rivista anarchica
anno 30 n.268
dicembre 2000 - gennaio 2001


Sudan e Mauritania

Vecchie e nuove schiavitù
a cura di Gianni Sartori

Negata dai governi, sfruttata dagli schiavisti, generalmente ignorata dai mass-media e dall'opinione pubblica internazionale la schiavitù esiste, eccome se esiste.

La schiavitù non è scomparsa dal mondo; anzi sotto certi aspetti si va ulteriormente diffondendo. Alle forme tradizionali, ancora largamente diffuse in paesi come il Sudan e la Mauritania, si aggiungono forme più "moderne", legate alla globalizzazione dei mercati e agli inevitabili conflitti che ne derivano. È sicuramente una forma di schiavitù lo sfruttamento minorile cosi come l'arruolamento forzato di bambini e ragazzi negli eserciti e in alcuni movimenti di liberazione (v. Sierra Leone, Sri Lanka) .Nelle regioni orientali dell'Asia si va sempre più diffondendo la pratica di ridurre in schiavitù intere famiglie quando non sono più in grado di pagare i debiti. Ha suscitato scalpore la recente scoperta di alcuni bambini lavoratori sempre vissuti all'interno dei locali di una fornace dove erano stati rinchiusi con i loro genitori. Altro episodio clamoroso la liberazione avvenuta in Cina di circa centomila persone precedentemente ridotte in schiavitù.
Ne abbiamo parlato con Joe Buttigieg, maltese, un laico che in Sudan coordina l'apparato diocesano per la liberazione degli schiavi e con Chiekh Saad-Bouth Kamara, docente di sociologia in Mauritania ed esponente del Consiglio dei Fondi delle Nazioni Unite di lotta contro le forme contemporanee di schiavitù.

G.S.

Sudan
Ormai è un'abitudine
Intervista a Joe Buttgieg

Come è avvenuto il suo impatto con il problema della schiavitù?

È accaduto casualmente alcuni anni fa, nell'ambito della mia attività di catechista laico a Khartoum. I ragazzi al mattino frequentavano la scuola e alcuni si fermavano anche nel pomeriggio per la catechesi. Un giorno con loro arrivò un ragazzo fuggitivo che mi raccontò di essere stato catturato nel sud dagli Arabi cinque anni prima. Era un Dinka, popolazione tradizionalmente vittima delle razzie degli Arabi. Per tutto quel tempo era stato sfruttato come schiavo-pastore. Tre giorni prima aveva ritentato per la seconda volta la fuga (dopo il suo primo tentativo era stato duramente picchiato) ed era arrivato in città nascosto a bordo di un camion. Gli dissi che avrebbe potuto restare in una casa dove solitamente vengono alloggiati ragazzi orfani e di strada, ma disse che sarebbe tornato il giorno dopo. Ritornò insieme ad un suo amico che era fuggito con lui ma che aveva preferito restarsene nascosto in attesa degli eventi. Questi due ragazzi appresero poi a leggere, scrivere e impararono un lavoro ed ora sono liberi e autosufficienti. Questa è stata la mia prima esperienza diretta della presenza di schiavi in Sudan. Da allora sono passati alcuni anni e oggi potrei raccontare centinaia di storie così.

Sappiamo che il governo sudanese nega l'esistenza della schiavitù. Come riuscite a combattere questa piaga che non viene nemmeno riconosciuta ufficialmente?

Infatti nei rapporti ufficiali e nelle sentenze dei tribunali si parla sempre di "rapimenti", mai di schiavitù. Da parte nostra abbiamo costituito un comitato contro la schiavitù e andiamo direttamente a cercare dove ci sono persone ridotte in schiavitù
In alcune zone del paese, come nell'ovest, quasi in ogni casa ci sono almeno uno o due schiavi, generalmente provenienti dal sud, dove vivono i neri cristiani e animisti.
Quando troviamo degli schiavi, cerchiamo qualche loro parente e torniamo insieme dalla famiglia che li detiene. Quando qualcuno riconosce la figlia o il fratello, di solito i padroni hanno paura (anche se tollerata, la schiavitù è pur sempre fuorilegge) e li lascia liberi di andarsene. La maggiore difficoltà consiste nel rintracciare le persone ridotte in schiavitù. Ormai la pratica schiavista è talmente entrata nelle consuetudini e nella mentalità del nord Sudan (gli abitanti del sud vengono abitualmente chiamati "schiavi") che nessuno si scandalizza, nessuno parla e nessuno denuncia.

E quando il proprietario si rifiuta di liberare lo schiavo? Lo aiutate a fuggire di nascosto?

Noi operiamo nel rispetto della legalità e, di solito, quando si arriva da un processo gli schiavi vengono liberati per ordine della Corte. A volte però le cose si complicano. Recentemente un padre aveva ritrovato la figlia prigioniera di un famoso schiavista del nord, un certo Tambrel. Quando è andato a richiedere la liberazione della ragazza è stato massacrato di botte e abbandonato legato ad un albero in condizioni pietose. Allora ci siamo rivolti alla polizia ma intanto Tambrel se ne era andato portandosi appresso i suoi schiavi. Abbiamo poi saputo che continua nei suoi traffici, sia con la Libia che con l'Arabia Saudita. Infatti il commercio degli schiavi segue ancora le sue "rotte" tradizionali attraverso il deserto, facendo tappa nelle oasi. Ancora oggi molti prigionieri muoiono lungo il percorso.

Ovviamente la guerra che si svolge nel sud del paese è un'altra occasione per catturare schiavi. Cosa può dirci in proposito?

Potrei parlare di un altro caso recente, a mio avviso molto significativo. Un generale dell'esercito sudanese è rientrato dalle operazioni militari contro lo SPLA portandosi appresso alcuni giovani fatti prigionieri da utilizzare nelle sue fattorie per il lavoro dei campi. Il padre di due ragazzi ha indagato a lungo e, quando li ha trovati, ci ha chiesto aiuto. Il processo era appena iniziato e sembrava svolgersi in modo favorevole per i due prigionieri, quando il generale si è rivolto alla corte islamica.
Di fronte a questo tribunale ha sostenuto che era suo diritto prendere schiavi come bottino perché questo è consentito dal Corano in caso di Jhiad (guerra santa). Il tribunale islamico non gli ha dato torto ma poi, temendo di suscitare altre proteste a livello internazionale, li ha fatti liberare. Al generale è stato detto testualmente che era meglio non provocare rimostranze e che poteva sempre tornare nel sud a prenderne altri.

A qualcuno questo episodio sembrerà inverosimile. Cosa potrebbe dire agli increduli?

Posso solo dirvi di venire nel Sudan per vedere con i vostri occhi. Un'ultima cosa. Durante le razzie nel sud, tollerate dal governo perché comunque creano problemi allo SPLA, solo i più giovani vengono catturati. I maschi più grandi vengono uccisi perché potrebbero creare dei problemi.

Gianni Sartori

 

 

Mauritania
Ma c'è chi ci guadagna
Intervista a Chiekh Saad-Bouth Kamara

Anche in Mauritania, come in Sudan, ufficialmente la schiavitù era stata abolita. Come stanno realmente le cose?

In Mauritania la schiavitù è stata abolita per ben tre volte. Una prima volta dai francesi, una seconda nel novembre del 1960 con l'indipendenza e una terza volta con la legge del 1982. Nonostante questo la schiavitù è ancora presente. A mio avviso manca una precisa volontà politica di abolirla definitivamente, di sradicare una mentalità purtroppo ancora molto diffusa. Per ottenere risultati definitivi è necessaria una vasta mobilitazione dell'opinione pubblica mondiale.

In quali forme la piaga della schiavitù sopravvive in Mauritania?

Prima di tutto nelle forme tradizionali, quelle dell'antichità, le stesse che erano presenti anche in Europa fino al medioevo. Sia nelle città che nelle campagne troviamo molte persone ridotte in schiavitù (e da tutti considerati schiavi a tutti gli effetti) che lavorano per i loro padroni senza salario e impossibilitati ad andarsene. Il controllo sulla loro vita è totale dato che, nella diffusa mentalità tradizionale, anche "andare in paradiso" dipende dalla volontà e dalla benevolenza dei padroni.
Fino alla grande siccità del 1973 la schiavitù era diffusa soprattutto nelle campagne; dopo quell'evento molti proprietari sono stati costretti a trasferirsi nelle città portandosi appresso i loro schiavi. Questo ha reso di dominio pubblico la vastità del problema e, indirettamente, ha reso possibile la liberazione di molti schiavi.

Quali sono le principali ragioni per cui una persona viene ridotta in schiavitù?

Per prima cosa la diffusa, estrema povertà per cui molte persone devono dipendere da un padrone per sopravvivere. Un altro fattore è la scarsa scolarizzazione, soprattutto dei soggetti più deboli: le donne, i bambini, gli anziani. Queste persone vengono impiegate in varie attività: agricoltura, allevamento, pesca. Nelle città sono utilizzate come domestici; non vengono pagati e sono privati di ogni più elementare diritto, oltre che della dignità.

Oltre alle forme tradizionali da lei descritte, esistono (non solo in Mauritania naturalmente) altre forme "moderne", contemporanee di schiavitù di cui sono vittime soprattutto i bambini. Potrebbe parlarcene?

In proposito vorrei ricordare che recentemente un portavoce del governo ha dichiarato che in Mauritania non esisterebbe più la schiavitù ma soltanto alcune conseguenze della schiavitù. Noi rispondiamo che esistono entrambe, sia le conseguenze della schiavitù tradizionale che nuove forme di schiavitù.
Penso si possano considerare schiavi tutti quei bambini costretti ad elemosinare (a volte dai loro stessi genitori) in molti paesi africani come la Mauritania, il Mali e tutti coloro che nel terzo mondo sono costretti a lavorare fin dalla più tenera età..
Oltre ai bambini, sono soprattutto le donne a subire queste forme di sfruttamento che personalmente non esito ad equiparare alla schiavitù.
Senza dimenticare naturalmente il gran numero di immigrati clandestini, di rifugiati, compresi i cosiddetti "sfollati" che pur restando nel loro paese spesso non sono altro che veri e propri profughi interni (sia in Africa che in alcuni paesi dell'America latina; per non parlare dei Kurdi nelle estreme periferie delle metropoli turche, ndr). Molte volte sono proprio questi ultimi a rischiare di essere ridotti in schiavitù date le condizioni di estrema precarietà e miseria in cui vengono a trovarsi.

In che modo ci si può opporre a questa piaga?

Innanzitutto colpendola alle radici, facilmente identificabili: l'alto grado di alienazione culturale dei popoli che hanno subito la colonizzazione, la mancanza di volontà politica dei vari governi e, soprattutto, il fatto che la schiavitù è una fonte vigorosa di profitti per gli schiavisti.
Mi sembra che attualmente qualcosa stia cambiando, soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale. In questi anni è stato fondamentale il ruolo di Amnesty International e di alcune ONG che hanno denunciato pubblicamente il diffondersi di nuove forme di schiavitù. È sicuramente un fatto positivo, legato alla mobilitazione internazionale, che quando si riesce a portare un caso di schiavitù in tribunale, la corte stabilisca che la vittima deve essere liberata. Purtroppo ci sono ancora poche associazioni che si mobilitano; se il numero delle persone impegnate aumentasse adeguatamente, io credo che in poco tempo la schiavitù potrebbe essere debellata, almeno in Mauritania. Personalmente ho anche osservato che quando nelle associazioni per la difesa dei Diritti umani ci sono molte donne i risultati sono più consistenti. Questo perché partecipano maggiormente alla sofferenza altrui, sono più vicine alle vittime e, soprattutto, si fanno corrompere meno.
Un altro fattore decisivo per debellare la schiavitù è sicuramente l'educazione. Se i figli degli schiavi vanno a scuola possono impadronirsi degli strumenti culturali con cui difendersi. Fondamentale deve essere anche il ruolo degli organismi giuridici internazionali dato che sia il Sudan che la Mauritania hanno firmato le Convenzioni internazionali contro la schiavitù. Occorre convincerli, in modo pacifico ma con molta fermezza, ad applicarle.

Gianni Sartori