rivista anarchica
anno 29 n.252
marzo 1999



diario a cura di Felice Accame

Vecchie teste
e nuova cattiva coscienza

 

Due deputati quantomeno distratti e tardivi hanno recentemente scoperto che nel Museo di Criminologia di Roma è conservata la testa di Giovanni Passa-nante e, muovendosi alla circospetta pietà di chi ha la consapevolezza di far parte della maggioranza di governo, hanno rivolto al Ministro di Grazia e Giustizia un appello affinchè a detta testa si conceda la tanto attesa sepoltura.
Passanante - classificato come anarchico, forse con un po’ di beneficio d’inventario - era un cuoco calabrese che, a Napoli, nel lontano 17 novembre del 1878, tentò di piantare un coltello in qualche organo vitale di re Umberto I, mentre passava fra la folla osannante, sul cocchio di ordinanza, con regina, figlioletto e Presidente del Consiglio dei ministri al seguito. A quanto riferiscono le cronache, Passanante si precipitò verso il cocchio reale con un braccio avvolto in un panno rosso da cui, al momento cruciale, liberò il coltellaccio che, presumibilmente, in cucina usava con maestria su pollame e quarti di bue. Sui quarti e sugli interi di nobiltà, tuttavia, fu meno abile, perchè sfiorò appena il re e colpì in un cosciotto Benedetto Cairoli, un ex-mazziniano ed ex-garibaldino ed ex-tutto che aveva trovato il modo di temperare la propria vocazione populista facendo carriera politica sotto l’egida di Casa Savoia.
Quando il Passanante fu messo nelle condizioni di nuocere ancora di meno, si poté constatare che sul panno rosso campeggiava la scritta "W la Repubblica Internazionale", mentre in tasca gli fu ritrovata un’altra bandiera su cui era scritto ancora "W la Repubblica" e "W Orsini".
Al processo, svoltosi nel marzo dell’anno successivo, il Pubblico Ministero chiese la pena capitale e nessuno gliela negò. Solo dopo la conferma della Cassazione, il re - che dovrà aspettare quasi una dozzina d’anni prima di lasciarci le penne per mano di Bresci -, concesse benevolmente la commutazione della pena nei lavori forzati a vita. Qualche anno dopo, secondo una prassi scientifica usuale all’epoca, il Passanante fu fatto visitare da Lombroso, il quale, non dissimilmente da quanto avevano già sostenuto i suoi avvocati difensori, lo dichiarò pazzo. Ecco perchè fu trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove, nel 1910, morì. Ed ecco alcuni dei presupposti del perchè si infierì sul suo cadavere, tagliandogli la testa e compiendo su di essa chissà quali nefandezze, prima di esporla alla curiosità popolare come reperto tangibile dell’umano progresso.
Lo voleva la Scienza. Misurare crani e soppesare masse cerebrali sembrava la via maestra per la conoscenza dell’essere umano. L’ideologia fisicalista voleva che, in un brandello di corpo umano, risiedessero i segreti della persona - che dalla caratteristica fisica si potesse passare in quattro e quattr’otto alle virtù morali. Più che via maestra della conoscenza è la via maestra di ogni razzismo. E se a quel tempo andavano di moda le teste - cui si assegnavano compiti più nobili di quelli assegnati ai glutei o agli apparati urinari -, non è detto che oggi, quando di moda sono brandelli invisibili e molto meno fastidiosi di Dna, le cose stiano in termini diversi. È la stessa ipocrisia che prospera. La testa di "anarchico", tuttavia, funziona retoricamente meglio delle impalpabili sequenze di geni e dei pulviscoli cellulari - persuade prima e meglio -, ed ha rappresentato a lungo, dunque, il trofeo più ambito da un Potere malfermo e vendicativo in modo direttamente proporzionale alla propria inettitudine.
I due deputati pronti a scandalizzarsi della testa di Passanante, evidentemente, hanno studiato poco e male. Se si fossero guardati attorno con un po’ di attenzione, si sarebbero resi conto che il fenomeno è di vasta portata e che, analizzato fino in fondo, porterebbe a ben più drastiche conclusioni rispetto a quelle di cui loro sembrano accontentarsi.
Nel Museo di Antropologia criminale di Torino - inaugurato da Lombroso nel 1898 - c’è, per esempio, una raccolta di grandi barattoli di vetro, sigillati, dove, a bagno in qualche intruglio chimico, c’è il cervello di tal Barney, ufficialmente criminale, o della Angela Celi incarcerata per chissà che motivo, o della Brugo, infanticida. Poco più in là, su uno scaffale, c’è la faccia di Fleischmann, uno spacciatore di droga austriaco, protomartirizzato a colpi di accetta sulle colline torinesi nel 1925. In uno stanzino, poi, c’è una montagna di teschi anonimi, più e meno accuratamente segati e numerati dal professor Giacomini. Più in evidenza, infine, non può mancare una parure di recipienti in vetro dedicata alle frattaglie del Lombroso medesimo, dono testamentario di se stesso alla scienza futura: la testa, il cervello, il volto e i visceri - una selezione che la dice lunga sulle gerarchie imposte dall’ideologia anatomica. Di spettacoli pseudoscientifici di questo genere, in Italia, se ne offre molti.
Ma se i nostri due deputati riflettessero sulla questione si renderebbero conto che, volendo fare piazza pulita, si dovrebbe andare molto più lontano.
La conservazione e l’esposizione di queste frattaglie assolve una funzione di superstizione scientifica analoga a quella per cui il medesimo repertorio è conservato ed esposto in altri luoghi dove la superstizione trionfa. Ci si appelli, dunque, al nostro Guardasigilli, mostrando la medesima illuminata pietà, perché vengano velocemente interrati, che so, i corpi interi di Santa Agnese di Montepulciano, di Santa Brigida e di Sant’Agata con il suo terzo braccio e le sue sei mammelle sei, la testa di Sant’Anastasio, le otto teste e le cinque braccia di Sant’Anna, le quattro teste e le otto braccia di San Biagio, il membro spropositato di San Bartolomeo, il sangue di San Gennaro, il cordone ombelicale e i cinque prepuzi di Gesù Cristo, nonché, già che ci siamo, il dito di Galileo nel Museo di Storia della Scienza di Firenze - dito che con la storia della scienza c’entra come i cavoli a merenda. Se si vuole davvero riparare torti - torti all’umanità intera e non solo al povero Passanante - da fare ce n’è.

Felice Accame

 

N.B. Il cuore di Passanante, oltre che per la Repubblica Internazionale, batteva per Felice Orsini. Ex mazziniano, incarcerato più volte ed evaso, dopo aver aizzato qua e là invano all’insurrezione armata, Orsini rivolse tutte le sue attenzioni a Napoleone III, che detestava perchè lo riteneva fieramente avverso all’indipendenza ed all’unità d’Italia. Con alcuni compagni, dunque, progettò un attentato dinamitardo a Parigi - attentato al quale, ovviamente, scampò Napoleone III e non un mucchio di presunti innocenti. Vennero presi tutti in un baleno e lui, accompagnato da un certo Pieri che ne avrebbe fatto volentieri a meno, venne ghigliottinato nel 1858. Un’altra testa staccata dal tronco - un destino che al Passanante, suo tardivo ammiratore, non sarebbe mancato.




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