rivista anarchica
anno 30 n.268
dicembre 2000 - gennaio 2001



a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

 

Arbe Garbe

Questa accozzaglia di friulani arrabbiati ha autoprodotto un cd sorprendente e bello. Sorprendente e bello in molti sensi, anche volendo limitare il discorso in ambiti strettamente musicali: sono piuttosto sospettoso e "prevenuto" nei confronti delle formazioni miste folk/rock/punk in voga di questi tempi, che spesso hanno nascosto dietro una fisarmonica obbligatoria, qualche rima da balera-rossa-la-trionferà e un tin whistle suonato approssimativamente uno spaventoso vuoto stellare, ma stavolta...
Gli Arbe Garbe sembra riprendano in questo loro debutto discografico un cammino interrotto: esagero un po', lo so, ma stavolta è quasi come se "quella musica" d'una volta, quelle belle canzoni sociali e di lotta, quella bella musica popolare vitale e irriducibile, rimaste tutte sepolte sotto il frastuono di questi ultimi trent'anni di colonialismo sonoro anglosassone, si fossero improvvisamente e terribilmente risvegliate. "Jacume!", questo il titolo del cd, suona come se lo spirito puro e ribelle del punk qui in Italia, invece che dissolversi in discussioni a vuoto davanti ai negozi di dischi d'importazione come una scoreggia, fosse passato come nebbia appiccicosa rimanendo integro per le piazze di paese, per le osterie, per i vecchi circoli dell'ARCI dove neanche il vino, le partite a carte e a calcetto riuscivano a mandare via l'odore triste della guerra e neanche quello altrettanto triste del dopoguerra (...figuriamoci l'odore del punk). Così non è stato, e allora ci si contenta di sognare, di far festa con niente.
E allora sia festa, e festa di piazza alla buona, con i bambini che si divertono a corrersi dietro in mezzo ai grandi che ballano e cantano. E chi vuol restare solo per guardare faccia pure, e chi vuole aggiungere alla filastrocca delle canzoni anche la propria voce la aggiunga, bella o stonata che sia. Arbe Garbe mica manda via nessuno: portate il vino e qualche cosa da mangiare, che alla musica ci pensano loro.
Se da una parte la musica di Arbe Garbe è prevalentemente solare, ed orientata verso un'idea "leggera" (e non "scema", si badi bene) di ballo e divertimento, la visione del mondo offerta dal gruppo è disincantata e consapevole: e, per nostra enorme fortuna, non si tratta di un polpettone politicamente monolitico e indigesto, quanto di una composita e multicolorata coperta patchwork. In mezzo al casino c'è anche posto per qualche scivolone (1), ma alla fine non importa: ci si rialza e via di nuovo a saltare e a ballare.
Per fare questo disco sono stati usati tutti ingredienti naturali, tutta roba buona cresciuta da sola senza additivi né pesticidi né manipolazioni di moda. E' un minestrone buono di musiche-e-basta prese qua e là ad est come ad ovest senza far caso al gusto corrente, fatte a pezzettini ma non maltrattate (e anzi trattate con cura e con un certo rispetto). Ne viene fuori una manciata di canzoni che parlano tutte dell'inaccettabilità della rassegnazione e della necessità di lottare, oggi come ieri, perché anche domani sarà questo il pane dell'esistenza.
Tutt'altro che una raccolta uniforme, questa, eppure sento che sarebbe un esercizio vuoto descrivere i vari pezzi: la bellezza di queste canzoni è nello stare tutte insieme, una dietro l'altra come in una collana, a riempire la testa di fisarmonica e chitarre, clarinetto e mandolino a intrecciare le loro voci con quelle -che forse mai hanno smesso di cantare, in tutti questi anni- di qualche memoria lasciata a riposare da qualche parte, in fondo all'anima.
Il cd è tecnicamente assai ben realizzato, ma il bello il gruppo deve offrirlo negli spettacoli dal vivo, che presumo trasformati in una gran bella cosa per le orecchie, per il cuore e per la testa.
Ci voleva, davvero e finalmente, una voce libera (che canta ma che anche sbraita e bestemmia, sì, perché a volte serve, e come se serve...) come questa. Una voce che sapesse ridare nuova vita e nuovo senso e rinnovata dignità a quel modo di fare/mangiare/pensare/vivere quella "certa musica" che noi che abbiamo più di 40 anni s'immaginava ormai un ricordo del passato, o peggio ancora morta e destinata alla polvere delle rassegne culturali messe in piedi dagli amministratori interessati a mettere i denti, in tempo di perenni elezioni, anche su quel che resta del sessantotto e dei bei sogni e delle belle speranze di tanta gente.
Sarebbe piaciuto a mio padre e mia madre, il lavoro degli Arbe Garbe, così come piace a me e fa ballare e saltare e ridere mia figlia. Il bello è proprio questo: che "Jacume!" è un disco di oggi, con lo sguardo alto e spavaldo e senza paura provocatoriamente rivolto verso il futuro.
Il cd costa meno di 20mila lire ma non è diffuso commercialmente: lo si può trovare ai concerti del gruppo, o magari in qualche centro sociale (ad Udine e in giro per il Friuli con maggiore facilità).

contatti:
Arbe Garbe c/o Leo Virgili, via S. Francesco 10 33044 Manzano (Udine)
e-mail: garp@triangolo.it

(1) Nota: tra le note scritte che accompagnano il cd degli Arbe Garbe si sovrappone la questione SIAE (burocrazia, difficoltà di organizzare eventi culturali, ispezioni etc.) al groviglio ideologico tasse/stato/abusi/soprusi disgraziatamente tanto caro al popolo della lega. Le due cose secondo me sono ben diverse e vanno tenute ben lontane. Un cd, un disco o un libro non sono "più rivoluzionari" di altri solo perché non hanno appiccicato il famigerato bollino, e che cazzo...
Riguardo al diritto d'autore: inventare musica alla fine è un lavoro come un altro. A volte se si ha fortuna può essere più divertente ma non è certo meno sporco e meno faticoso. Anche se non condivido questa pratica, né mai l'ho fatta mia, posso comunque comprendere l'esigenza che dei musicisti intenzionati a commercializzarla desiderino in qualche modo tutelare la propria produzione tramite copyright.
Una pratica simile, più che impedire, tende a dissuadere eventuali furti... che comunque avvengono. Per fare nomi a noi vicini e noti, ne sono stati vittime anche i Crass: ci sono delle loro registrazioni non autorizzate recentemente ristampate su cd e spudoratamente commercializzate su internet. Potete trovarle, a prezzo "pieno", sui siti punk/anarcopacifisti CdNow ed Amazon.com...
Parlo per assurdo, ma che effetto farebbe ritrovarsi con il vostro cd ristampato da qualcun altro che di voi se ne sbatte le palle e così pure dell'alternativa e dell'autogestione, e ne diffonde e vende qualche migliaio di copie?
Parlo per assurdo, ma poi mica tanto: è successo per grande parte del nostro vecchio punk autoprodotto su cassette e vinile vent'anni fa, ridotto a reliquia per collezionisti e posto in vendita su cd (i gruppi mica ne sapevano qualcosa: si sono ritrovati a sorpresa sulle playlist di MRR anni dopo lo scioglimento, e dopo averci rimesso tempo, energie e soldi), quando allora vigeva la pratica dello scambio e della solidarietà...

 

 

Filippo Gambetta

Differente come percorso e storie, ma altrettanto superlativo nel risultato, l'approccio di Filippo Gambetta e del quartetto da lui capitanato che fa di nome Stria nei confronti ancora della musica popolare e tradizionale (dietro la copertina del cd si suggerisce di registrare questo cd nella categoria "world music, Italia", ma secondo me potrebbe essere un depistaggio).
Dal Friuli degli Arbe Garbe qui si passa in Liguria, ed oltre che la terra diversi sono anche gli strumenti (un quartetto composto da
organetto, violoncello, violino e chitarra, più qualche apporto esterno) e l'atteggiamento complessivo.
Se gli Arbe Garbe (con tutta probabilità degli autodidatti di talento) sembrano degli scolari discoli che il sabato pomeriggio disertano il catechismo per il calcio autogestito, gli Stria (con tutta probabilità ragazzi che hanno passato ore e ore a studiare musica, magari sottraendo tempo al pallone giocato per strada) sembrano i primi della classe, quelli col quaderno e l'astuccio sempre in ordine. Non che questo ce li renda antipatici, per carità: è che sono così puliti, perfetti e bravi che... Dai, sto scherzando: resta il fatto che dimostrano una sorprendente abilità tecnica strumentistica, roba da far invidia ai sassi.
Questo è un lavoro entusiasmante per molti motivi, non ultimo perché offre tre quarti d'ora di semplice ed autentica gioia sonora, musica gustosa ed accattivante molto ben suonata e altrettanto ben arrangiata. I quattro dimostrano di saperci fare senza esagerare col virtuosismo, e anzi schiacciano l'acceleratore sulla resa emotiva dei loro pezzi.
La registrazione è di ottimo livello (dietro il banco, da qualche parte, il padre di Filippo: Beppe Gambetta, uno dei più straordinari chitarristi contemporanei), curata nei minimi particolari eppure mai leziosa ed autocompiaciuta.
Questo è un bel disco perché chi ci suona dentro è gente giovane (dalla foto di copertina Filippo sembra non avere neanche vent'anni): chissà come saranno capaci di suonare lui e i suoi compagni tra cinque, dieci, vent'anni... Speriamo non emigrino come fanno i medici e i ricercatori, e che continuino a bazzicare, oltre che le sale dei conservatori e i posti seri, anche le nostre piazze, i palchi improvvisati dei piccoli centri sociali e i giri marginali dove si ascolta musica con altrettanta attenzione e fame.
Stria offre suoni e forme sonore a cui non siamo abituati (l'organetto diatonico imbracciato da Filippo è protagonista di queste registrazioni, ed è uno strumento quantomeno poco diffuso), e perché ci riporta in mente cartoline italiane sì, ma anche di Francia e dell'Europa dell'Est: non succedeva in maniera così brillante dal tempo degli Area, coi quali c'è un sottile collegamento: Filippo propone una versione da brivido del tradizionale bulgaro "Gankino horo", da cui Demetrio & compagni avevano ritagliato alcuni frammenti per "L'elefante bianco".
Nonostante si faccia strada a momenti un sottilissimo retrogusto "à la Windham Hill" che può anche non piacere (e che comunque non intacca l'atmosfera complessiva di questo loro lavoro), i nostri fortunatamente non dimenticano il brivido della sperimentazione: per tutto questo, alla fine l'album degli Stria non è un disco folk, né roba new-age, né d'altra etichetta e forma e odore conosciuto.
E' una cosa del tutto nuova e gradita (anche per il prezzo corretto e popolare: io l'ho preso per meno di 20mila lire, un prezzo che può offrire una bella prospettiva sulla voglia di farsi ascoltare ed arrivare alla gente di questi ragazzi), e come le cose nuove e bellissime farà fatica a sopravvivere nella tempesta di immondizie che imperversa dalle nostre parti. Emblematica, purtroppo, l'immagine di copertina: i quattro Stria, col loro carico di strumenti, che percorrono una salita difficile. Mille auguri sinceri, perché il fiato e la voglia di camminare e cercare non vi manchino mai.

contatti:
Filippo Gambetta, via Fratelli Canale 6/3 16132 Genova
e-mail: filgambetti@netscape.net

Marco Pandin