rivista anarchica
anno 30 n.266
ottobre 2000


Quei bravi ragazzi di Tor Vergata
di Carlo Oliva

Fa sempre piacere, diciamolo, vedere tanti ragazzi convinti e sicuri di sé, assistere allo spettacolo di tanti giovani felici di affermare la verità che sono convinti di possedere. Eppure...

 

Illustrazione di Natale Galli
Illustrazione di Natale Galli

 

Non è certo da oggi che il papa fa notizia. Figuriamoci in agosto, quando gli operatori dell'informazione di massa hanno un tale disperato bisogno di "eventi", che non esitano, il più delle volte, a inventarseli. Un evento di indiscutibile ed evidente autenticità, quale l'affluire a Roma di un milione e duecentomila giovani d'ambo i sessi, partecipanti, nell'ambito del giubileo, alle "giornate mondiali della gioventù", deve essere parso a quei nostri colleghi un vero dono della provvidenza. Non tanto per le dimensioni, pur imponenti, del fatto, visto che di altre recenti congregazioni di giovani di pari imponenza (per dirne una: la parata rave di Berlino, i cui partecipanti, in condizioni organizzative molto più disagevoli, hanno toccato - mi sembra - il milione) tutti si erano bellamente disinteressati, ma per il valore ideologico che sin dall'inizio è stato convenuto di attribuirvi.
Che attorno al vecchio pontefice tradizionalista si stringessero esultanti tanti esponenti delle nuove generazioni è sembrata un'occasione perfetta per cantare a gran voce il De profundis a quella particolare forma di civiltà che nel rifiuto settecentesco di ogni egemonia chiesastica sulla società civile riconosceva, un tempo, il proprio atto di origine. E su questa solfa, come i lettori ricorderanno, ce ne hanno cantate di ogni. Gli unici commentatori che hanno avuto qualcosa da eccepire non sono stati, paradossalmente, quelli di parte laica, fin troppo disposti, come si è visto, stracciarsi le vesti a gloria del vincitore, ma i pochi superstiti dell'intellettualità cattolica di origine maritainiana, aristocraticamente diffidenti, com'è sempre stato loro costume, di una fede esibita in condizioni di tanto plateale esteriorità. Ma si è trattato di poche voci critiche in un deserto di clamorosi consensi.
Naturalmente, la decisione di leggere l'evento in quel modo comportava l'adozione di certe procedure descrittive standard. Di questa sorta di pellegrinaggio giovanile nella capitale del cristianesimo andavano sottolineate, oltre che l'imponenza, la sincerità e la spontaneità. Quei bravi giovani erano a Roma perché avevano voluto venirci, per portare ciascuno la sua testimonianza e ci erano arrivati da soli, a prezzo (si sottintendeva) di non pochi sforzi. In fondo, una testimonianza che non richieda a chi la porta nemmeno un briciolo di sforzo non è particolarmente interessante.
È stato omesso, così, qualsiasi importuno riferimento alla pur pregevole dimensione organizzativa dell'evento. Che quei moderni pellegrini fossero stati portati a destinazione da una perfetta organizzazione di massa, che aveva messo a frutto, da un lato, le cospicue risorse della chiesa cattolica e, dall'altro, quelle, forse meno affidabili, ma tutto sommato efficienti, di un comune di Roma il cui sindaco, non a caso, aveva rinunciato al giovanile anticlericalismo per farsi anch'egli testimone di fede, non era cosa su cui insistere: molto meglio insistere sui disagi cui quei poveretti si sottoponevano, del fatto - per esempio - che facesse un gran caldo e si avesse molto bisogno di acqua, anche se questi, in fondo, sono da sempre i problemi con cui si misura, d'estate, qualsiasi turista in qualsiasi città della fascia calda del pianeta.


Un look adeguato

Della sconcertante omogeneità con cui quel milione e duecentomila individui di diversa origine si presentavano (tutti più o meno con lo stesso aspetto, con la stessa attrezzatura, lo stesso cappelluccio antisole, persino le stesse bandiere, a onta delle diverse origini nazionali che quelle bandiere volevano segnalare) non si è fatta parola. Della evidente falsità delle varie interviste televisive a questo o quel rappresentante del popolo giovanile, tutti molto attenti, giovanotti e ragazze, a esibire un look adeguato all'occasione, nel senso di abbastanza scapigliato (perché si sa, i giovani...) ma non più di tanto, e tutti, in definitiva, impeccabilmente pettinati e truccati, sul modello di quei cinque esemplari, altrettanto platealmente falsi, che si esibivano sul palco di Tor Vergata con la professionalità di altrettanti conduttori di varietà del sabato sera (che dev'essere, suppongo, la carriera cui tutti e cinque sono avviati) nessuno ha pensato. Persino sull'evidente commozione del papa, l'unico, in tutta questa buriana mediatica, che si comportava, riconosciamoglielo, da credibile essere umano, si è preferito sorvolare. Sì, certo, il papa "doveva" commuoversi, caspita, ma senza esagerare, se no che razza di trionfo sarebbe stato il suo?

 

Vittime inconsapevoli

D'altronde, qualche motivo per commuoversi c'era davvero, anche per chi meno del papa fosse coinvolto nell'evento. Anche a un osservatore laico come chi scrive, un osservatore che giovane non è certo più, ma si illude, forse a torto, di aver conservato qualche ricordo della sua giovinezza, quello spettacolo, pur nella patente falsità con cui era orchestrato, non poteva non fare una certa impressione. Fa sempre piacere, diciamolo, vedere tanti ragazzi convinti e sicuri di sé, assistere allo spettacolo di tanti giovani felici di affermare la verità che sono convinti di possedere. E pazienza se la dimensione religiosa in cui si estrinseca quella felicità non è la nostra. I giovani, lo sappiamo, sono talmente convinti della propria immortalità che la dimensione religiosa gli viene, in un certo senso, spontanea. Ma anche chi religioso non è non può fare a meno di ammirare, con una maggiore o minore dose d'invidia, quella capacità di coltivare la speranza che rappresenta, per l'appunto, l'aspetto più commuovente della giovinezza.
Dispiace, certo, sapere, anche grazie all'amara consapevolezza degli anni, che quei bravi ragazzi e quelle fanciulle risolute sono vittime inconsapevoli di un'operazione di sfruttamento piuttosto bieca, nel senso che si fa leva sul loro entusiasmo e sulla loro ingenuità per portarli, intruppati come turisti di un viaggio "tutto compreso", a esaltare la funzione liberatoria di un'organizzazione (la chiesa) che ha contribuito non poco, nei suoi duemila anni di storia, all'oppressione dell'uomo sull'uomo, sia esercitandola in proprio, sia educando le masse al consenso verso il potere. Dispiace pensare che la loro fiducia di poter cambiare il mondo può essere utilizzata per perpetuare il potere di certuni su certi altri. Perché è questa, naturalmente, la vera contraddizione su cui lo straordinario successo dell'iniziativa dovrebbe spingere a riflettere, anche se la maggior parte dei commentatori hanno preferito chiedersi, con indiscreta curiosità, se tra le virtù che tutti quei bravi cristiani esercitavano ci fosse anche quella della castità.
In ogni caso, che l'entusiasmo dei giovani non sia scevro di qualche ingenuità lo sappiamo tutti. Tutti, in fondo, conosciamo dei ragazzi, magari figli nostri, o nostri nipoti, serenamente sicuri di essere, nella propria autonomia, ben in grado di perseguire i fini che si propongono, mentre in tutto dipendono, oltre che dalle risorse economiche della propria famiglia, dal quadro valori che a loro insaputa gli viene trasmesso, dalle mode e dalle illusioni che l'apparato mediatico culturale continuamente crea e fa circolare a maggior gloria dell'impero del soldo. Presto o tardi, ci diciamo di solito con un sospiro, capiranno anche loro e se non ci riusciranno - d'altronde - la colpa sarà stata anche nostra.

 

Sul mercato delle notizie

Di un analogo atto di fiducia, in fondo, si può far credito anche agli entusiasti di Tor Vergata. Non tutti loro, si spera, sono destinati a fare la fine di quei loro compagni di fede più cresciutelli che, pochi giorni dopo, si sarebbero spellate le mani acclamando, al meeting riminese di Comunione e Liberazione, il programma e la figura di Berlusconi. Non tutti raggiungeranno il livello di cinismo e di incoerenza necessari per applaudire un programma ferocemente neoliberale come quello del cavaliere e farsi zelatori, subito dopo, della canonizzazione di Pio IX, che fu probabilmente un personaggio più complesso di come lo dipingono i libri di storia su cui ho studiato io, ma resta comunque colui che del liberalismo pronunciò la più severa e impietosa condanna (e tale condanna asseverò anche a costo di far tagliare pubblicamente la testa a certi suoi sudditi che avevano, in merito, un opposto punto di vista). Non tutti rinunceranno alle loro facoltà critiche e non tutti saranno disposti, come i seguaci di Formigoni, a mettere la categoria dell'utile al di sopra di qualsiasi necessità di coerenza. Almeno si spera.
Un'ultima osservazione. I media, a volte, sono crudeli. Per tutti quei giorni di agosto, subito dopo o subito accanto ai resoconti dell'incontro gioioso tra il vecchio papa e i suoi giovani amici, si potevano leggere o seguire le cronache della straziante agonia di quegli altri centodiciotto ragazzi rinchiusi nella carcassa del sommergibile russo immobilizzato sul fondo del Mare di Barents. Nessuno, naturalmente, si è mai permesso di mettere i due eventi in qualche rapporto, né ce ne sarebbe stato motivo, anche se forse qualcuno si sarebbe aspettato da chi esprimeva la propria esultanza per il primo qualche parola di pietà o commiserazione per il secondo. D'altronde, che le sofferenze cui siamo tutti esposti, uomini e donne, non possano essere utilizzate come argomento per negare la provvidenzialità dell'ordinamento del mondo è, fin dai tempi di Giobbe, uno dei postulati di ogni pubblicistica religiosa.
Ma faceva abbastanza impressione, lo ammetterete, vedere come, sui teleschermi o sulle pagine dei giornali, gli articoli, i servizi e i commenti da Roma si susseguissero a quelli da Arcangelo o da Mosca senza alcuna soluzione di continuità e pur senza il minimo riferimento gli uni agli altri. La sofferenza e la morte, in una cultura sempre più indifferente ai significati e ai valori, come la nostra, possono essere trattate come merce sul mercato delle notizie, allo stesso titolo di un episodio festoso di affermazione di sé. Ai giovani di Tor Vergata, che di un tipico "evento" mediatico sono stati, forse involontariamente, protagonisti, non si può che augurare di non lasciarsene a loro volta intrappolare.

Carlo Oliva