rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


scuola

Scuola dell'autonomia o scuola della dirigenza?
di Cosimo Scarinzi

Lungi dal fare un passo indietro, lo stato utilizza la tanto decantata autonomia per rimodellare la scuola, aprendo ai privati ed alle industrie. Interviene Cosimo Scarinzi, insegnante e sindacalista della CUB Scuola.

Quando si parla di autonomia scolastica è necessario, per la chiarezza della discussione, evitare ogni riferimento al concetto di autogoverno. Quest'avvertenza è necessaria per almeno due ragioni:
1. l'autonomia scolastica realmente esistente o, più esattamente, in corso di definizione è una forma di rimodellamento della struttura della scuola pubblico-statale che resta, per evidenti ragioni, sottoposta al controllo del potere politico;
2. non ritengo immaginabile un settore della società autogestito nell'ambito di una società mercantile e statale a meno di dare dello stesso concetto di autogestione una definizione debole e, a rigore, impropria mentre è pensabile la difesa attiva e consapevole di spazi di autonomia sociale e culturale.
Posti questi limiti all'oggetto dell'articolo che segue ritengo opportuno segnalare che l'attuale riflessione sull'autonomia scolastica, sulle sue caratteristiche e sui suoi effetti immediati e tendenziali si intreccia, almeno nella mia esperienza, con quella sul federalismo, per un verso, e con una singolare versione dell'opposizione fra conservazione e progresso, per l'altro.
Riprenderò più avanti la questione del federalismo. Vorrei intanto far rilevare come il confronto delle posizioni sia falsato dalla pretesa dei fautori dell'autonomia scolastica di essere i portatori dell'innovazione a fronte di un blocco "conservatore" che difenderebbe la vecchia scuola burocratica e centralista. Avviene, di conseguenza, che dei postfascisti dichiarati o dei cattolici ultramontani oltre che, ovviamente, degli esponenti della sinistra statalista definiscano chi si oppone o, per essere più esatti, chi critica l'attuale modello di autonomia scolastica "statalista". È avvenuto a chi scrive di ricevere un'accusa del genere dal Provveditore agli Studi di Bergamo nel corso di un dibattito sul tema, appunto, dell'autonomia solo perché aveva sostenuto che la scuola che desideriamo non può essere una mera appendice del sistema delle imprese e dal Provveditore di Torino, nel corso di una trattativa sindacale, per aver richiesto una precisa presa di posizione sull'organizzazione del lavoro degli insegnanti. Va da sé che entrambi i provveditori agli studi non avrebbero mai nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di rinunciare al proprio ruolo di controllo sul funzionamento della scuola ma è interessante notare come l'opposizione conservazione-progresso sia funzionale ad impedire ogni discussione seria sul merito delle scelte del governo. Non vi è, in questa sede, lo spazio per un'analisi dettagliata dell'autonomia scolastica dal punto di vista giuridico. Ritengo che, ai fini di quanto ci interessa, basta individuare come si spostino i luoghi della decisione sia all'interno della struttura della scuola sia nella relazione fra scuola e società civile.
Normalmente chi pensa all'autonomia scolastica immagina un processo di spostamento dei luoghi della decisione dall'alto verso il basso e cioè dal Ministero della Pubblica Istruzione e dai Provveditorati agli Studi verso il basso e cioè verso le singole scuole. In realtà la dislocazione in questione è più complessa e consiste in uno spostamento di compiti dal Ministero e dai Provveditorati verso le singole scuole accompagnata, e non si tratta di un dettaglio secondario, dalla riduzione del peso degli organi collegiali (in primo luogo il Collegio Docenti) a favore dei Dirigenti Scolastici. Inoltre, i Provveditorati vengono svuotati di funzioni verso il basso (i dirigenti scolastici) e verso l'alto (le sovrintendenze scolastiche regionali).


Il ruolo del Dirigente

Il soggetto sociale che, di conseguenza, assume un peso centrale nella scuola dell'autonomia è il Dirigente Scolastico. Dobbiamo domandarci, di conseguenza, in che cosa costui (o costei) differisca dal buon vecchio preside o direttore didattico e in che cosa la scuola dell'autonomia (o della dirigenza) venga modificata dall'irrompere sulla scena di questo soggetto. A prima vista il Dirigente Scolastico non è altro che il solito capo di istituto con un gallone in più e, in molte scuole, tutto sembra andare come prima. In realtà la dirigenza scolastica comporta:
1. aumenti retributivi che differenziano seccamente il dirigente dal resto del personale;
2. in tendenza, la definizione di un'area contrattuale diversa da quella del resto del personale della scuola;
3. un accrescimento di poteri come, ad esempio, quello di scegliersi il vice preside ed i collaboratori (lo staff);
4. la prospettiva di giocare un ruolo centrale nella scuola azienda.

La dirigenza scolastica non è comprensibile nei suoi caratteri reali se non si tiene conto:
1. della razionalizzazione della rete scolastica che ha determinato l'accorpamento delle scuole e l'accrescimento significativo della loro dimensione media. Questo accrescimento è volto sia a tagliare l'organico e ad utilizzare in maniera più "produttiva" il personale che a fare delle singole scuole delle aziende capaci di operare in maniera "efficace ed efficiente" (uso il linguaggio dell'amministrazione) sul mercato della formazione;
2. della costruzione di una vera e propria gerarchia interna al personale sia docente che amministrativo, tecnico ed ausiliario con l'individuazione di un certo numero di colleghi ai quali vengono affidati compiti diversi da quelli tradizionali e concesse corrispondenti retribuzioni aggiuntive;
3. dell'aumento del peso del salario accessorio rispetto alla paga base che, nonostante le affermazioni dei media e dei sindacati di stato, resta mediocre e della conseguente gara per accaparrarselo;
4. della possibilità, per la scuola dell'autonomia, di utilizzare personale diverso da quello assunto secondo i sistemi tradizionali (cooperative, lavoratori socialmente utili, lavoratori interinali, collaboratori a ritenuta di acconto ecc.).
La scuola della dirigenza, insomma, assume i caratteri di una rete di aziende in concorrenza fra di loro e con una struttura interna, appunto aziendale. Non a caso i capi di istituto sono divenuti dirigenti sulla base di corsi tenuti da agenzie confindustriali che hanno cercato di trasformare un torpido corpo di funzionari statali, sovente selezionati per appartenenza partitica e sindacale, in una schiera di manager d'assalto con effetti sovente paradossali.
Per ora, il rapporto fra dirigenti e personale è complicato e variegato e si differenzia scuola per scuola. Si va dal preside vecchio modello che cerca di condurre le cose secondo modalità non traumatiche al demente che pretende di imporsi al di là di quanto prevede la stessa normativa con l'effetto di creare tensioni crescenti con tutte le varianti intermedie.
Un secondo aspetto della scuola dell'autonomia che sta creando conflitti interni al personale e fra personale e dirigenti è l'introduzione di figure intermedie fra il dirigente ed il personale. La tradizionale figura dell'insegnante, come è noto, non aveva un percorso di carriera. Nonostante un'opposizione della categoria abbastanza chiara e netta, basta pensare allo sciopero del 17 febbraio 2000 contro il concorso volto a selezionare un 20% del personale da premiare a scapito di un 80% da lasciare ai margini, l'amministrazione prosegue sulla via di individuare personale di serie A e personale di serie B. Fallita l'ipotesi di un concorso nazionale, si rafforza l'ipotesi di una selezione di scuola che vedrebbe al centro, come organizzatore della selezione, il solito dirigente.
Un terzo aspetto di straordinario rilievo, è lo spazio che si apre ai finanziamenti privati ed alla possibilità di modellare le singole scuole sulle esigenze del territorio e del segmento del mercato del lavoro al quale si rivolgono mediante una modificazione decisa localmente del programma di studio della singola scuola.
Dopo questa schematica descrizione dei processi di mutazione dell'organizzazione della scuola in corso di attuazione sono possibili alcune, provvisorie, valutazioni generali.
In primo luogo, non vi è alcuna cessione di potere da parte dello stato. Al contrario, il ridurre i compiti di gestione dell'attività ordinaria dell'amministrazione centrale a favore delle singole scuole rafforza il controllo statale, lo rende più vicino ed operativo, lo libera dai vincoli tipici delle grandi burocrazie.
In secondo luogo, il legare l'attività della scuola alle "esigenze della società" significa, al di là dei discorsi fumosi che vanno di moda, rispondere alla pressione del sistema delle imprese in, almeno, due sensi:
1. aprire un mercato di straordinario interesse per le imprese (attrezzature informatiche, pacchetti formativi ecc.) realizzando il sogno dei capitalisti realmente esistenti e cioè l'avere a disposizione un mercato protetto e garantito dal denaro pubblico;
2. rendere la scuola, che resta formalmente pubblica, un'impresa soprattutto nel senso che assume la filosofia dell'impresa.
Come questo processo si svilupperà nei prossimi anni è oggi difficile a dirsi. Peserà molto, ovviamente, il quadro politico istituzionale, per un verso, e la capacità di iniziativa del personale della scuola e degli studenti, per l'altro. Peserà anche, indubbiamente, la forza delle diverse posizioni sul ruolo della scuola pubblica che si danno nella società.
Sulla scuola, infatti, si gioca una partita complessa che vede diversi attori in campo:
- la Confindustria che ha un progetto forte e, per certi versi, egemone;
- il sindacato istituzionale e, in primo luogo, la CGIL, forte della recente vittoria alle elezioni delle RSU, che ha un progetto parzialmente convergente con quello della Confindustria ed è intenzionato a rafforzare il proprio ruolo di gestore subalterno della scuola nuovo modello;
- l'Associazione Nazionale Presidi che opera con determinazione per sviluppare al massimo il potere della dirigenza scolastica in una dialettica complessa con il sindacato di stato;
- il ceto politico che vede uno scontro interno fra una sinistra statalista che, nelle sue componenti maggiori, è impegnata a gestire l'evoluzione in senso neoliberale della formazione e una destra che cerca di forzare la situazione nella direzione di una più radicale privatizzazione della formazione.
La destra italiana, come è noto, non è omogenea sulla questione scuola e il suo programma è la sintesi fra un approccio mercantile (Forza Italia) ben riassunto dalle tre I (Imprese, Internet, Inglese) berlusconiane, un approccio integralista dei cattolici ultramontani che puntano sui finanziamenti pubblici alle loro scuole, un approccio "federalista" della Lega che punta alla regionalizzazione della scuola e residui autoritari dei postfascisti.
La mediazione interna fra le varie ipotesi è possibile puntando:
- su di una scuola pubblica degradata e ridotta al semplice addestramento al lavoro nella "nuova economia";
- su di un settore di "qualità" affidato alla chiesa ed alle agenzie confindustriali;
- sul controllo diretto del ceto politico sulla scuola attraverso la devoluzione della scuola alle regioni secondo il modello svizzero (piccola città, fottuta gente);
- sul regolamento di conti, sognato dalla destra postfascista, con la tradizione repubblicana presente nella scuola italiana.
La forza della destra sta nel consenso di settori della piccola e media impresa e del lavoro autonomo "antistatalista" e nel fatto che la sinistra le ha, parzialmente, spianato la strada. La debolezza sta nella mediocrità degli uomini e dei programmi.


Far circolare le esperienze

In un quadro del genere, ritengo che dovremmo porre l'accento su alcune linee di iniziativa e di resistenza:
o il rifiuto dei lavoratori della scuola di subire il degrado del loro lavoro. Questo rifiuto prende oggi forme ambigue, a volte corporative e nostalgiche, ma coglie una questione essenziale: la scuola mercantile, poco importa se gestita dalla destra o dalla sinistra, significa la fine di una tradizione educativa di qualità;
- la scuola repubblicana va criticata e superata nella direzione di una scuola effettivamente pubblica nel senso di gratuita, aperta alle diverse culture, tale da andare contro l'attuale stratificazione sociale, caratterizzata da forme, anche limitate e parziali ma effettive, di autogoverno dei soggetti interessati;
- la libertà di insegnamento, di ricerca, di sperimentazione implicano lo scontro sia con la burocrazia ministeriale che con il sistema delle imprese. Non vi è libertà senza conflitto e senza affermazione degli interessi di parte che sul terreno della formazione si scontrano;
- un punto di vista libertario sulla formazione deve tenere assieme una forte tensione alla sperimentazione didattica e la capacità di criticare sia teoricamente che praticamente la struttura istituzionale della scuola;
- la qualità della formazione è, in primo luogo, nostro interesse. Una scuola supermercato è funzionale solo al riprodursi delle attuali gerarchie sociali. Vi è un patrimonio prezioso di esperienze da valorizzare in questo senso;
- ci piaccia o meno, nella scuola della dirigenza, dovremo affrontare un potere diffuso assai più pervasivo rispetto alla tradizionale burocrazia ministeriale. Sarebbe importante far circolare le esperienze e le riflessioni che si svilupperanno nel prossimo periodo.

Cosimo Scarinzi