Nick
Drake
Il successo non è che un albero da frutta instabile.
Gli uomini famosi divengono tali solo quando il tempo è
volato lontano dal giorno della loro morte. Dimenticati finché
sono qui, e ricordati solo per un poco: le rovine rimesse
a nuovo di uno stile del tutto fuori moda. La vita è
solo il ricordo di qualcosa che è successo tanto tempo
fa. Un teatro di tristezza per uno spettacolo dimenticato
da tutti. Eppure sembra tutto così facile, basta lasciare
che succeda quel che deve succedere, fino al momento in cui
ci si ferma a riflettere sul perchè non ci si è
mai fermati prima a riflettere... Albero da frutta, ti conoscono
solo la pioggia e l’aria. Non preoccuparti: resteranno lì
a bocca aperta a guardare quando te ne sarai andato, (da Fruit
tree).
Una storia inglese di tanti anni fa: un bel giorno del 1968
Joe Boyd incontrò per la prima volta un giovane e sconosciuto
songwriter.
Era un appuntamento di lavoro: Nick Drake - questo il nome
del giovane e sconosciuto songwriter - aveva portato con sé
alcune registrazioni fatte in casa, per proporle a quello
che già allora s’era fatto apprezzare come un produttore
di talento: Boyd aveva contribuito alla progettazione ed alla
realizzazione - oltre che del debutto discografico dei Pink
Floyd - di alcune delle opere fondamentali del folk-rock anglosassone,
lavorando con l’Incredible String Band, Sandy Denny, Richard
Thompson ed i Fairport Convention. Le ascoltarono insieme,
quelle registrazioni casalinghe, e per i due fu l’inizio di
una lunga stagione. Una stagione di lavoro sì, ma fortemente
intrisa d’amicizia: un rapporto di lavoro che si concretizzò
in due album realizzati in strettissima collaborazione -Boyd
curò personalmente la produzione di due dei tre album
di Drake: Five leaves left del 1969, e, Bryter layter
del 1970 -, ma soprattutto in un intreccio di stima e
ammirazione più forte della morte (incidentale e cattiva:
un‚ intossicazione da farmaci antidepressivi) che portò
via improvvisamente Drake pochi anni più tardi, nel
1974.
A soli 26 anni, Drake se ne andò proprio quando aveva
appena iniziato a registrare -per abbandonarli comunque -
alcuni appunti sonori. Sarebbero dovuti essere, quegli appunti,
il tentativo di rimettersi a scrivere canzoni dopo un periodo
tristissimo di inattività, e mettere assieme il suo
quarto album (il terzo e più conosciuto, Pink moon
lo aveva realizzato interamente da solo, in poche ore di registrazione
nell’arco di un giorno o due, nel 1972).
In questi pochi anni d’attività Nick Drake scrisse
e pubblicò una cinquantina di canzoni, una più
bella dell’altra.
Ognuna di esse si sofferma a tratteggiare storie delicate
e personaggi minimi, intimi segni di matita indecisa a volare
sulla superficie del foglio: i versi respirano brevi, parole
come segni sulla sabbia che il mare, il vento e la sera portano
via.
Eppure, ciascun ritratto trae da questa delicatezza ed intimità
una grande forza vitale ed espressiva, ciascun album quasi
una Spoon River di personaggi incontrati forse sul serio o
magari sognati, immaginati.
Ti sei spinto troppo nel profondo, sei vissuto d’aria solida.
Hai perduto il sonno, e hai saputo muoverti attraverso aria
solida... - così lo descrisse l’amico fraterno John
Martyn.
In uno scritto del marzo del ‘94, Boyd raccontava con grande
semplicità ed umanità, in una manciata di righe,
lo stupore che provò all’ascolto di quelle registrazioni
casalinghe, tecnicamente povere eppure così speciali.
Già al primo scivolare del nastro da una bobina all’altra
egli si rese conto di avere davanti un poeta che scriveva
canzoni, ed allo stesso tempo un musicista sperimentatore
di accordature aperte ed allora inconsuete.
Ognuna delle canzoni di Nick Drake, così come oggi
noi le conosciamo, è una miniatura.
L’arpeggio della sua chitarra (amava suonare uno strumento
piuttosto economico) veste uno stile fortemente determinato
e preciso, influenzato dal blues direi, tessitura robusta
della struttura musicale sopra a cui Drake e Boyd appendevano
i diversi contributi sonori (Dave Pegg, Richard Thompson,
Chris McGregor, Dave Mattacks, John Cale...) come panni colorati
stesi al sole. E la voce, soprattutto, la sua voce: descrivibile
solo con aggettivi obliqui. Diversa da tutto, e diversa da
quella di tutti.
Drake non ebbe mai un’immagine pubblica: occhi timidi ed un
sorriso lieve, appena accennato nelle foto di copertina dei
suoi dischi, non se la sentiva di suonare le sue storie dal
vivo davanti a un pubblico, proprio come il Fabrizio De Andrè
dei primi anni. E il mercato, bisognoso di belle facce da
sparare in faccia ai consumatori, lo costrinse al margine,
o meglio lo spinse nella zona morta al di là di questo.
Contrariamente alle intenzioni dell’autore, che sognava di
far arrivare lontano le sue canzoni, i dischi di Nick Drake
costituivano la mappa di un tesoro nascosto, conosciuta solo
a pochi.
Una congiunzione planetaria avversa, forse, si accanì
contro di lui.
Drake visse in un periodo storico in cui l’industria discografica
era occupata a sfruttare filoni d’altra materia ben più
pesante (il piombo degli Zeppelin, a dirne solo una) e le
classifiche di vendita dipinte d’altri colori che i suoi acquerelli:
il viola di moda era quello dei Deep Purple, il nero quello
dei Black Sabbath, il rosso quello dei King Crimson. Le charts
preferivano l’effimero azzurro shocking di Venus a quello
del suo cielo, e il rosa dei Pink Floyd a quello della sua
luna.
A differenza di altri autori frequentatori dei luoghi d’ombra,
Drake non potè contare sul circuito delle radio FM,
nate in Italia e poi in altre parti d’Europa solo alla metà
degli anni Settanta (le emittenti universitarie americane
ebbero importanza fondamentale nel diffondere tra una costa
e l’altra le canzoni di Leonard Cohen, che pure all’epoca
disertava sistematicamente le apparizioni in pubblico). La
sinistra profezia raccontata gelidamente in Fruit tree venne
ad avverarsi: Joe Boyd dichiara che a lui ed alla famiglia
giungono con regolarità in questi anni almeno un paio
di proposte ogni mese per trasformare la vita di Nick Drake
in un soggetto cinematografico o in un libro...
Ai tre album realizzati da Nick Drake in vita si è
aggiunto Time of no reply, una raccolta postuma uscita nel
1986.
In essa sono raccolte registrazioni di diversa datazione,
per lo più registrazioni casalinghe e private pubblicate
con il consenso della famiglia, ed i quattro schizzi del 1974,
realizzati pochi giorni prima di morire in casa dei genitori,
in cui Drake sembra accarezzare la depressione come un cane
amico.
Tutte quattro gli album sono attualmente reperibili con discreta
facilità, separatamente, in edizione economica, e vengono
anche commercializzati in un’unica confezione denominata,
Fruit tree, che comprende un bell’opuscolo ricco di foto
e annotazioni (ma che non giustifica l’alto prezzo richiesto).
Nel ventesimo anniversario della scomparsa, è stata
pubblicata una bella antologia dal titolo Way to blue, curata
da Joe Boyd con equilibrio, oculatezza e un grande senso di
rispetto: non sono stati saccheggiati gli archivi privati
né gli scarti delle sessions. Way to blue è
ben confezionata, ed offre un libretto ricco di belle foto
oltre che dei testi, nonostante il basso prezzo.
Di Nick Drake esiste anche una raccolta semilegale di registrazioni
casalinghe ( di qualità tecnica appena sufficiente)
intitolata Tanworth-in-Arden, 1967/68, con tutta probabilità
sono dei nastri trafugati ai genitori. Un documento di valore
feticistico, più che altro (ffo, for fans only
insomma) che sinceramente non sono riuscito ad ascoltare senza
scacciare a fatica un certo senso di rimorso, quasi fossi
stato il complice di una violazione.
Non una riga a proposito dei vari libri su Nick Drake usciti
in Italia: non li ho letti. Segnalo invece il website The
Nick Drake Files, che mi sembra ben realizzato e piuttosto
onestamente gestito: http://cgi.maze.se/~iguana/drake/drake.html.
Da qui potete approfondire la ricerca seguendo le indicazioni
poste sulla pagina dei links.
Loris
Vescovo
“Sei solo tu, solo tu Caterina. Solo tu, e non il padrone,
che arrivi la mattina e ci porti di quello buono. Tutto il
paese a mietere frumento.
Solo tu, e non il padrone, senti che stiamo lavorando e arrivi
a precipizio. E arrivi con due borse, solo tu e non il padrone,
ti siedi e addirittura ascolti i nostri racconti con passione.
Caterina ascolta il suono della falce, solo lei e non il padrone.
Caterina conta come una bambina: duecento trecento, duecento
trecento, “ (da “200 300”).
Scrivere di Loris Vescovo dopo aver scritto di Nick Drake
non vuol essere una presa in giro per l’uno, né una
mancanza di rispetto per l’altro.
L’accostamento è azzardato però non è
casuale. Solo, penso di aver provato all’ascolto di “Doi oms
e une puarte” lo stesso genere di brivido che deve aver provato
Joe Boyd trent’anni e passa fa, mentre scorreva da una bobina
all’altra il nastro che gli aveva portato Nick Drake.
Eppure, Loris e Nick non si assomigliano, nel senso esplicito
che - trent’anni dopo - il primo non tenta di copiare dall’opera
e dallo stile del secondo per costruirsi una fettina di spazio
nella scena musicale. Le affinità sono sottili, però,
intermittenti, scivolose, affiorano un momento per poi subito
scomparire. Niente di voluto, direi.
E allora lasciamo stare Nick in pace, ovunque egli sia, per
raccontare di questo disco introvabile: è uno di quei
cd con la faccia azzurra, duplicati in pochissime copie e
tutt’altro che distribuiti commercialmente nei negozi.
La sua circolazione è ancora più circoscritta
per motivi linguistici: Loris canta le sue canzoni in lingua
friulana, e le impasta con parole ladine, carniche, venete,
solo una volta c’è un paio di strofe in italiano, che
pizzicano le orecchie e l’attenzione sperdute come sono in
questo torrente di parole che sanno di montagna e di campagna,
di ortiche e frumento e vino buono.
La visione che viene fuori dai testi non è però
quella del contadino buono e poeta e comunque coglione: Loris
Vescovo non si ferma all’orizzonte, ma interroga il cielo,
la storia e la società contemporanea con gli stessi
occhi disincantati di chi non si accontenta di esser mandato
fuori -dalla mamma, o dai militari americani di Aviano- a
giocare per non sporcare in casa.
Le canzoni sono tutte strutturalmente semplici, eppure ognuna
ha una propria personalità e tratti fisiognomici particolari:
una chitarra acustica sempre presente ma protagonista con
discrezione, qualche tappeto leggero di sintetizzatore (i
cui timbri - mai gelidi - sono scelti con gusto da intenditore).
Abbellimenti appena accennati di ghironda e sassofono e, last
but not least, Giovanni Maier - protagonista di talento del
jazz contemporaneo - che offre col suo contrabbasso un contributo
ispido, spiazzante e godibilissimo.
Della voce di Loris potrei raccontarvi i colori bruni e il
suono curioso, ma mi renderei ridicolo perché dovrei
cominciare ad andare a caccia di aggettivi esagerati e adesso
siamo fuori stagione.
Un’indicazione soltanto: è il cd che ho ascoltato più
spesso in quest’ultimo mese, lasciando indietro persino Jan
Garbarek e la mia amata Patti Smith.
Ripeto, questo cd non si trova in giro. Provate presso Radio
Onde Furlane, via Volturno, 29 33100 Udine, tel. 0432.530614,
e-mail: ondef@friul.it.
Oppure scrivete e/o chiamate Nota, casella postale 187 33100
Udine, tel./fax 0432.582011.
Marco Pandin
Antologia della canzone
Anarchica italiana
Grazie alla solidarietà dell’etichetta
discografica Ala Bianca, sono state offerte a sostegno
della nostra rivista numerose copie delle raccolte dedicate
alla canzone anarchica italiana.
Si tratta di due cd contenenti la versione restaurata
degli album “Addio Lugano bella” e “Quella sera a Milano
era caldo...” pubblicate negli anni ‘70 dai Dischi del
Sole.
I riversamenti e la masterizzazione digitale sono stati
effettuati da Michele Straniero presso l’Istituto Ernesto
De Martino.
Entrambi i cd contengono un dépliant con i testi
e alcune note informative per ciascun brano.
Tra le canzoni: Addio a Lugano, Inno dei Malfattori,
Sante Caserio, Il galeone, Amore ribelle, Figli della
plebe, Ballata del Pinelli, Mano alla bomba, Il maschio
di Volterra...
Tra gli interpreti: Teresa Varengo Amerio, Caterina
Bueno, Luisa Ronchini, Ivan Della Mea, Cesare Bermani,
Paola Nicolazzi, il Coro Anarchico di Ancona...
Ciascun cd viene offerto ai nostri lettori dietro la
sottoscrizione di 24,000 lire.
Sempre dell’Ala Bianca, sono anche disponibili alcune
copie della raccolta “Ci ragiono e canto” dall’omonimo
spettacolo di Dario Fo (cd, sottoscrizione di 24,000
lire), della raccolta “Le stagioni degli Anni Settanta”
(doppio cd, sottoscrizione di 34,000 lire) e dell’album
di Caterina Bueno “La veglia” (cd, sottoscrizione di
24,000 lire).
Chiediamo di aggiungere alla vostra sottoscrizione un
contributo a vostra discrezione per le spese postali
(per spedire un cd occorrono almeno 4,000 lire se per
posta ordinaria e 7,000 lire se per raccomandata). Non
si effettuano spedizioni contrassegni né sconti.
I versamenti vanno effettuati sul c/c postale n. 12552204
intestato ad Editrice A, Milano. Le spedizioni vengono
effettuate non appena ci viene notificato l’avvenuto
versamento dall’amministrazione postale: per velocizzare
i tempi (a volte eccessivi) potete inviarci copia della
ricevuta del versamento via e-mail oppure via posta
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