rivista anarchica
anno 30 n.265
estate 2000



a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

 

Nick Drake

Il successo non è che un albero da frutta instabile. Gli uomini famosi divengono tali solo quando il tempo è volato lontano dal giorno della loro morte. Dimenticati finché sono qui, e ricordati solo per un poco: le rovine rimesse a nuovo di uno stile del tutto fuori moda. La vita è solo il ricordo di qualcosa che è successo tanto tempo fa. Un teatro di tristezza per uno spettacolo dimenticato da tutti. Eppure sembra tutto così facile, basta lasciare che succeda quel che deve succedere, fino al momento in cui ci si ferma a riflettere sul perchè non ci si è mai fermati prima a riflettere... Albero da frutta, ti conoscono solo la pioggia e l’aria. Non preoccuparti: resteranno lì a bocca aperta a guardare quando te ne sarai andato, (da Fruit tree).
Una storia inglese di tanti anni fa: un bel giorno del 1968 Joe Boyd incontrò per la prima volta un giovane e sconosciuto songwriter.
Era un appuntamento di lavoro: Nick Drake - questo il nome del giovane e sconosciuto songwriter - aveva portato con sé alcune registrazioni fatte in casa, per proporle a quello che già allora s’era fatto apprezzare come un produttore di talento: Boyd aveva contribuito alla progettazione ed alla realizzazione - oltre che del debutto discografico dei Pink Floyd - di alcune delle opere fondamentali del folk-rock anglosassone, lavorando con l’Incredible String Band, Sandy Denny, Richard Thompson ed i Fairport Convention. Le ascoltarono insieme, quelle registrazioni casalinghe, e per i due fu l’inizio di una lunga stagione. Una stagione di lavoro sì, ma fortemente intrisa d’amicizia: un rapporto di lavoro che si concretizzò in due album realizzati in strettissima collaborazione -Boyd curò personalmente la produzione di due dei tre album di Drake: Five leaves left del 1969, e, Bryter layter del 1970 -, ma soprattutto in un intreccio di stima e ammirazione più forte della morte (incidentale e cattiva: un‚ intossicazione da farmaci antidepressivi) che portò via improvvisamente Drake pochi anni più tardi, nel 1974.
A soli 26 anni, Drake se ne andò proprio quando aveva appena iniziato a registrare -per abbandonarli comunque - alcuni appunti sonori. Sarebbero dovuti essere, quegli appunti, il tentativo di rimettersi a scrivere canzoni dopo un periodo tristissimo di inattività, e mettere assieme il suo quarto album (il terzo e più conosciuto, Pink moon lo aveva realizzato interamente da solo, in poche ore di registrazione nell’arco di un giorno o due, nel 1972).
In questi pochi anni d’attività Nick Drake scrisse e pubblicò una cinquantina di canzoni, una più bella dell’altra.
Ognuna di esse si sofferma a tratteggiare storie delicate e personaggi minimi, intimi segni di matita indecisa a volare sulla superficie del foglio: i versi respirano brevi, parole come segni sulla sabbia che il mare, il vento e la sera portano via.
Eppure, ciascun ritratto trae da questa delicatezza ed intimità una grande forza vitale ed espressiva, ciascun album quasi una Spoon River di personaggi incontrati forse sul serio o magari sognati, immaginati.
Ti sei spinto troppo nel profondo, sei vissuto d’aria solida. Hai perduto il sonno, e hai saputo muoverti attraverso aria solida... - così lo descrisse l’amico fraterno John Martyn.
In uno scritto del marzo del ‘94, Boyd raccontava con grande semplicità ed umanità, in una manciata di righe, lo stupore che provò all’ascolto di quelle registrazioni casalinghe, tecnicamente povere eppure così speciali. Già al primo scivolare del nastro da una bobina all’altra egli si rese conto di avere davanti un poeta che scriveva canzoni, ed allo stesso tempo un musicista sperimentatore di accordature aperte ed allora inconsuete.
Ognuna delle canzoni di Nick Drake, così come oggi noi le conosciamo, è una miniatura.
L’arpeggio della sua chitarra (amava suonare uno strumento piuttosto economico) veste uno stile fortemente determinato e preciso, influenzato dal blues direi, tessitura robusta della struttura musicale sopra a cui Drake e Boyd appendevano i diversi contributi sonori (Dave Pegg, Richard Thompson, Chris McGregor, Dave Mattacks, John Cale...) come panni colorati stesi al sole. E la voce, soprattutto, la sua voce: descrivibile solo con aggettivi obliqui. Diversa da tutto, e diversa da quella di tutti.
Drake non ebbe mai un’immagine pubblica: occhi timidi ed un sorriso lieve, appena accennato nelle foto di copertina dei suoi dischi, non se la sentiva di suonare le sue storie dal vivo davanti a un pubblico, proprio come il Fabrizio De Andrè dei primi anni. E il mercato, bisognoso di belle facce da sparare in faccia ai consumatori, lo costrinse al margine, o meglio lo spinse nella zona morta al di là di questo. Contrariamente alle intenzioni dell’autore, che sognava di far arrivare lontano le sue canzoni, i dischi di Nick Drake costituivano la mappa di un tesoro nascosto, conosciuta solo a pochi.
Una congiunzione planetaria avversa, forse, si accanì contro di lui.
Drake visse in un periodo storico in cui l’industria discografica era occupata a sfruttare filoni d’altra materia ben più pesante (il piombo degli Zeppelin, a dirne solo una) e le classifiche di vendita dipinte d’altri colori che i suoi acquerelli: il viola di moda era quello dei Deep Purple, il nero quello dei Black Sabbath, il rosso quello dei King Crimson. Le charts preferivano l’effimero azzurro shocking di Venus a quello del suo cielo, e il rosa dei Pink Floyd a quello della sua luna.
A differenza di altri autori frequentatori dei luoghi d’ombra, Drake non potè contare sul circuito delle radio FM, nate in Italia e poi in altre parti d’Europa solo alla metà degli anni Settanta (le emittenti universitarie americane ebbero importanza fondamentale nel diffondere tra una costa e l’altra le canzoni di Leonard Cohen, che pure all’epoca disertava sistematicamente le apparizioni in pubblico). La sinistra profezia raccontata gelidamente in Fruit tree venne ad avverarsi: Joe Boyd dichiara che a lui ed alla famiglia giungono con regolarità in questi anni almeno un paio di proposte ogni mese per trasformare la vita di Nick Drake in un soggetto cinematografico o in un libro...
Ai tre album realizzati da Nick Drake in vita si è aggiunto Time of no reply, una raccolta postuma uscita nel 1986.
In essa sono raccolte registrazioni di diversa datazione, per lo più registrazioni casalinghe e private pubblicate con il consenso della famiglia, ed i quattro schizzi del 1974, realizzati pochi giorni prima di morire in casa dei genitori, in cui Drake sembra accarezzare la depressione come un cane amico.
Tutte quattro gli album sono attualmente reperibili con discreta facilità, separatamente, in edizione economica, e vengono anche commercializzati in un’unica confezione denominata, Fruit tree, che comprende un bell’opuscolo ricco di foto e annotazioni (ma che non giustifica l’alto prezzo richiesto).
Nel ventesimo anniversario della scomparsa, è stata pubblicata una bella antologia dal titolo Way to blue, curata da Joe Boyd con equilibrio, oculatezza e un grande senso di rispetto: non sono stati saccheggiati gli archivi privati né gli scarti delle sessions. Way to blue è ben confezionata, ed offre un libretto ricco di belle foto oltre che dei testi, nonostante il basso prezzo.
Di Nick Drake esiste anche una raccolta semilegale di registrazioni casalinghe ( di qualità tecnica appena sufficiente) intitolata Tanworth-in-Arden, 1967/68, con tutta probabilità sono dei nastri trafugati ai genitori. Un documento di valore feticistico, più che altro (ffo, for fans only insomma) che sinceramente non sono riuscito ad ascoltare senza scacciare a fatica un certo senso di rimorso, quasi fossi stato il complice di una violazione.
Non una riga a proposito dei vari libri su Nick Drake usciti in Italia: non li ho letti. Segnalo invece il website The Nick Drake Files, che mi sembra ben realizzato e piuttosto onestamente gestito: http://cgi.maze.se/~iguana/drake/drake.html. Da qui potete approfondire la ricerca seguendo le indicazioni poste sulla pagina dei links.

 

Loris Vescovo

“Sei solo tu, solo tu Caterina. Solo tu, e non il padrone, che arrivi la mattina e ci porti di quello buono. Tutto il paese a mietere frumento.
Solo tu, e non il padrone, senti che stiamo lavorando e arrivi a precipizio. E arrivi con due borse, solo tu e non il padrone, ti siedi e addirittura ascolti i nostri racconti con passione. Caterina ascolta il suono della falce, solo lei e non il padrone. Caterina conta come una bambina: duecento trecento, duecento trecento, “ (da “200 300”).

Scrivere di Loris Vescovo dopo aver scritto di Nick Drake non vuol essere una presa in giro per l’uno, né una mancanza di rispetto per l’altro.
L’accostamento è azzardato però non è casuale. Solo, penso di aver provato all’ascolto di “Doi oms e une puarte” lo stesso genere di brivido che deve aver provato Joe Boyd trent’anni e passa fa, mentre scorreva da una bobina all’altra il nastro che gli aveva portato Nick Drake.
Eppure, Loris e Nick non si assomigliano, nel senso esplicito che - trent’anni dopo - il primo non tenta di copiare dall’opera e dallo stile del secondo per costruirsi una fettina di spazio nella scena musicale. Le affinità sono sottili, però, intermittenti, scivolose, affiorano un momento per poi subito scomparire. Niente di voluto, direi.
E allora lasciamo stare Nick in pace, ovunque egli sia, per raccontare di questo disco introvabile: è uno di quei cd con la faccia azzurra, duplicati in pochissime copie e tutt’altro che distribuiti commercialmente nei negozi.
La sua circolazione è ancora più circoscritta per motivi linguistici: Loris canta le sue canzoni in lingua friulana, e le impasta con parole ladine, carniche, venete, solo una volta c’è un paio di strofe in italiano, che pizzicano le orecchie e l’attenzione sperdute come sono in questo torrente di parole che sanno di montagna e di campagna, di ortiche e frumento e vino buono.
La visione che viene fuori dai testi non è però quella del contadino buono e poeta e comunque coglione: Loris Vescovo non si ferma all’orizzonte, ma interroga il cielo, la storia e la società contemporanea con gli stessi occhi disincantati di chi non si accontenta di esser mandato fuori -dalla mamma, o dai militari americani di Aviano- a giocare per non sporcare in casa.
Le canzoni sono tutte strutturalmente semplici, eppure ognuna ha una propria personalità e tratti fisiognomici particolari: una chitarra acustica sempre presente ma protagonista con discrezione, qualche tappeto leggero di sintetizzatore (i cui timbri - mai gelidi - sono scelti con gusto da intenditore).
Abbellimenti appena accennati di ghironda e sassofono e, last but not least, Giovanni Maier - protagonista di talento del jazz contemporaneo - che offre col suo contrabbasso un contributo ispido, spiazzante e godibilissimo.
Della voce di Loris potrei raccontarvi i colori bruni e il suono curioso, ma mi renderei ridicolo perché dovrei cominciare ad andare a caccia di aggettivi esagerati e adesso siamo fuori stagione.
Un’indicazione soltanto: è il cd che ho ascoltato più spesso in quest’ultimo mese, lasciando indietro persino Jan Garbarek e la mia amata Patti Smith.
Ripeto, questo cd non si trova in giro. Provate presso Radio Onde Furlane, via Volturno, 29 33100 Udine, tel. 0432.530614, e-mail: ondef@friul.it.
Oppure scrivete e/o chiamate Nota, casella postale 187 33100 Udine, tel./fax 0432.582011.

Marco Pandin

Antologia della canzone Anarchica italiana

Grazie alla solidarietà dell’etichetta discografica Ala Bianca, sono state offerte a sostegno della nostra rivista numerose copie delle raccolte dedicate alla canzone anarchica italiana.
Si tratta di due cd contenenti la versione restaurata degli album “Addio Lugano bella” e “Quella sera a Milano era caldo...” pubblicate negli anni ‘70 dai Dischi del Sole.
I riversamenti e la masterizzazione digitale sono stati effettuati da Michele Straniero presso l’Istituto Ernesto De Martino.
Entrambi i cd contengono un dépliant con i testi e alcune note informative per ciascun brano.
Tra le canzoni: Addio a Lugano, Inno dei Malfattori, Sante Caserio, Il galeone, Amore ribelle, Figli della plebe, Ballata del Pinelli, Mano alla bomba, Il maschio di Volterra...
Tra gli interpreti: Teresa Varengo Amerio, Caterina Bueno, Luisa Ronchini, Ivan Della Mea, Cesare Bermani, Paola Nicolazzi, il Coro Anarchico di Ancona...
Ciascun cd viene offerto ai nostri lettori dietro la sottoscrizione di 24,000 lire.
Sempre dell’Ala Bianca, sono anche disponibili alcune copie della raccolta “Ci ragiono e canto” dall’omonimo spettacolo di Dario Fo (cd, sottoscrizione di 24,000 lire), della raccolta “Le stagioni degli Anni Settanta” (doppio cd, sottoscrizione di 34,000 lire) e dell’album di Caterina Bueno “La veglia” (cd, sottoscrizione di 24,000 lire).
Chiediamo di aggiungere alla vostra sottoscrizione un contributo a vostra discrezione per le spese postali (per spedire un cd occorrono almeno 4,000 lire se per posta ordinaria e 7,000 lire se per raccomandata). Non si effettuano spedizioni contrassegni né sconti. I versamenti vanno effettuati sul c/c postale n. 12552204 intestato ad Editrice A, Milano. Le spedizioni vengono effettuate non appena ci viene notificato l’avvenuto versamento dall’amministrazione postale: per velocizzare i tempi (a volte eccessivi) potete inviarci copia della ricevuta del versamento via e-mail oppure via posta prioritaria.