rivista anarchica
anno 30 n.268
dicembre 2000 - gennaio 2001


potere

Come ti omologo i media
di Noam Chomsky

Ruolo, meccanismi e trabocchetti del sistema dei mass-media nell'analisi di Noam Chomsky, uno dei più acuti intellettuali "contro" negli Stati Uniti.

 

Parte della ragione che mi porta a scrivere di mezzi di comunicazione è l'interesse che nutro per l'insieme della cultura intellettuale. Di questa, la parte più facile da studiare sono proprio i media. Escono tutti i giorni. Rendono possibile un'investigazione sistematica. Si possono confrontare le versioni di oggi con quelle di ieri. Si trovano le prove di come l'insieme è strutturato, e dei fattori in gioco.
Studio i media come qualsiasi istituzione che voglio capire. Faccio domande sulla struttura interna. Cerco di sapere qualcosa sul loro posizionamento rispetto alla società: come si relazionano ad altri sistemi di potere e di autorità? Quando sono fortunato, trovo materiale interno al sistema dell'informazione che spiega come il tutto funziona (è una specie di sistema dottrinale). Non parlo dei resoconti forniti dalle pubbliche relazioni, ma di ciò che i direttori di quel sistema si dicono tra loro: c'è molta documentazione interessante al riguardo.
Raccolta l'informazione sulla natura dei media, li si studia come uno scienziato studierebbe una molecola complessa. Si guarda la struttura, e si fanno ipotesi circa il prodotto di tale struttura. Poi si investiga il prodotto effettivo, e si osserva se e quanto sia conforme alle ipotesi. Il lavoro di analisi dei media si accontenta in genere di quest'ultima parte: cerca di studiare attentamente il prodotto per quello che è, verificandone la conformità a idee preconfezionate circa la struttura e la natura dei media.
Bèh, che trovi? Primo, che ci sono media diversi, con ruoli diversi. Hollywood è intrattenimento, le soap operas, etc., nonché la maggioranza dei giornali e delle riviste negli Stati Uniti (la stragrande maggioranza), dirigono la massa del pubblico.
Poi ci sono i mezzi d'informazione d'élite, quelli con le risorse maggiori, che disegnano lo schema entro il quale si muovono tutti gli altri. Il New York Times e la CBS, quel livello lì. Il loro bacino d'utenza è tra i privilegiati. Chi legge il New York Times è benestante, fa parte di quella che viene chiamata la classe politica, ed è attivamente coinvolto nel sistema politico. Sono generalmente dirigenti di qualcosa. Possono essere dirigenti politici, dirigenti economici, dirigenti accademici (come i professori universitari), o altri giornalisti, impegnati nell'organizzare il pensiero della gente e il loro modo di vedere le cose.
I media d'élite disegnano lo schema entro cui operano gli altri. Seguendo l'Associated Press, che macina un flusso continuo di notizie, si legge ogni giorno, a metà pomeriggio, una "Nota agli Editori" che comincia così: "Il New York Times di domani avrà le seguenti storie in prima pagina." Lo scopo è questo: se l'editore di un giornale locale non ha le risorse per capire quali siano le notizie rilevanti, o non vuole pensarci, quella "Nota" gli dice quali notizie stampare, nei pochi spazi che il giornale non dedica alla cronaca locale o a divertire i lettori. Sono le storie che trovano spazio perché il New York Times dice che è di queste che dovremo interessarci domani. Il nostro editore di provincia dovrà più o meno adeguarsi, perché non ha molto altro in termini di risorse. Se esce da questa linea, se dà spazio a storie non gradite alla stampa nazionale, verranno presto a farglielo notare. Ci sono molti modi in cui i giochi di potere possono spingerti a tornare in linea. Se cerchi di spezzare lo stampo, non durerai a lungo. È uno schema che funziona abbastanza bene, ed è comprensibile in quanto riflesso dalle strutture del potere.
I mezzi di comunicazione veramente di massa cercano sostanzialmente di divertire la gente (to divert: sviare).
Che facciano altro! Non diano noie a noi (che organizziamo). Che si interessino di sport. Che tutti si strappino i capelli per le partite, per gli scandali sessuali, per le personalità e i loro problemi, cose così. Qualsiasi cosa, purché non seria. La roba seria è per i grandi. Ci pensiamo "Noi".

 

I rapporti con il potere

Come funzionano i media d'élite, quelli che decidono l'Ordine del Giorno? Il New York Times e la CBS, per esempio. Beh, prima di tutto, sono grosse imprese, con alti margini di profitto. La maggior parte di loro è collegata ad altre imprese, molto più grandi, come General Electric, Westinghouse, e simili, che a volte sono direttamente proprietarie di mezzi d'informazione. Qui siamo in cima alla struttura di potere dell'economia privata, che è una struttura tirannica. Le Corporations funzionano come tirannie gerarchiche controllate dall'alto. Se non ti piace quello che fanno, ti allontanano. I media maggiori sono una parte di quel sistema.
Qual è la situazione istituzionale? Più o meno la stessa. I media interagiscono e si relazionano con gli altri centri di potere: il governo, le altre Corporations, le università. Se sei un reporter con una storia da scrivere sul sud-est asiatico o sull'Africa, o qualcosa del genere, ti manderanno alla grande università, dove un esperto ti dirà cosa scrivere. Oppure dovrai andare presso una fondazione, come la Brookings Institute o l'American Enterprise Institute, e là ti diranno quali parole scegliere. Queste istituzioni funzionano in modo simile ai media.
Anche le università, negli Stati Uniti, non sono istituzioni indipendenti. Possono esserci individui indipendenti sparsi al loro interno, ma questo è vero anche per i media. Ed è generalmente vero per le imprese. È vero anche per le dittature, se è per questo. Ma l'istituzione in sé è parassita. Dipende da fonti di supporto esterne e quelle fonti, cioè il capitale privato, i fondi delle grandi imprese, e il governo (tanto intrinsecamente connesso con il potere delle Corporations da non poterlo quasi distinguere), delimitano il campo entro cui può operare l'università. Chi ci lavora e non si adatta alla struttura, e non l'accetta e non l'interiorizza (non puoi funzionare davvero se non la interiorizzi e non "credi"); chi non fa questo viene generalmente tolto di mezzo, a partire dall'asilo nido. C'è una varietà di sistemi di filtri per liberarsi di gente che rompe le scatole e pensa in modo non-dipendente. Chi è stato in un'università americana sa che il sistema educativo è molto impegnato nel promuovere la conformità e l'obbedienza, al di fuori delle quali lo studente viene trattato come un disturbo. Sono filtri che lasciano passare individui che onestamente (non mentono) interiorizzano il punto di vista del sistema di potere in cui vengono formati. Le università d'élite, come Harvard o Princeton, per esempio, lavorano molto sulla socializzazione. Buona parte di ciò che avviene là dentro insegna le buone maniere: come comportarsi come un membro delle classi agiate, come pensare i pensieri giusti, e così via.
George Orwell scrisse La fattoria degli animali a metà degli anni '40. Era una satira sull'Unione Sovietica, uno stato totalitario. Un successone. Piacque a tutti. Poi si scopre che Orwell scrisse un'introduzione a La fattoria degli animali, soppressa a suo tempo, e pubblicata solo trent'anni dopo. Qualcuno l'aveva ritrovata tra i suoi manoscritti. L'introduzione trattava la questione de "La Censura Letteraria in Inghilterra" e diceva che ovviamente il racconto ridicolizzava l'Unione Sovietica e la sua struttura totalitaria. Ma spiegava che in Inghilterra le cose non andavano molto diversamente. Non abbiamo addosso il KGB, ma il risultato è simile. Individui con idee indipendenti, o che pensano i pensieri sbagliati, vengono tagliati fuori.
Dice poco, due frasi appena, sulla struttura istituzionale. Chiede: perché succede questo? Ebbene: primo, perché la stampa è proprietà di persone facoltose che vogliono che solo certe notizie arrivino al pubblico. L'altra cosa che dice è che, attraversando il sistema educativo dell'élite, frequentando le giuste scuole a Oxford, si impara che ci sono cose delle quali non sta bene parlare, e pensieri che non è appropriato avere in testa. È il ruolo socializzante degli istituti d'élite e se non ti ci adatti, in genere, sei fuori. Quelle due frasi di Orwell spiegano bene la situazione.
Quando critichi i media e dici, guardate, Anthony Lewis (editorialista del New York Times) ha detto questo e quest'altro, si arrabbiano molto. Dicono, e sono sinceri, frasi come "nessuno viene a dirmi come scrivere. Scrivo quello che mi pare. Tutto quest'affare di presunte pressioni e costrizioni è ridicolo perché nessuno esercita pressioni su di me." Il che è perfettamente vero, ma il punto è che questi editorialisti non sarebbero al loro posto, se non avessero dimostrato in passato di non aver bisogno di suggeritori: scrivono già da soli le cose "giuste". Lo stesso è vero dei cattedratici universitari per le facoltà più ideologiche. Hanno attraversato il sistema di socializzazione.
Bene, abbiamo un'idea della struttura di quel sistema. A cosa somiglieranno le notizie? È quasi ovvio. Prendiamo il New York Times. È un'impresa che vende un prodotto. Il prodotto è l'audience. Non guadagnano vendendo giornali. Sono felici di metterli in rete sul world wide web, gratuitamente. In realtà ci perdono dalla vendita diretta. È il pubblico il loro prodotto. Il prodotto d'élite è il pubblico dei privilegiati, come gli editori stessi, coloro che nella società prendono le decisioni ad alti livelli. Il prodotto va venduto al mercato e il mercato, beninteso, è la pubblicità (ovvero, le altre imprese). Che si tratti di televisioni o giornali, o altro, è il pubblico che viene messo in vendita. Società private vendono pubblico ad altre società private. Nel caso dei media d'élite, si tratta di grossi affari.
Cosa possiamo aspettarci? Cosa possiamo dedurre, dato l'insieme dei fattori in gioco? Quale potrebbe essere l'ipotesi zero, la congettura plausibile senza ulteriori speculazioni? L'ipotesi ovvia è che il prodotto dei mezzi di comunicazione, ciò che vi appare e ciò che ne scompare, e il modo in cui vengono presentati i fatti, rifletteranno gli interessi dei venditori e dei compratori, delle istituzioni, e dei sistemi di potere che li contornano. Se non fosse così, sarebbe una specie di miracolo.
Qui viene il lavoro difficile. Ti chiedi se funziona davvero come previsto. E potrai giudicare da solo. Ci sono studi su questa ipotesi che hanno superato le verifiche più rigorose che si possano immaginare, e tuttora rimangono un punto di riferimento. Non si trovano quasi, nel campo delle scienze sociali , studi che supportino con altrettanta forza conclusioni diverse, e ciò non può sorprendere: sarebbe inspiegabile se l'ipotesi non reggesse, date le forze in gioco.

 

A che servono le relazioni pubbliche

Il passo successivo porta a scoprire che l'intero argomento è tabù. Presso le grandi scuole di giornalismo, e nelle più quotate facoltà di scienze della comunicazione, questi argomenti non fanno nemmeno parte del programma di studi. Anche questo rientra nelle previsioni. Tenendo a mente la struttura istituzionale è facile capire che quei signori non desiderino esporsi. Di nuovo, non si tratta di una censura consapevole. Semplicemente non si raggiungono certe posizioni, se non ci si lascia "socializzare", se non ci si addestra a rimuovere alcuni pensieri. Perché se ti vengono certi pensieri, non puoi stare lì. Possiamo quindi stabilire un secondo ordine di previsioni, che dice che il primo ordine di previsioni non è ammesso nelle discussioni.
L'ultima cosa da analizzare è la cornice dottrinale in cui si muove il tutto. Ci si chiede se i dirigenti di alto livello nell'informazione, nella pubblicità, nelle facoltà di scienze politiche, etc., abbiano o meno un'idea di come dovrebbero andare le cose. Quando parlano in pubblico, sono parole e fuffa. Ma quando si scrivono tra loro, cosa dicono?
Abbiamo tre correnti, alla base, da studiare. La prima è l'industria delle pubbliche relazioni, l'industria di propaganda del grande business. Cosa dicono i dirigenti delle PR? In secondo luogo si investigano gli "intellettuali pubblici", i grandi pensatori, quelli che scrivono gli editoriali d'opinione, o grossi libri sulla natura della democrazia, e simili. Cosa dicono? La terza corrente da osservare è il filone accademico, con speciale attenzione a quella parte delle scienze politiche che si occupa di informazione e comunicazione.
Seguiamo queste tre correnti, vediamo cosa dicono, leggiamo ciò che i personaggi più rappresentativi del sistema dottrinale scrivono a questo proposito. Dicono tutti (cito, in parte) che la gente comune è "ignorante, estranea e impicciona." Dobbiamo lasciarli fuori dall'arena pubblica perché sono troppo stupidi, e se s'immischiano creano guai. La loro deve rimanere una posizione di "spettatori", mai di "partecipanti". Permettiamo loro di andare a votare ogni tanto, di scegliere uno di noi intelligentoni. Ma poi che se ne tornino a casa a guardare la partita, o quello che sia. Gli "ignoranti estranei e impiccioni" devono stare a guardare, non partecipare. A partecipare penseranno gli "uomini responsabili".
Non ti chiedi mai che cosa fa di te un "uomo responsabile" e di un altro un carcerato. Eppure la risposta è semplice. È perché sei stato obbediente e subordinato al potere, e l'altro forse è stato indipendente. Naturalmente, non te la poni neanche, la domanda.
Così abbiamo gli intelligentoni, cui spetta di condurre il gioco, e gli altri, cui spetta starne fuori, e non dovremmo soccombere (cito un articolo accademico) ai "dogmatismi democratici che dipingono l'uomo come il miglior giudice del proprio interesse". Non lo è. È un pessimo giudice del proprio interesse, ed è per questo che ci penseremo noi. Per il suo bene.
Come si è evoluto tutto questo? La storia è interessante. Determinante fu la prima guerra mondiale, un vero punto di svolta. Cambiò la posizione degli Stati Uniti nel mondo. Nel 18esimo secolo gli USA erano già la nazione più ricca al mondo. La qualità della vita, la salute e la longevità furono raggiunte dalle classi agiate in Inghilterra solo agli inizi del 20simo secolo, per non parlare del resto del mondo. Gli USA erano straordinariamente ricchi, con vantaggi enormi, e, alla fine del 19esimo secolo, avevano di gran lunga l'economia più potente al mondo. Il loro ruolo sulla scena internazionale, al contrario, rimaneva marginale. Il potere statunitense si estendeva ai Caraibi e ad una parte del Pacifico, ma non molto di più.
Durante la prima guerra mondiale, i rapporti di forza cambiarono. Dopo la seconda, gli Stati Uniti cominciarono più o meno a governare il mondo. Ma già dopo la prima vi fu un cambiamento significativo, e gli USA divennero creditori di quelle nazioni delle quali erano stati, prima, debitori. Non era ancora enorme, come la Gran Bretagna, ma cominciava ad assumere un ruolo primario tra i grandi protagonisti della scena mondiale. Fu un grosso cambiamento, e non fu l'unico.
Durante la prima guerra mondiale, per la prima volta, vi fu una propaganda di stato organizzata. Gli inglesi avevano un Ministero dell'Informazione, e ne avevano un gran bisogno perché dovevano ad ogni costo trascinare gli USA in guerra, pena una probabile sconfitta. Il Ministero dell'Informazione era attivo soprattutto nel diffondere propaganda, incluse grossolane falsificazioni su presunte atrocità degli "Unni", e così via. Miravano agli intellettuali d'oltreoceano, presumendo (a ragione) che fossero i più suggestionabili e i più inclini a credere alla propaganda. Sono anche coloro che l'avrebbero poi disseminata nell'informazione. I documenti del Ministero Britannico dell'Informazione (molti dei quali sono oggi accessibili) spiegano che l'obbiettivo era il controllo del pensiero del pianeta, un obbiettivo minore, ma soprattutto degli Stati Uniti. Non si curavano molto di ciò che la gente potesse pensare in India.
Negli USA, del resto, trovarono una controparte. Woodrow Wilson fu eletto nel 1916 con una piattaforma anti-interventista. Gli USA erano una nazione pacifista. Lo era sempre stata. La gente non vuole andare a combattere guerre all'estero. Il paese era contro la guerra e Wilson fu eletto proprio per la sua posizione contro l'intervento. "Pace senza vittoria" era il suo slogan. Ma aveva intenzione di andare in guerra. Si poneva quindi la questione: come trasformare un popolo pacifista in un branco di fanatici anti-tedeschi che bramino poi di andare a uccidere i tedeschi? Ci vuole propaganda. Venne così istituita la prima e in fondo l'unica grande agenzia per la propaganda di stato nella storia degli USA: La Commissione per l'Informazione Pubblica (bel nome orwelliano…), detta anche Commissione Creel, dal nome di chi la guidava. Il compito di questa commissione era quello di gettare la popolazione in un'isteria nazionalistica e belligerante. I risultati superarono le aspettative. Nel giro di pochi mesi ci fu una crescente isteria bellica e gli Stati Uniti poterono entrare in guerra.
Molti osservatori rimasero impressionati dal successo dell'operazione. Un osservatore impressionato, e questo ha qualche rilevanza per ciò che accadde poi, fu Hitler. Nel Mein Kampf conclude, non a torto, che la Germania perse la prima guerra perché perse la battaglia della propaganda. Non era stata in grado nemmeno di cominciare a competere con la schiacciante propaganda britannica e americana. In futuro, scrisse Hitler, anche la Germania avrebbe istituito un sistema di propaganda, e così avvenne durante la seconda guerra mondiale. Sul fronte americano, a rimanere fortemente impressionata dai risultati della propaganda fu la classe imprenditoriale. Avevano un problema serio in quei tempi. La nazione diventava formalmente più democratica. C'era molta più gente che poteva votare, per esempio. Il paese si arricchiva, un numero crescente di soggetti partecipava alla vita economica, aumentava il flusso dell'immigrazione, e così via.

 

La fabbrica del consenso

Che fare? Diventa difficile gestire il paese come un circolo privato. Quindi, ovviamente, bisogna controllare il pensiero della gente. C'erano specialisti di pubbliche relazioni, a quel tempo, ma nessuna vera e propria industria di pubbliche relazioni. Si poteva trovare qualcuno per abbellire l'immagine pubblica di un Rockefeller, o cose del genere, ma questa gigantesca industria delle pubbliche relazioni, che è un'invenzione americana e un'industria mostruosa, nacque solo dopo la prima guerra. Ai livelli più alti di questa industria nascente troviamo i membri della Commissione Creel. Il più influente tra loro fu Edward Bernays, anche lui membro della Commissione. Bernays scrisse un libro, in quegli anni, intitolato Propaganda. Il termine "propaganda", sia detto per inciso, non aveva in quegli anni un'accezione negativa. Fu durante la seconda guerra mondiale che la parola divenne tabù, perché associata alla Germania e a tutte quelle cose brutte. Prima di allora significava solo informazione, o qualcosa del genere. Propaganda, il libro di Bernays, esce nel 1925, e comincia spiegando la lezione della Grande Guerra. Il sistema istituito durante la guerra, e il lavoro della Commissione Creel, dimostrano, scrive, che è possibile "irreggimentare la mente del pubblico così come l'esercito irreggimenta il corpo." Queste nuove tecniche d'"irreggimentazione" delle menti, prosegue, sono a disposizione della minoranza intelligente per assicurarsi che i bifolchi restino al loro posto. Ora possiamo farlo perché abbiamo messo a punto la tecnica.
Questo è il manuale fondamentale dell'industria delle Relazioni Pubbliche.
Un altro membro della Commissione Creel fu Walter Lippmann, la figura più autorevole del giornalismo americano per oltre mezzo secolo (e intendo il giornalismo serio, le teste pensanti). Scrisse, fra l'altro, dei Saggi Progressisti sulla Democrazia , "progressisti" perché considerati tali negli anni '20. Di nuovo, vediamo applicata molto esplicitamente la lezione del lavoro di propaganda. Dice che c'è un'arte nuova in democrazia, chiamata la fabbricazione del consenso. È una sua frase. Edward Herman e io l'abbiamo usata come titolo di un nostro libro (La Fabbrica del Consenso), ma viene da Lippmann. Che spiega questa nuova arte: fabbricando il consenso, è possibile aggirare il fatto che, formalmente, il diritto di voto venga esteso a molti. Possiamo rendere questo fattore irrilevante, perché ora siamo in grado di fabbricare il consenso. Siamo in grado di strutturare le loro scelte e i loro atteggiamenti, in modo che facciano sempre ciò che noi diciamo loro di fare, anche se formalmente potrebbero partecipare. Così avremo una reale democrazia. Funzionerà a dovere.
È questa la lezione dell'agenzia per la propaganda.
Le facoltà accademiche di scienze sociali e di scienze politiche nascono allo stesso modo. Il fondatore di quella che viene chiamata scienza delle comunicazioni è Harold Glasswell. La sua opera più importante fu la pubblicazione di uno saggio sulla propaganda. È lui che ha scritto, molto apertamente, le frasi che citavo prima, tra cui l'esortazione a non soccombere ai dogmatismi democratici. È tutta scienza politica accademica ufficiale.
Anche i partiti politici impararono dall'esperienza di guerra, e in special modo i partiti conservatori britannici. I loro primi documenti interni, resi pubblici solo negli ultimi anni, dimostrano che anch'essi riconobbero i successi del Ministero Britannico dell'Informazione. Si rendevano conto che il sistema andava democratizzandosi e che non sarebbe stato più un club privato per soli uomini. Giunsero quindi alla conclusione che la politica doveva diventare guerra politica, applicando i meccanismi della propaganda, che era riuscita così bene, in guerra, a manipolare i pensieri della gente.
Questo è l'aspetto dottrinale, che coincide con la struttura istituzionale. Rafforza l'ipotesi su come funzionerebbe il sistema. E le conferme abbondano. Ma queste conclusioni, poi, non trovano accesso al dibattimento pubblico. Il materiale che ho citato appartiene alla letteratura ufficiale, ormai, ma è accessibile solo a chi è all'interno del sistema. Nessuno, all'università, ti fa leggere i classici su come si controlla l'opinione pubblica.
Così come nessuno ti farà leggere le parole che James Madison pronunciò davanti l'assemblea costituente, spiegando che il sistema nascente doveva avere come obbiettivo principale "proteggere la minoranza opulenta dalla maggioranza," e andava progettato per quella funzione. È il fondamento dell'assetto costitutivo della maggiore forza planetaria, per questo non lo studia nessuno. Anche un ricercatore universitario americano faticherebbe a rintracciarlo.
Questo è il disegno, a grandi linee, di quello che vedo del sistema: le sue strutture istituzionali, le dottrine che lo sostengono, e i risultati che ne conseguono. C'è un'altra parte, diretta agli "ignoranti impiccioni." Consiste nell'utilizzare la diversione, il divertimento (to divert: sviare), in un modo o nell'altro. Da questo, penso, è facile prevedere quello che ci si può attendere.

Noam Chomsky

(traduzione di Stefano Guizzi; titolo originale "What Makes Mainstream Media Mainstream" da un colloquio allo Z. Media Institute, giugno 1997)