Bresci -, concesse benevolmente
la commutazione della pena nei lavori forzati a vita. Qualche
anno dopo, secondo una prassi scientifica usuale all’epoca,
il Passanante fu fatto visitare da Lombroso, il quale, non dissimilmente
da quanto avevano già sostenuto i suoi avvocati difensori,
lo dichiarò pazzo. Ecco perchè fu trasferito nel
manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove, nel 1910,
morì. Ed ecco alcuni dei presupposti del perchè
si infierì sul suo cadavere, tagliandogli la testa e
compiendo su di essa chissà quali nefandezze, prima di
esporla alla curiosità popolare come reperto tangibile
dell’umano progresso.
Lo voleva la Scienza. Misurare crani e soppesare masse cerebrali
sembrava la via maestra per la conoscenza dell’essere umano.
L’ideologia fisicalista voleva che, in un brandello di corpo
umano, risiedessero i segreti della persona - che dalla caratteristica
fisica si potesse passare in quattro e quattr’otto alle virtù
morali. Più che via maestra della conoscenza è
la via maestra di ogni razzismo. E se a quel tempo andavano
di moda le teste - cui si assegnavano compiti più nobili
di quelli assegnati ai glutei o agli apparati urinari -, non
è detto che oggi, quando di moda sono brandelli invisibili
e molto meno fastidiosi di Dna, le cose stiano in termini diversi.
È la stessa ipocrisia che prospera. La testa di "anarchico",
tuttavia, funziona retoricamente meglio delle impalpabili sequenze
di geni e dei pulviscoli cellulari - persuade prima e meglio
-, ed ha rappresentato a lungo, dunque, il trofeo più
ambito da un Potere malfermo e vendicativo in modo direttamente
proporzionale alla propria inettitudine.
I due deputati pronti a scandalizzarsi della testa di Passanante,
evidentemente, hanno studiato poco e male. Se si fossero guardati
attorno con un po’ di attenzione, si sarebbero resi conto che
il fenomeno è di vasta portata e che, analizzato fino
in fondo, porterebbe a ben più drastiche conclusioni
rispetto a quelle di cui loro sembrano accontentarsi.
Nel Museo di Antropologia criminale di Torino - inaugurato
da Lombroso nel 1898 - c’è, per esempio, una raccolta
di grandi barattoli di vetro, sigillati, dove, a bagno in qualche
intruglio chimico, c’è il cervello di tal Barney, ufficialmente
criminale, o della Angela Celi incarcerata per chissà
che motivo, o della Brugo, infanticida. Poco più in là,
su uno scaffale, c’è la faccia di Fleischmann, uno spacciatore
di droga austriaco, protomartirizzato a colpi di accetta sulle
colline torinesi nel 1925. In uno stanzino, poi, c’è
una montagna di teschi anonimi, più e meno accuratamente
segati e numerati dal professor Giacomini. Più in evidenza,
infine, non può mancare una parure di recipienti in vetro
dedicata alle frattaglie del Lombroso medesimo, dono testamentario
di se stesso alla scienza futura: la testa, il cervello, il
volto e i visceri - una selezione che la dice lunga sulle gerarchie
imposte dall’ideologia anatomica. Di spettacoli pseudoscientifici
di questo genere, in Italia, se ne offre molti.
Ma se i nostri due deputati riflettessero sulla questione
si renderebbero conto che, volendo fare piazza pulita, si dovrebbe
andare molto più lontano.
La conservazione e l’esposizione di queste frattaglie assolve
una funzione di superstizione scientifica analoga a quella per
cui il medesimo repertorio è conservato ed esposto in
altri luoghi dove la superstizione trionfa. Ci si appelli, dunque,
al nostro Guardasigilli, mostrando la medesima illuminata pietà,
perché vengano velocemente interrati, che so, i corpi
interi di Santa Agnese di Montepulciano, di Santa Brigida e
di Sant’Agata con il suo terzo braccio e le sue sei mammelle
sei, la testa di Sant’Anastasio, le otto teste e le cinque braccia
di Sant’Anna, le quattro teste e le otto braccia di San Biagio,
il membro spropositato di San Bartolomeo, il sangue di San Gennaro,
il cordone ombelicale e i cinque prepuzi di Gesù Cristo,
nonché, già che ci siamo, il dito di Galileo nel
Museo di Storia della Scienza di Firenze - dito che con la storia
della scienza c’entra come i cavoli a merenda. Se si vuole davvero
riparare torti - torti all’umanità intera e non solo
al povero Passanante - da fare ce n’è.
Felice Accame
N.B. Il cuore di Passanante, oltre che per la Repubblica
Internazionale, batteva per Felice Orsini. Ex mazziniano, incarcerato
più volte ed evaso, dopo aver aizzato qua e là
invano all’insurrezione armata, Orsini rivolse tutte le sue
attenzioni a Napoleone III, che detestava perchè lo riteneva
fieramente avverso all’indipendenza ed all’unità d’Italia.
Con alcuni compagni, dunque, progettò un attentato dinamitardo
a Parigi - attentato al quale, ovviamente, scampò Napoleone
III e non un mucchio di presunti innocenti. Vennero presi tutti
in un baleno e lui, accompagnato da un certo Pieri che ne avrebbe
fatto volentieri a meno, venne ghigliottinato nel 1858. Un’altra
testa staccata dal tronco - un destino che al Passanante, suo
tardivo ammiratore, non sarebbe mancato.
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