rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


arte

La sovversione estetica
intervista di Maria Mesch a Eva Civolani

"Arte e pensiero libertario tra Ottocento e Novecento" è il sottotitolo del volume appena uscito per i tipi di Elèuthera. Ne parliamo con l'autrice.

Com'è nata l'idea del libro?

Per rispondere a questa domanda non posso fare a meno di risalire ad alcuni – quattro o cinque – anni fa. Spinta dai miei ormai più che ventennali interessi per l'anarchismo e da una viva passione per l'arte, iniziai una ricerca sui rapporti tra anarchismo e pittori impressionisti. M'imbattei nelle bellissime lettere di Camille Pissarro al figlio Lucien, che non solo costituiscono un'eccezionale testimonianza dell'epoca, ma permettono anche di cogliere, per così dire, di prima mano, il complesso approccio di un artista di orientamento libertario alla problematica estetica. Le lettere di Camille Pissarro, la ricerca che conducevo, la situazione particolare in cui vivevo, m'indussero ad approfondire una tematica che da tempo mi stava a cuore, a riflettere cioè sull'estetica dei teorici "classici" dell'anarchismo, e sulle reazioni degli artisti di orientamento libertario ad una concezione dell'arte che ne privilegiava sostanzialmente la funzione sociale e morale. Volevo tentare di dare una risposta alla questione se e come fosse possibile conciliare, per esempio, il rifiuto di molti artisti di assoggettare la propria espressività a schemi ideali precostituiti con la convinzione che l'ideologia anarchica in qualche modo influenzasse le loro opere.

Come potresti definire il rapporto tra arte e pensiero libertario?

L'esame degli scritti consacrati all'arte da parte dei teorici classici dell'anarchismo, unita alle riflessioni di quegli artisti e quelle correnti che esplicitamente si ispirano a idee libertarie, non solo mette in evidenza un nesso tra arte e utopia, arte e senso della vita, ma spesso suggerisce convergenze tra produzione artistica e ideali libertari. Ne esce la convinzione che l'arte sottenda sollecitazioni al mutamento, sia a livello individuale sia a livello sociale, che abbia una funzione formativa e quindi morale, in quanto propone ideali di libertà, di autonomia, in grado di sottrarre gli individui alle forze negative dell'autoritarismo politico e culturale.

Riguardo a Picasso, per esempio, non temi che la definizione di anarchico sia azzardata?

È noto come il Cubismo abbia rivoluzionato la pittura occidentale e come in questo ambito Picasso abbia svolto un ruolo di primo piano. Alcuni critici sostengono che i dipinti del periodo compreso tra il 1912 e il 1914, in cui il pittore utilizza ritagli di giornali d'impostazione anarchica, rappresentino indizi di una concezione del mondo ispirata a ideali libertari. Questi ultimi erano del resto diffusi negli ambienti artistici che Picasso frequentava prima a Barcellona e successivamente a Parigi, praticati principalmente da simbolisti di orientamento anarchico. A ciò si aggiunge il rilievo dato nelle sue opere alla componente sessuale, che potrebbe essere interpretato come una manifestazione della fede anarchica nel potere dell'istinto. A mio parere, deve essere usata una certa cautela nel sostenere un coinvolgimento ideologico di Picasso in senso anarchico, anche se alcune sue affermazioni, quali il non avere mai usato la pittura come uno strumento di pura distrazione, ma come mezzo per approfondire la conoscenza di sé e degli altri, l'avere sempre lottato con la sua opera artistica da "vero rivoluzionario", l'aver rotto, sia per la natura dei materiali pittorici sia per i nuovi procedimenti compositivi, con le convenzioni del passato..., lo collochino all'interno di una visione del mondo vicina agli ideali libertari.

Può essere interessante anche il caso dei simbolisti, criticati dagli anarchici tanto da un punto di vista formale quanto da un punto di vista contenutistico.

Prima di tutto ritengo che sia estremamente difficile trovare una definizione di "arte libertaria". Credo che la risposta data da Camille Pissarro a questa domanda sia la più soddisfacente, e cioè che ogni arte è anarchica, se è vera arte. Penso comunque che l'espressività dell'artista non debba sottostare a imposizioni o a vincoli esterni, che il contenuto e la struttura stilistica non veicolino di per sé ideali a carattere rivoluzionario. Così come ho cercato di spiegare nel mio libro, si tratta di vedere se questo o quel movimento artistico, questo o quel pittore, riesca a coniugare la propria ricerca artistica con una dimensione emozionale e spirituale del reale connotata in senso libertario. Per quanto concerne il Simbolismo in particolare, non bisogna dimenticare che si tratta di un movimento estremamente vasto e composito, che investe sia le arti visive sia la letteratura. Esso si sviluppa non solo in Europa, ma anche nelle due Americhe, in un periodo situato tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, nel quale gli sviluppi scientifici, psicanalitici, filosofici, estetici..., inducono a rifiutare gli schemi positivistici, a un ripensamento dell'arte, della nozione di spazio, di tempo e dell'esistente in generale. I simbolisti partecipano in prima persona a questa rivoluzione. Alcuni cercano di esprimere attraverso la loro produzione artistica aspetti psicologici irrazionali e inconsci della psiche individuale e collettiva, che testimoniano una propensione per il mistero, per l'inquietudine, altri si orientano verso una ricerca di forme primarie fino ad allora sconosciute. Nonostante le critiche da parte degli anarchici all'impostazione sostanzialmente idealistica delle opere simboliste - che accusano sovente di esoterismo, di misticismo -, non pochi fra i simbolisti si professano anarchici o per lo meno collegano il loro individualismo, la loro ripugnanza nei confronti degli ideali borghesi, alla concezione del mondo libertaria.

Ci sono correnti o artisti che avresti potuto aggiungere al libro?

Certamente. Avrei potuto parlare, ad esempio, del Modernismo, del Fauvismo, della Die Bruecke, della Nuova Oggettività, del Movimento dell'Arte nucleare, del Cobra..., ovvero di artisti come Kees Van Dongen, Piet Mondrian, Jean Dubuffet, Enrico Baj e altri. Spero che l'editore mi offra la possibilità di farlo in un secondo volume...

Ma... esiste un'arte d'avanguardia non libertaria?

Sono convinta che nell'attività artistica sia sempre immanente una tensione libertaria, portatrice di stimoli creativi capaci di porre freno ai processi di massificazione in corso. Credo quindi che l'arte cosiddetta d'avanguardia possa essere definita "non libertaria" se non suggerisce una diversa concezione del mondo, dell'individuo; se non è portatrice di una tensione verso il mutamento; se non incalza ad un affrancamento da un ormai radicato bisogno di dipendenza, che sottrae agli individui la volontà di autonomia. In questo caso, in che senso si potrebbe parlare di "arte libertaria"?

Come vedi invece l'arte contemporanea?

Stando agli specialisti, la definizione di arte "contemporanea" appare alquanto ardua. Forse la si può definire in questo modo allorché, tenendo conto delle ultime conquiste della modernità, appare in grado di scoprire nuovi campi creativi, di rinnovare all'estremo le possibilità espressive. Risulta tuttavia evidente che l'arte "contemporanea" è di moda. Ne discende una maggiore difficoltà nello sfuggire alle costrizioni del mercato, per l'abilità di quest'ultimo nell'appropriarsene e quindi nel condizionarla.

intervista a cura di Maria Mesch


Eva Civolani

 

Eva Civolani si è laureata presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna. Ha svolto attività di ricerca e di insegnamento presso le Università di Torino e di Milano (cui tuttora collabora). È autrice di L'anarchismo dopo la Comune. I casi italiano e spagnolo (Angeli, 1981). Ha pubblicato saggi ed articoli su Movimento operaio e socialista, su Annali della Fondazione Luigi Einaudi, su Il movimento Operaio Italiano. Dizionario biografico, 1853-1943 (a cura di F. Andreucci e T. Detti), su Passato e Presente, ecc. Ha curato per Elèuthera, con Antonietta Gabellini, una raccolta di scritti di Camille Pissarro, (Mio caro Lucien, Milano, 1998).