rivista anarchica
anno 29 n.259
dicembre 1999 - gennaio 2000


Quali prospettive dopo l'abolizione della leva?
della Lega Obiettori di Coscienza

 

Accade, a volte, che la fortuita realizzazione di un desiderio per lungo tempo gelosamente nutrito possa a prima vista rivelarsi una iattura. Crediamo che la recente decisione del sinistro Governo D'Alema di passare da un esercito di leva ad un esercito professionale costituisca un esempio calzante di un desiderio trasformatosi in apparente iattura. Intendiamoci, l'abolizione dell'esercito di leva è un fatto positivo. L'ansia stracciona di una normalizzazione modernizzatrice, che costituisce il vero tratto politico-culturale distintivo dell'attuale Governo, ha in questo caso quanto meno contribuito a delegittimare la retorica nazional-democratica che vede nel servizio militare un passaggio fondamentale nella produzione di cittadini (maschi) responsabili.
Se la motivazione per costituire un esercito professionale è quella di renderlo più efficace a fronte del nuovo ruolo di media potenza dell'Italia, è evidente che nel futuro il suo impiego al di fuori dei confini nazionali verrà deciso in base a criteri di pura opportunità geopolitica e solo marginalmente dovrà ottenere il consenso della cittadinanza e del Parlamento. Il velo ideologico del "sacro dovere" patriottico è irrimediabilmente squarciato.
Ma qui veniamo alla iattura; non ci si può nascondere che l'abolizione della leva a medio termine è in fin dei conti una magra consolazione non solo perché sottrae l'esercito ai pur limitatati controlli democratici, ma soprattutto perché rischia di costringere l'antimilitarismo a mero movimento d'opinione e il pacifismo a pura testimonianza. Anzi, come abbiamo visto durante la recente guerra contro la Yugoslavia, il pacifismo umanitario è stato utilizzato come copertura all'intervento militare, ovvero: difesa integrata + missione Arcobaleno = l'Italia in Europa.
Per quanto riguarda l'Italia, forse sarebbe da sfatare la retorica dell'efficacia che legittimerebbe l'istituzione di un esercito professionale, nel senso che almeno per il medio-lungo periodo un sistema di "difesa" europeo rimarrà sussidiario a quello Usa. Eccetto che per la Francia e per la Gran Bretagna, gli eserciti europei non hanno alle spalle una struttura logistica di supporto autonoma che gli permetta di proiettare la propria forza al di là della regione ma soprattutto non esiste ancora in Europa un complesso militare-industriale comparabile a quello statunitense. Questo significa, almeno per l'Italia, che un esercito professionale sia (principalmente) un biglietto da visita che attesti la disponibilità dell'Italia a "giocare con i più grandi".

 

Nuovo modello di difesa/offesa

Il Nuovo Modello di Difesa/Offesa, lungi dall'essere nuovo, è forse l'ultimo degli adeguamenti delle nazioni ai processi di globalizzazione. Anzi, se definiamo efficiente l'organismo in grado di adattarsi contestualmente alle mutate condizioni ambientali, o parlando di organismi sociali, la capacità di anticiparle, il nuovo esercito nasce in ritardo: se la violenza sulla scala degli individui è sempre stata un fenomeno correggibile della natura umana, nella forma più organizzata degli eserciti e della guerra come proprio esercizio essa sta alla storia come l'interruttore al lampadario. Tranne alcune eccezioni storicamente ben delimitate (es. l'India di Ghandi), l'umanità è stata in grado di sostituire la sicurezza militare solo con la costruzione di alleanze e interdipendenze tra nazioni "avversarie".
Gli eserciti di leva sono stati quindi la risposta alla insicurezza storicamente possibile fino a quando il problema della difesa era limitato allo scoraggiare chi, con l'uso della forza o della coercizione, volesse sottrarre sviluppo o prosperità attraverso la rapina colonialista. Andava bene cioè finche gli interessi nazionali erano ben delimitati nella sfera geografica (difesa). Oggi la mutazione dell'economia globale ha portato alla internazionalizzazione del capitalismo, trasformando gli interessi nazionali dei paesi a capitalismo avanzato in dipendenza dalle risorse altrui: la ricchezza è possibile solo col proseguimento della rapina.
Avevamo ragione ad affermare che nella trasformazione post-industriale era possibile una difesa degli interessi nazionali con mezzi nonviolenti: finita l'era del saccheggio era cominciata quella dello sviluppo industriale che rendeva sconveniente di per sé l'occupazione di un territorio ostile (rimanendo comunque irrisolta l'eventualità di invasione a fini strategico militari).
L'esercito professionale, invece, riconfigura l'interesse nazionale come interesse geopolitico: non è il territorio che si deve difendere ma l'accesso alle risorse materiali e umane che permettono il mantenimento dello standard di vita occidentale. Che oggi è sempre più il principale, se non l'unico, collante del legame sociale.

 

L'antimilitarismo possibile

La guerra del Kossovo è l'ultimo episodio di un ciclo apertosi con l'implosione del blocco sovietico e la successiva guerra del Golfo (come regolamento di conti interno al blocco occidentale che sanciva il dominio incontrastato degli Stati Uniti). In fin dei conti, la guerra del Golfo venne legittimata come una guerra dell'Onu ma era ancora dentro la logica territoriale che riconosceva la sovranità dei singoli Stati nazionali, ovvero la salvaguardia dei loro confini. Il crollo dei regimi dell'Est si è rivelato una vittoria di Pirro. Ha sancito sì la superiorità economica del capitalismo, ma ha anche rivelato l'assenza di un progetto di sviluppo complessivo, ovvero l'assenza di una progettualità politica delle "democrazie occidentali".
L'antimilitarismo non può dare risposte immediate ad emergenze "umanitarie" o a crisi internazionali. Il problema è che la logica attuale della "geopolitica del caos" è incapace a risolvere problemi che essa ha prodotto, li può solo affrontare in maniera più o meno efficace solo come emergenze, in effetti la capacità di intervento rapido, il criterio di efficacia, per fronteggiare situazioni di emergenza sembra essere il criterio principe di qualsiasi intervento militare. Tra l'altro si osserva una crescente militarizzazione della politica interna: più polizia, più leggi restrittive, più carcere.
Alla crescente militarizzazione dei rapporti internazionali corrisponde una crescente militarizzazione del controllo sociale interno e un'ulteriore trasformazione in senso autoritario delle democrazie occidentali. Si pensi alle scelte restrittive in materia di ordine pubblico per contrastare una criminalità sempre più effetto della globalizzazione (armi-droga-prostituzione).
A questo punto, una strada per l'adeguamento dell'antimilitarismo ai nuovi scenari che si delineano è di immettersi in un'ottica transnazionale, mettendo in evidenza il collegamento tra l'emergere dei conflitti e i processi di globalizzazione da un lato, e il predominio tecnologico-militare e dell'informazione occidentali dall'altro.
Al di là di un intervento di contro-informazione (che comporta anche uno sforzo di approfondimento e di analisi di lungo periodo) sulle dinamiche che producono conflitti, sarebbe anche doveroso tentare di contrastare la restrizione del diritto di asilo e della libera circolazione delle persone.
Continueremo ad avere ragione continuando ad usare il buonsenso. L'unico modo di difendere i nostri interessi nazionali è di trasformarli, con una politica di guida dei bisogni e dei consumi tale da disintossicare le nostre economie dal bisogno dello sfruttamento altrui. E questo va fatto con gli strumenti del realismo e con uno spirito sincero di soluzione del problema della sicurezza, problema reale ed importante: o cominciamo noi gradualmente a sviluppare rapporti onesti con i paesi del sud del mondo, o ce lo imporranno loro, prima o poi, tutto in una volta, portandoci il conto di ciò che abbiamo saccheggiato.

 

L'obiezione è morta

Tutto si può criticare all'attuale Governo di destra-centro-centro-sinistra, tranne la mancanza di realismo. Ci voleva D'Alema e la sua guerra per farci notare l'assenza del mezzo milione di rappresentanti della punta più avanzata e radicale del movimento pacifista alle manifestazioni contro la guerra: gli Obiettori di Coscienza. Quelli che per intenderci sono contrari in ogni circostanza all'uso individuale e collettivo delle armi.
Poi, dato che le rivelazioni spesso arrivano a coppia, l'attesa rivoluzione nonviolenta programmata per il giorno in cui il "colpo di stato" avrebbe fatto sparire con il "colpo di spugna" il più grande movimento mondiale degli Obiettori di Coscienza, è stata barattata con la indubbia possibilità di poter ottenere il congedo.
Grazie D'Alema, per aver disvelato alla sclerosi pacifista, che il Servizio Civile è un chiodo e l'Obiezione di Coscienza un cacciavite. Chi temeva l'estinzione dell'Obiezione di Coscienza riuscendo a dormire malgrado la preoccupazione, può continuare a dormire, senza preoccupazione, perché oramai il caro estinto è bello che decomposto.
Cioè è da tempo che, malgrado noi, con il passaggio dall'Obiezione di Coscienza al Servizio Civile si è operata una sana divisione dei compiti sulla questione difesa.
Agli eserciti il primato indiscusso della difesa degli interessi nazionali di fronte agli altri paesi, a garanzia dell'uso dell'unico strumento possibile di definizione tra gli interessi nazionali moderni: la guerra.
Agli Obiettori il compito altrettanto gravoso di difendere la patria "dall'interno": una forza di interposizione di pace, e soprattutto non armata, tra marginalità (immigrati, zingari, barboni, malati) che ben hanno da chiedere "svuotate gli arsenali, riempite i granai" ed i monopolisti della violenza i cui progetti erano ben chiari fin da allora.
Gli Obiettori non hanno saputo reagire in maniera chiara a questa divisione: i più bravi hanno continuato a provare a sperimentare forme di difesa non armata, i più impegnati hanno enfatizzato il valore di questo tipo di difesa, la maggior parte ha subito supinamente le evoluzioni regressive del Servizio Civile.

 

Il servizio civile è più vivo che mai

Non abbiamo certo la presunzione della preveggenza, ma un po' di raziocinio ci porta alla conclusione che il Governo prima, l'opposizione poi, le lobby del terzo settore dopo, non intendano di certo rinunciare al Servizio Civile. Dice bene il rappresentate della Consulta Nazionale Enti di Servizio Civile: possibile che non si trovino 250 miliardi?
Di sicuro non se ne troveranno 2.500: tanti ne servirebbero per sostituire i voloncoatti di oggi con Lavoratori Socialmente Utili, con la certezza di un ulteriore deteriorarsi della qualità dei servizi.
Se non si riesce a pulire un giardino pubblico con il Lavoro Socialmente Utile, a voi la risposta di che ne sarebbe della scolarizzazione dei bambini Rom affidata a serviziocivilisti e Lavoratori Socialmente Utili vari.

 

È compito dello stato rispondere ai bisogni

Di questo siamo tutti convinti. Quello di cui noi non siamo convinti è che l'assistenzialismo comunque necessario per garantire il diritto, non al benessere, ma alla dignità, sia esigibile nel quadro convenzionale dell'acquisto e consumo di forza lavoro. Chi è in grado di far di conto dimostrando, anche volendo prevedere un diverso modo di produzione o una equa ridistribuzione del reddito, la possibilità, con lo Stato o in assenza di esso, di spendere 3.000.000 al mese per tenere compagnia ad un bambino portatore di handicap, lo faccia. (3.000.000 al mese e non una lira di meno, perchè tali mansioni o vengono pagate in soddisfazione personale o in moneta sonante. La terza via, quella usata fino ad ieri, è quella del ricatto: o caserma o galera).
C'è pronto però un'altra ricetta, basata sulla solidarietà, condita con il fondamento della famiglia e applicata con il fondamentalismo dell'educazione. Peccato che il risultato, forse buono rispetto il dettaglio del problema, sarebbe una moderna versione del "Dio-Patria-Famiglia" che sicuramente non fa parte della migliore tradizione pacifista.

Servizio Civile Volontario, a Carico della Collettività e a Favore di Essa
Basta lavorare sulle pregiudiziali per uscirne con un progetto coerente. Il Servizio Civile deve poggiare su una base esclusivamente volontaria, garantire un periodo di formazione qualificante, non essere rinnovabile, non prevedere forme di retribuzione. Prendiamo in esame punto per punto le pregiudiziali:
Su base esclusivamente volontaria - L'unico elemento che può qualificare l'esperienza del Servizio Civile sostitutivo è il vincolo dell'accordo ente-obiettore per l'assegnazione. Dubitiamo che quelli che abbiamo definito come enti da chiudere riuscirebbero a trovare dei volontari. Non solo, la volontarietà implica sicuramente la scelta dell'area vocazionale, col risultato di prestazioni di alto profilo quantomeno nell'ambito dell'impegno;
Il vincolo della formazione professionale attestata - Una delle ricette per l'arruolamento di soldati su base volontaria sarà la creazione di corsie preferenziali per l'inserimento lavorativo nel settore pubblico. Sarebbe sicuramente utile contrapporre alla tangente militarista, delle professionalità consolidate negli ambiti "tradizionalmente" coperti dal Servizio Civile. Soprattutto parlando di servizi sociali e culturali, in cui il possibile ingresso in massa degli "educati alla guerra" rischia di portare alla militarizzazione della società;
La premessa della non rinnovabilità - Escluderebbe la creazione per inerzia di sacche di precarizzazione: la condizione di non occupazione, non crea esclusivamente un problema di non reddito, ma anche esclusione e marginalizzazione. La necessità di sentirsi inclusi tra i "produttivi" non può e non deve essere soddisfatta da un "meglio questo che starmene a casa";
30 buoni pasto e le sigarette. - Uno stipendio farebbe leva sul ricatto del bisogno ed il Servizio Civile volontario non sarebbe più volontario. Sarebbe una ennesima edizione di precarizzazione peggiore delle precedenti. Non solo, facendo leva sul bisogno di occupazione finirebbe per non garantire la pregiudiziale della forte motivazione, col risultato di servizi non scadenti ma addirittura dannosi alla persona, con elevati rischi di corruzione nel controllo ambientale, col decadimento alla compiaciuta ignoranza supercafona dei servizi culturali.

 

Che fare?

Nell'immediato, però, non possiamo cedere al ricatto di chi agita lo spettro di massacri sociali proponendo l'istituzione di un Servizio Civile obbligatorio (per ragazzi e ragazze), né di chi più subdolamente rilancia l'ipotesi di assegnare al Servizio Civile sostitutivo tutti i militari in esubero fino al 2005.
Se intendiamo recuperare una reale capacità di contrattazione, dobbiamo alzare la posta in gioco, spostare l'asse dell'attuale dibattito dalle questioni di bottega e riprendere campagne di opinione che superino la dicotomia "leva obbliga-toria/leva volontaria", per mettere in discussione la stessa legittimità, le ragioni d'essere dello strumento Forze Armate in qualunque forma esso venga realizzato.
Solo in questa prospettiva più radicale è possibile rilanciare il dibattito sui modelli di difesa e le modalità della creazione di corpi di pace.
Si tratta di identificare un percorso fatto di campagne e di obiettivi credibili che ci permetta di rendere visibile la nostra critica radicale e contemporaneamente restare in pista sulla questione decisiva del Servizio Civile.
Indichiamo perciò in queste quattro campagne le priorità del nostro lavoro politico nei prossimi anni avendo come scenario di riferimento la sospensione del servizio di leva e la realizzazione completa del Nuovo Modello di Difesa/Offesa:
1. Campagna contro il Nuovo Modello di Difesa/Offesa in ogni sua espressione (quindi anche contro i processi di professionalizzazione delle Forze Armate, ma senza difendere per questo l'attuale sistema basato sulla leva obbligatoria);
2. Campagna per liberarsi dalla necessità delle Forze Armate (corpi civili di pace, Difesa Popolare Nonviolenta, protezione civile, ecc.);
3. Campagna per ascrivere nella Costituzione il diritto all'Obiezione di Coscienza (dopo la sospensione della leva obbligatoria, bisogna garantire il diritto ai soldati volontari di obiettare in qualunque momento la loro coscienza metta in discussione scelte pregresse);
4. Campagna per il Servizio Civile volontario (con le caratteristiche indicate
nel paragrafo precedente e con un ruolo attivo della Lega Obiettori di Coscienza o di associazioni simili sulle questioni informazione, formazione, vigilanza).
In attesa dell'approvazione della legge di riforma della leva, il nostro impegno sul fronte Servizio Civile continuerà a essere mirato alla realizzazione di quanto previsto dalla Legge 230/98, a partire dall'effettiva smilitarizzazione della gestione del servizio, con un ruolo attivo sulle questioni informazione, formazione, vigilanza e caschi bianchi, rifiutando fin d'ora l'ipotesi di un utilizzo nel Servizio Civile di obbligati alla leva militare eccedenti alle esigenze delle Forze Armate.
E se per ragioni di bottega lo Stato esonererà ogni anno migliaia di giovani obiettori/militari la Lega Obiettori di Coscienza non verserà nessuna lacrima. Anzi, il nostro impegno sarà ancora una volta quello di diffondere informazioni e saperi che permettano al maggior numero di giovani di far valere il loro diritto a sottrarsi a coazioni che continuiamo a considerare ingiustificate e illegittime.
A noi è sempre stato chiaro e lo è ancora oggi che la partecipazione popolare a forme alternative di difesa non si può ottenere con la coscrizione obbligatoria.
Nessun Servizio Civile obbligatorio per quanto ben organizzato e onestamente gestito potrà trovare il nostro consenso.

 

Lega Obiettori di Coscienza

 

Per la campagna n° 1 Contro il Nuovo Modello di Difesa/Offesa contattare:
Ass. SignorNò! Loc Roma
Via della Guglia 69/a 00186 Roma
Tel. 06/6780808 Fax 06/6793968 e-mail: disarmo@tiscalinet.it
Per le altre campagne contattare:
Loc Sede Nazionale
Via Mario Pichi 1 20143 Milano
Tel. 02/8378817 e 02/58101226 Fax 02/58101220 e-mail: locosm@tin.it