rivista anarchica
anno 31 n. 273
giugno 2001


società

Alle radici della paura
di Francesco Codello

Dalla cultura della banalità alle fobie sociali.

Sono passati quasi trent'anni da quando Michel Foucault ha scritto quel suo libro sulla nascita della prigione (Sorvegliare e punire, 1975), nel quale il sistema della segregazione dei corpi e dell'addomesticamento degli spiriti viene così bene descritto.
L'istituzionalizzazione della disciplina è passata attraverso la manipolazione delle coscienze umane e la mutilazione del corpo lungo le ritualità coercitive degli ospedali, degli eserciti, delle scuole, dei collegi, delle fabbriche.
La correzione della devianza è sempre stata una prerogativa dello Stato e si è fondata sempre sul presupposto che era necessario per ogni società "civile" difendersi da chi questa convivenza minaccia o trasgredisce. A parte la confusione voluta tra società e Stato, tra valori "universali" e di classe o di parte, che qui non mi interessa approfondire, questo tema ci tocca da vicino e riveste oggi una straordinaria attualità.
È infatti diventato quello della sicurezza, della tolleranza zero, della difesa della "civiltà", un vissuto diffuso e ampio tanto da costituire anche una delle paure esplicitate frequentemente persino dai piccoli bambini delle comunità del mondo occidentale.
Da dove deriva e quali caratteristiche ha questa forte manifestazione di paura che diventa, quando si diffonde nell'intera società, vera e propria fobia ossessiva di massa?
Ma soprattutto cosa possiamo obiettare noi che da sempre sosteniamo che è proprio lo Stato che causa il delitto.
Recentemente sono apparse delle nuove e sicuramente interessanti analisi ed osservazioni di chiara matrice libertaria dovute ad un criminologo di fama mondiale quale è Nils Christie (Il business penitenziario, Elèuthera, Milano 1996; "Il crimine non esiste", in: Libertaria, a. 3 n. 1, Milano, gennaio-marzo 2001).
Queste tesi capovolgono il termine classico della questione della criminalità dimostrando, dati alla mano, di come crimine e Stato, devianza e interessi economici, siano speculari e si alimentino sia concretamente che ideologicamente in modo reciproco.
Ma credo che queste pur illuminanti considerazioni vadano arricchite da altre osservazioni e soprattutto da nuovi punti di domanda che possano allargare sempre più la ricerca di risposte alternative a quelle che troppo pigramente e frettolosamente i governi, la politica, le religioni più o meno fondamentaliste oggi danno.
La progressiva sgretolazione del tessuto sociale esalta una falsa libertà dell'individuo che va marcatamente a scapito di una dimensione più collettiva della libertà individuale. Questa "libertà" basata sull'assenza di rispetto per la medesima libertà degli altri, o meglio questa non libertà che è tale proprio perché non si compie attraverso la medesima libertà degli altri (Bakunin, Kropotkin docet), si fonda sul disinteresse del bene comune e sul conformismo ed è assolutamente illusoria e insignificante, e trova la sua massima espressione nel consumismo generale imposto dal mercato globale.
Questa realtà provoca (Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000) una tormentata solitudine, sfiducia e precarietà esistenziale dell'uomo occidentale e gli stati e i governi, la Politica di destra come di sinistra fanno a gara per concentrare l'attenzione dei cittadini sul tema della sicurezza personale. Naturalmente questa voluta attenzione sul tema della sicurezza personale nutre costantemente l'ideologia della paura, la alimenta, la rinforza in un processo che trasforma l'incertezza in ansia, in fobia sociale.
A sua volta attraverso la cultura della banalità, che è lo scambiare la routine con il massimo della saggezza, si diffonde e si insinua la risposta unica e universale alla paura, vale a dire l'ideologia dell'uso della forza come antidoto all'incertezza.
Insomma in un insieme di commistioni e interferenze paura e uso della forza si autoalimentano reciprocamente e l'uomo globalizzato diventa sempre più l'agente di uno Stato diffuso e interiorizzato.

 

Individualismo sfrenato

La dimensione sociale dell'incertezza serve esclusivamente ad alimentare una sorta di autoconvinzione interiorizzata che promuove un individualismo sfrenato volto a produrre un immaginario specifico, anche se generale, di bisogno di ordine e difesa da tutto ciò che può rappresentare un ulteriore elemento di insicurezza o devianza.
La funzione dello Stato non si risolve più tanto, o meglio esclusivamente, nel salvaguardare e difendere gli interessi di classi o ceti dominanti, quanto piuttosto nel perpetuarsi in ogni singolo individuo, nel far diventare i valori sociali dominanti dei valori universali attraverso una interiorizzazione personale dell'ordine e della disciplina, uniche risposte concesse alla inevitabile ansia che produce la globalizzazione.
Nella vita contemporanea la dimensione del gioco dei consumatori post-moderni diventa abitudine e si ridefinisce attraverso regole che mutano continuamente nel corso della medesima partita. Il vivere alla giornata diventa sempre più il principio guida di questa condizione esistenziale nella quale, inevitabilmente, si alimenta e perpetua una insicurezza specifica che a sua volta produce proprio quella paura che trova risposte esclusivamente nell'interiorizzazione della logica dello Stato. Così il punto fermo della strategia di vita post-moderna non è certo la costruzione di una specifica e originale identità, ma l'evitare ogni fissazione, la scomparsa della dimensione del pellegrino a favore di quella del turista consumatore (Z. Bauman, La società dell'incertezza, Il Mulino, Bologna 1999).
Ecco quindi che viene barattata per "caduta dei valori" quello che invece è in realtà un "conflitto tra valori diversi" (U. Beck, I rischi della libertà, Il Mulino, Bologna 2000) che vede i ribelli, gli alieni, dissentire dall'universalismo totalizzante, rivendicare alternativamente la propria individualità autonoma in una nuova dimensione sociale.
Alla paura dell'incertezza della globalizzazione è opportuno rispondere attraverso una nuova ridefinizione del comunitarismo libertario, attraverso la riscoperta dell'autenticità dell'individuo, della sua specificità e originalità, attraverso la valorizzazione della diversità naturale, in una logica di nuovo egualitarismo della varietà e della pluralità.
La fuga dalla realtà in una dimensione virtuale dell'esistenza va combattuta e contrastata con lo sviluppo di un profondo senso di comunità, di comunione delle differenze, in contesti e luoghi che riscoprano la ricchezza dell'agorà, dove le proprie ansie e paure, le proprie salutari incertezze possano trovare, nel confronto e nello scambio, non più solo simbolico, dei caratteri della propria esistenza, senso e risposte positive piuttosto che fughe dalla libertà.

 

Scontro e confronto

Le risposte all'interiorizzazione della logica dello Stato, alla sua necessità ancor più urgente di alimentare la richiesta di coercizione e di trasferirla il più possibile nella coscienza collettiva, non possono che avvenire svelando l'inganno che sottintende alla diffusa richiesta di sicurezza. La paura non deve penetrare la nostra esistenza, non può affilare la nostra vita sociale, può essere esorcizzata solo se ricondotta alla sua strumentale significanza politica ed ideologica.
L'intolleranza nei confronti dell'ebreo post-moderno è diventata ormai qualche cosa di più attivo, tanto da trasformarsi in una vera e propria esclusione feroce dell'altro, del diverso, ma soprattutto è arrivata ad incunearsi nel profondo del nostro immaginario fino a fondare una nuova idea antropologica del male, così profonda e falsa da essere scambiata come ideologia della natura umana.
D'altro canto le trame del dominio non possono che reggersi su psicologie di massa che, in epoca di globalizzazione, devono pervenire nel profondo della cultura individuale. La falsa differenza e libertà del capitalismo transnazionale si nutre in realtà di una assimilazione spaventosa alla quale si oppone però una strisciante e originale nuova forma di opposizione sociale che sceglie deliberatamente di stare fuori, talvolta con tratti fondamentalisti, dall'unicità imposta. Continua insomma, quasi per autocorrezione naturale, il crescere di forme e simboli alternativi, risposte estremizzate, ma anche consapevoli e razionali soluzioni organizzative libertarie, che riscoprono il senso di un nuovo comunitarismo. Ancora una volta l'anarchia si dimostra essere una teoria e una pratica dell'organizzazione sociale piuttosto che un indubbio ed equivoco totalmente altro.
Dentro queste straordinarie vitalità è possibile costruire un incrocio dialogico di scambio e confronto, è possibile trovare risposte certe ed immediate all'ansia e alla paura, ma soprattutto è possibile intravedere i germi di una nuova umanità.

Francesco Codello