rivista anarchica
anno 30 n.268
dicembre 2000 - gennaio 2001


copyright

Liberi sì, ma di pagare la Siae
di Giuseppe Vergani

La recente legge sul diritto d'autore è stata presentata come un passo avanti verso la libertà. Invece...

 

La tematica del diritto d'autore non è certo di semplice trattazione, specie dal punto di vista della normativa che regola questa materia. Tuttavia essa merita, oggi più che mai, se non una comprensione puntuale (appannaggio dei soli specialisti), perlomeno la conoscenza diffusa dei principi di base che la determinano, in quanto essa riguarda molto da vicino la possibilità e le forme della libera produzione e diffusione del sapere, del pensiero e dell'arte.
Tra chi si è occupato di copyright non mancano pensatori storici del pensiero libertario. Leggiamo, ad esempio, questo breve passaggio dell'anarchico americano Benjamin R. Tucker: "Poiché il Signore, nella sua saggezza, o il Diavolo nella sua malizia, ha disposto le cose in modo che il lavoro dell'inventore o dell'autore sia in natura svantaggiato, l'uomo, nella sua potenza, ha proposto di supplire con un espediente artificiale che non si limita ad annullare lo svantaggio, ma che conferisce all'autore un vantaggio di cui attualmente non gode nessun altro lavoratore - un vantaggio, per di più, che in pratica non va all'inventore o all'autore, ma al promotore, all'editore o alla grande impresa."
Con queste parole, scritte più di un secolo fa, Tucker metteva in luce una delle contraddizioni più evidenti insite nella regolamentazione del diritto d'autore, alla fine dell'800 come all'inizio del terzo millennio: più che consentire agli autori di vivere del proprio lavoro, la legislazione sul copyright garantisce cospicui profitti allo Stato ed alle multinazionali, a tutto svantaggio della libera circolazione delle idee e delle invenzioni, e dune dell'innovazione e del progresso. Questo approccio critico al diritto d'autore è, peraltro, tutt'altro che nuovo o isolato.
Frutto di norme antiquate, scritte quando le videocamere, le fotocopiatrici, i computer o tantomeno Internet non erano nemmeno nei sogni dei più fantasiosi utopisti, la legislazione sul copyright ha finito, infatti, per favorire quasi unicamente le grandi imprese editoriali, discografiche e del software. In altre parole, l'insieme di norme congegnato per giovare agli autori (consentendo loro di vedersi riconosciuto il frutto del proprio lavoro) ed alla società nel suo complesso, diviene terreno di conquista dei grandi potentati economici, che anche attraverso di esso hanno formato o consolidato (e mantengono) gli odierni monopoli (basti pensare all'industria informatica, farmaceutica, al dibattito sulla brevettazione degli organismi geneticamente modificati, alle battaglie legali per limitare la diffusione della musica in Internet ecc.).

 

Un regalo alle multinazionali

La legislazione italiana in materia di diritto d'autore (legge 633 del 1941) non fa eccezione, se non per essere particolarmente retriva, il che risulta perfettamente plausibile se si pensa al periodo in cui fu concepita. Ciò nonostante essa è stata oggetto di un recente inasprimento, grazie alle numerose modifiche introdotte dalla legge 18 agosto 2000, n. 248.
La nuova legge, entrata in vigore il 19 settembre scorso (ed approvata a larghissima maggioranza), può essere infatti considerata un vero e proprio regalo alle multinazionali del software, della musica e dell'editoria, che non hanno infatti mancato di manifestare la propria piena soddisfazione.
Senza nessuna pretesa di esaustività, andiamo a vedere, molto sinteticamente, alcune delle principali novità del testo approvato, allo scopo di evidenziare qualche spunto per la riflessione e l'approfondimento.
In primo luogo, nell'art. 171 bis della legge, viene sostituita la dizione "scopo di lucro" con quella di "trarne profitto", quale elemento costitutivo del reato di duplicazione abusiva. In altri termini viene punito non solo il comportamento di chi riproduce software al fine di rivenderlo, ma il comportamento in quanto tale, in virtù del risparmio di spesa che se ne ricava.
Si noti che per riproduzione va intesa anche quella che avviene via Internet. Scaricare un programma da Internet senza la necessaria licenza, o creare dei link a opere riprodotte illecitamente, rientra infatti nella fattispecie di reato prevista dal 171 bis.
Inoltre, la punizione per questo tipo di reato passa da civile a penale, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Non si pensi che l'assurdo inasprimento delle pene (di cui l'articolo citato è, purtroppo, solo uno dei numerosi esempi contenuti nella nuova legge), accompagnato dall'estensione del loro ambito di applicazione, sia un dispositivo finalizzato a difendere gli autori da chi trae immeritatamente vantaggi dal loro lavoro. È bene ricordare che (basta guardare un qualsiasi CD-Rom per rendersene conto) la proprietà intellettuale non è riconosciuta agli autori, bensì all'azienda produttrice (il copyright su Windows, ad esempio, è proprietà della Microsoft, non delle centinaia di programmatori che l'hanno effettivamente progettato e realizzato).
Il "giro di vite" risponde invece ai desideri dalle multinazionali del software (ma non solo), che lo hanno caldeggiato dopo avere ampiamente tollerato per lunghi anni la "pirateria", che ha consentito la straordinaria diffusione di software impostisi come standard di fatto, quali Microsoft Office.
È importante sottolineare che, in nome della lotta alla pirateria, in questo modo viene sanzionato penalmente anche lo scambio, a puro scopo scientifico o hobbistico, di informazioni tecniche sul funzionamento del software e la realizzazione di strumenti in grado di modificarlo, piuttosto di limitarsi a punire solo chi trae da queste attività un ingiusto introito. Il messaggio delle multinazionali risulta dunque fin troppo chiaro: giù le mani dalla conoscenza tecnica, limitatevi a consumare!

 

Tutti schedati

Un secondo elemento particolarmente preoccupante introdotto dalla nuova legge è costituito dalla straordinaria operazione di schedatura (registrazione presso la questura, da rinnovarsi annualmente) di tutti coloro i quali, per le ragioni più varie, producono, duplicano, riproducono, vendono, noleggiano o cedono a scopo di lucro i supporti (nastri, dischi, videocassette, CD), o semplicemente detengono tale materiale ai fini dello svolgimento delle suddette attività.
Se a questo aggiungiamo la perseguibilità d'ufficio dei fatti di duplicazione abusiva, l'introduzione di un regime di pentitismo (tale per cui si premia con riduzioni della pena chi, coinvolto in fatti illeciti, consente alle autorità il sequestro di materiale, anche solo presumibilmente, abusivo), l'istituzione di nuove funzioni di vigilanza attribuite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed alla SIAE (relativamente alle attività di riproduzione, duplicazione, proiezione cinematografica, distribuzione, vendita, noleggio dei supporti, compresa l'attività delle copisterie), il potenziamento straordinario dei poteri della SIAE (sulla quale andrebbe aperto un capitolo a parte), ne ricaviamo un quadro da "legislazione d'emergenza" che, a ben vedere, pare assolutamente esagerato. Il tutto non a difesa dell'autore vittima di impietosi "pirati", ma piuttosto in nome della assai meno nobile volontà dei grandi potentati economici e dell'informazione di stabilire chi comanda nel territorio, ancora orgogliosamente libero, della nuova frontiera elettronica.

Giuseppe Vergani
giuzip@infinito.it

Per approfondire:
http://www.alcei.it
http://www.interlex.it
A. Mingardi - G. Piombini (a cura di), Copia pure. Il diritto di copiare nei saggi dell'anarchico Benjamin R. Tucker, Millelire Stampa Alternativa, 2000.