rivista anarchica
anno 30 n.266
ottobre 2000


Luce Fabbri

Giocando sulle ginocchia di Malatesta
Intervista a Luce Fabbri di Massimo Annibale Rossi

L'ultima intervista di Luce Fabbri, rilasciata il 18 maggio scorso.

Ero piccina, appena cinque anni, ma mi porto il ricordo nitido di quest'uomo dalla folta barba che, venuto a sera a trovarci, trascorse ore a giocare con noi bambini. Portava in dono un meccano. Era quel giorno stesso uscito dalla prigione. Si chiamava Errico Malatesta". Luce è felice nel racconto: brani di un'esistenza che appaiono più avvincenti del più avvincente romanzo. L'ascolto a mia volta rapito, cercando di non perdere le sfumature di questa voce flebile che sembra giungere da lontano.
Conobbi Luce Fabbri dai suoi scritti, e più precisamente durante un lavoro di ricerca sul primo periodo di Volontà, gli anni eroici della fondazione e del tentativo di rilancio del movimento in Italia. La seconda guerra mondiale era appena terminata e gli anarchici tornavano dalle galere e dagli esili, che per più di vent'anni li avevano tenuti lontani. Anche Luce pensò in quel tempo di riprendere a ritroso il mare, "ma la salute... ". Un compagno conosciuto a casa sua, commentando il primo loro incontro alla fine degli anni '30, rammentava: "La trovammo incredibilmente colta e profonda, ma mangiava come un uccellino ed era pallida e smunta da farci pensare che non ci sarebbe rimasta per molto". Luce ha compiuto novantadue anni.
Degli scritti di quel periodo colpivano il tratto deciso e arguto, la determinazione a sottrarsi alle categorie dell'inevitabile luogo comune, seppur libertario. Nei lunghi pomeriggi trascorsi chino sulla rivista, cercavo un filo di Arianna che mi aiutasse a sottrarmi alle pastoie della ricostruzione storiografica, a trarre da quelle voci suggestioni per un futuro possibile. E del futuro e di un risveglio alla vita di tante esistenze sonnolente e sapide, da quel tempo per me lontano desiderai parlare con Luce.
Il discorso iniziò in verità a Milano, nella redazione di "A". Salutavo Paolo Finzi in attesa di partire per il Brasile e involontariamente cominciai a riversare sul suo inarrestabile attivismo la vena scettica e indefinita che da qualche tempo mi tormenta. "Gli anarchici mi appaiono troppo appiattiti sul loro affascinante passato. La vita, i nuovi fermenti sono nella strada; diversi e mutevoli, ma reali", dicevo e nel dire quel senso di insoddisfazione e anche di dolore si faceva parola per un amico disposto a condividere. "Non serve realizzare nuovi tentativi di catalogazione di ciò che è, o meglio appare, "libertario". I movimenti giovanili sono per natura inafferrabili e spesso contraddittori. L'Hip-hop ne è un esempio, un crogiolo di passioni e desideri che quotidianamente, in ogni parte di questo vecchio pianeta, nonostante gli Albertini, si fa atto". E qui, sotto lo sguardo più inquieto di Paolo, il sasso nello stagno: "Gli anarchici dovrebbero a mio avviso trascurare un poco le loro meravigliose architetture teoriche e 'sporcarsi le mani'... ". Mi era uscito.
Paolo mi consigliò di riflettere, precisare il mio pensiero e scriverne. Poi, pochi giorni dopo, il bagno di polvere, grida e barricate di questa presente, vitalissima America Latina. L'odore acre delle dittature degli anni '80 dietro gl'inesplicabili compromessi dei politici delle "rinate" democrazie. "Sem terra", Zapatisti e movimenti indigenisti. Volti e parole, ma soprattutto un agire lontano anni luce dal fideismo monolitico dei tristi bolscevichi. Ritrovarmi con gli anarchici uruguasci nelle avenida di Montevideo, un corteo di 70.000 persone, a chiedere: "Donde estan los desasparecidos?".
E ancora Luce: "Sono contenta perché ciò che sta avvenendo conferma che avevamo ragione. In Uruguay, come ovunque, la sinistra si è avvicinata al potere perdendo le caratteristiche originarie, acquistando i caratteri che era nata per combattere. E' sufficiente l'odore del potere per corrompere. Penso ai revisionisti anarchici, tipo Machno con la sua piattaforma o in Italia Pardaillan, orientati verso la presa del potere 'per il periodo brevissimo' necessario a compiere il salto. Noi non dobbiamo avvicinarci al potere".

"Tuttavia, nella gestione di qualunque struttura emergono un carisma, delle capacità, dei leader...".

"L'importante è sentire dentro che [il potere] non lo vuoi. E di ciò sono sicura per me stessa e per i compagni che conosco; certo ce ne possono essere di più deboli. Non si può garantire per tutti".

"Qual è la differenza tra l'autorevolezza riconosciuta al leader di un gruppo e il potere?".

"Siamo esseri umani, non possediamo una difesa, una corazza interiore che ci protegga dalle nostre pulsioni. Si tratta di un processo; piccoli strappi e concessioni, qualcosa di insensibile. Non accade che all'improvviso ci si percepisca autoritari. Piccoli strappi: sei sicuro di te, ma proprio perché ti senti sicuro puoi arrivare a compiere un altro e un altro strappo. Ti trovi intrappolato in un ingranaggio. Incominci a dirti: 'Non è il momento: se perdo il potere succede... '. E dunque: 'ancora no; ancora no'. E via via si scivola: credo che ci sia molta differenza tra l'esercizio del Governo provvisorio e dire 'non voglio il potere', anche a condizione di subire quello di un altro. E' meglio averci il piede sulla testa, che avere il proprio piede sulla testa di un altro".

"Stai pensando alla Rivoluzione spagnola?".

Stavo pensando a quello, a Federica Montseny e alla sua riflessione. Gli anarchici sono passati per il potere un po' teoricamente... ".

"Insomma, erano ministri...".

"Erano ministri, ma non potevano fare molto...".

"Forse più in Catalogna...".

"Sì, io credo che chi veramente abbia avuto potere e l'abbia esercitato sia stato Santillan. Santillan era molto, molto anarchico, ma ci fu un momento che in Catalogna gli anarchici prevalsero. La CNT era molto potente e Santillan il suo rappresentante... Il ministero dei quattro è stato il gran colpo ricevuto dall'anarchismo contemporaneo, e non è stato grave per Federica che era al Ministero della sanità, dove qualcosa di buono si può fare. Ma Garzia Oliver che aveva la giustizia, nientemeno...".

"Mi sembra di capire che secondo te gli anarchici non dovevano accettare".

"Si era in guerra, una ragione molto forte. Franco stava vincendo, i compagni erano imbottigliati nel sud; se le cose non fossero cambiate, presto sarebbero stati costretti a concentrarsi ad Alicante, nel tentativo di imbarcarsi. Loro si convinsero che per non perdere la guerra fosse necessario agire a quel modo. I giudici della situazione erano loro, non certo quanti sono restati comodamente a casa, tuttavia rimango convinta non dovessero accettare".

"Mi viene in mente una parabola di Ghandi sulla necessità di compiere compromessi con la propria coscienza quando si tratta di evitare grandi mali. Se nel mio villaggio vedo il macellaio uscire minaccioso con un coltellaccio a suo negozio, dovrò cercare di fermarlo. E se questi fuori di senno dovesse cominciare a ferire e uccidere la gente, per fermarlo dovrò compiere un atto violento (ammesso che ci riesca). Da questo punto di vista percepisco la sterilità dei dogmatismi e apprezzo la scelta. L'assoluta coerenza può portare alla paralisi dell'azione, all'ignavia...".

"L'esempio della votazione mi sembra emblematico. La ripugnanza al voto si è per gli anarchici trasformata in dogma. Noi non vogliamo delegare la nostra sovranità, la vogliamo esercitare direttamente, tuttavia a volte conviene che la votazione riesca. L'importante è non esser candidati, ma votare o non votare, non vedo in cosa praticamente influisca".

"Sei una grande eretica... ".

"Io generalmente non voto, eppure una volta ho votato".

"Io invece voto facendo inorridire gli anarchici, ma voto in funzione del male minore".
"Il rifiuto del voto è un pregiudizio; credo che noi non siamo partigiani del male minore: 'tutto o niente'. Ma in genere non si ottiene nulla quando si vuole tutto".

"Nella storia recente del movimento, penso al tentativo di Masini di candidarsi alle amministrative, si assiste a contrapposizioni molto dure, ad atteggiamenti che sanno di scomunica. Un altro esempio è fornito da Cesare Zaccaria, redattore di Volontà fino alla metà degli anni '50 , quando parve avvicinarsi al liberalismo crociano dal quale proveniva. Anche in quel caso si verifica una sorta di condanna e una successiva rimozione. Cosa pensi di questo atteggiamento nei confronti di quanti infrangono i fondamenti dell'anarchismo o che semplicemente se ne allontanano?".

"Se uno si presenta come candidato e accetta una carica come anarchico crea confusione nella mente della gente. Bisogna prendere posizione per evitarlo e perché si rispetti il significato delle parole. Ma bisogna vedere più in là: nella Resistenza si sono viste le cose più strane. Bifolchi è diventato sindaco di un paesino meridionale".

"Anche Ugo Fedeli, esule in Uruguay, poi espulso, si trovò nella medesima situazione...".

"Di Fedeli non sapevo. È stato un momento di confusione che fa parte della storia del movimento; guerra, partigiani".

"Dopo la confusione, l'accendersi delle correnti. Come hai vissuto le infinite diatribe interne?".

"Io gli individualisti non li ho mai capiti. Non capisco come possano sostenere una visione del futuro senza considerare l'uomo come essere sociale. L'uomo non si concepisce senza il linguaggio, e il linguaggio è di tutti e ci lega gli uni agli altri. Il linguaggio è il portato di una società; siamo la convergenza di tanti sforzi".

"Una domanda un po' provocatoria: l'aggressività è frutto della paura...".

"E anche del desiderio di potere".

"E anche del desiderio di potere; ma considerando la storia del movimento sono colpito dalla veemenza del confronto tra le fazioni. Se tra loro sono e sono stati così aggressivi, di cosa hanno paura gli anarchici?".

"Credo sia l'argomento più forte contro la realizzabilità dell'anarchia. 'Se non andate d'accordo tra voi, come può funzionare la società senza autorità?' E' difficile discutere riconoscendo la buona fede dell'avversario, ma è l'unica strada".

"Torniamo alla paura degli anarchici. Penso all'Adunata dei refrattari, ma anche a polemiche e prese di posizione più recenti. Quanti compagni hanno intinto la penna nel veleno...".

"Quando ancora s'intingeva. Ma rispondi tu, che hai detto che è frutto della paura...".

"Forse il desiderio di prevalere sull'opinione dell'altro, di sentirsi più forti e sicuri. Problemi di autostima".

"Non se ne accorgono. Tu vedi: appena nelle riunioni uno parla un po' meglio, riesce meglio a convincere, assume una posizione, un ruolo speciale e lo difende. Non lascia più parlare gli altri, e anche questa è una forma di potere. È inevitabile, siamo tutti persone, soggetti ai nostri istinti".

"Votazioni, leader, aggressività latente, paura e desiderio di potere sono temi trasversali alla tua storia, quanto al presente. Il senso del passato viene meno se non se ne trae, come sostenevate voi di# Volontà, uno stimolo per l'azione e il cambiamento. Si pone un tema fondamentale: la capacità dell'anarchismo contemporaneo di cogliere e interpretare fermenti e segnali concreti. Secondo te, gli anarchici sanno ancora ascoltare?".

"Io non so se in campo nostro siano stati valutati sufficientemente i cambiamenti della struttura sociale, e più precisamente gli effetti del venire meno del proletariato come classe maggioritaria e cosciente di sè. ...se ci siamo realmente adattati nei nostri metodi a una situazione così nuova. Non si può più parlare di insurrezione. È diventato importante il piccolo passo, la vittoria circostanziale. Credo di essere ancora in debito con A Rivista di una risposta rispetto a una intervista che mi fecero molto tempo fa, in cui mi definii partigiana delle cooperative. Sono convinta che il cooperativismo, ben inteso, costituisca un passo avanti. È un sistema molto corrompibile, accessibile alle deformazioni del mercato, ma al principio si fonda sulla solidarietà e non sulla concorrenza".

"Per te la concorrenza è un disvalore?".

"In un regime capitalista è alla radice della violenza; è un disvalore".

"Come giudichi dunque la componente "sperimentalista", che individua nella compresenza, e nella competizione, di differenti soggetti economici - cooperative, piccoli imprenditori, artigiani - una precondizione allo sviluppo del corpo sociale?".

"Mio padre era sperimentalista, e anch'io lo sono. Il capitalismo, quanto un'economia solidale, possono realizzarsi in varie forme. Quando mio padre diceva 'si sperimenteranno i vari sistemi', si riferiva comunque all'ambito socialista".

"Per associazione diretta, il tema dello sperimentalismo richiama Camillo Berneri...".

"Se la memoria non mi inganna, ricordo che mio padre sosteneva Berneri stesse 'navigando in acque pericolose', ma, soprattutto negli ultimi tempi, l'idea della libera sperimentazione lo affascinava".

"Per concludere, un tuo pensiero sugli anni che ci attendono".

"Credo che la cesura tra presente e passato sia rappresentata da Hiroshima.
Tutto ciò che è stato scritto precedentemente dovrebbe essere rivisto in funzione della morte atomica. Los Alamos recentemente lambita da un incendio rappresenta una metafora. Il capitalismo, anche se mostra segni di crisi, è un animale duro a morire, capace di profonde mutazioni che in questa fase, la globalizzazione, vanno a peggiorare le condizioni della gente. Gli anarchici comprenderanno il cambiamento in atto e giungeranno a una concezione differente della rivoluzione sociale, adeguando gli strumenti di propaganda in un senso che mi pare vicino al movimento dei Sem Terra".

18 maggio 2000.
Montevideo, Uruguay

Massimo Annibale Rossi

La morte sempre è ingiusta

Luce se ne è andata da noi pian piano. Fino a oltrepassare il limitare e lì spegnersi. Ma non si spegnera tutto l'apporto che fin dalla giovinezza, di lei e di noi, asincronici ma coincidenti, ci diede.
A partire da quel precoce libretto che ci servì d'appoggio, riuniti in Juventudes Libertarias, e che non casualmente si chiamò "La strada", fino al suo libro "La libertad entre la Historia y la Utopìa", Luce Fabbri ci apportò le sue idee sempre fresche e responsabilizzanti.
"Pensare è azione anticipata" ci ripeteva quando ci riunivamo per ascoltarla. Certamente, a volte si manifestarono differenze, ma per arricchire il dialogo e l'analisi della realtà.
La sua morte annunciata non smette di colpirci, forse perché non ci lascia in epoche facili. La meta ancora sembra lontana e il cammino è ripido.
In una poesia che ci lascia aveva anticipato il suo commiato e il suo desiderio che noi manteniamo vivo il suo desiderio di un mondo giusto e libero, che precorse e che non potè vedere realizzato:

En el cielo y en la tierra está el futuro,
el futuro cercano,
en el que moriré.
Hacedlo luminoso, tu y los otros,
no dejeis que me muera en la tiniebla
agazapada bajo el horizonte.*

I tempi si sovrappongono, domani al darle l'addio si compiono proprio 45 anni dalla nascita della nostra Comunità, che sempre poté contare sul suo riconoscimento e sulle sue critiche, e sopra tutto sull'esempio della sua integrità e del suo calore.
Luce, amica e compagna, cercheremo di corrispondere alla tua speranza.

COMUNIDAD DEL SUR
Montevideo, 19 agosto 2000

*(Nel cielo e nella terra sta il futuro, / l'ormai prossimo futuro / in cui io morirò. / Rendetelo luminoso
, tu e gli altri, / non lasciate che io muoia tra le tenebre / rannicchiata sotto l'orizzonte.)