Premessa
La competizione sul lavoro, la soddisfazione gerarchica, l’arricchimento,
l’indifferenza nei confronti degli altri, il lavoro come strumento
per fare denaro, il denaro come interesse primario dell’esistenza,
il mito del progresso, la “compassione verso i poveri”, l’attenzione
mediatica alle tragedie altrui, la presunzione sono espressioni
di una greve che negli ultimi venti anni è stata condivisa e
praticata da estesi settori della società.
I risultati elettorali sono la rappresentazione della scarsa
incisività che idee e comportamenti afferenti a modelli diversi
di convivenza e di relazioni con l’ambiente hanno avuto negli
ultimi anni.
Riaprire il dialogo con l’intera società uscendo dai fittizi
limiti delle enclavi in cui il pensiero, anche quello libertario,
si è rinchiuso, riparlare e mostrare percorsi diversi sembra
essere prospettiva inalienabile.
Genova
Nei giorni seguenti le manifestazioni di luglio a Genova i media
hanno dato grande spazio alla descrizione delle giornate. In
quei giorni sono state raccolte documentazioni atte a ricostruire
gli eventi anche per chi, seppure presente, non era in condizione
di ricomporne il quadro complessivo. Le osservazioni che seguono
non mirano a ricostruire né ad interpretare l’accaduto ma piuttosto
a sviluppare, sotto forma di note, alcune considerazioni stimolate
dagli eventi stessi.
Il fuoco e la polveriera
La quantità e la durata delle provocazioni attuate, l’insistenza
con cui le forze dell’ordine sono intervenute sui manifestanti
fa presupporre che si attendesse una reazione molto più violenta,
diffusa e generalizzata, reazione che avrebbe reso meno evidenti
le provocazioni e avrebbe giustificato la repressione.
Il presupposto era che le frange più “agitate” del movimento
(immaginato erroneamente simile nei caratteri a quello degli
anni settanta), se adeguatamente stimolate, potessero generare
una reazione violenta che interessasse diffusamente i manifestanti.
Questo sta a dimostrare come si siano ignorate o non si sia
stati in grado di capire, da parte delle forze di polizia, le
differenze interne al movimento e del movimento la stessa natura,
ed ha pretestuosamente e presuntuosamente dato motivo di credere
che questa fosse l’occasione per eliminare una fastidiosa opposizione,
supponendo che bastasse un fuoco per fare scoppiare la polveriera.
Violenza
In Italia negli ultimi trenta anni non vi è stata nessuna azione
violenta, seppur considerata di autodifesa, da parte di movimenti
di opposizione che abbia apportato miglioramenti delle
condizioni sociali, culturali, ambientali. Anzi l’uso della
violenza, anche quando messa in atto da definiti gruppi numericamente
minoritari, è stato utilizzato dallo stato per controllare,
isolare, criminalizzare attività e persone.
Non è comprensibile come si possa giustificare, se non addirittura
sostenere, una prassi che è gia stata così infruttuosa e tragica
proprio per i movimenti di opposizione e che quando riproposta
favorisce lo sviluppo degli stessi meccanismi di repressione
così infelicemente sperimentati in passato.
L’utilizzo della violenza è ingiustificato e inaccettabile in
modo particolare quando si presenta come atto autoritario nei
confronti di tutti coloro che, non praticandola né condividendola,
ne subiscono comunque gli esiti fisici e politici. L’uso della
violenza, in particolare durante le manifestazioni, rende indefinite
le responsabilità e indirizza l’esito della protesta imponendone
il livello di confronto.
Alla violenza del sistema non si può rispondere adottando gli
stessi criteri, ed il menare le mani, per quanto liberatorio,
non può far parte di un modello auspicabile. Le azioni praticate
come forme di denuncia sociale dovrebbero lasciare emozioni
interessanti, suscitare la critica al modello esistente, stimolare
la riflessione, mettere in atto nei comportamenti e negli obiettivi
parte di quella realtà che potrebbe essere e che si propone
come alternativa.
Una bandiera
Il giorno dei funerali di Giuliani un giornalista scriveva:
“...una bandiera della Roma, due birre, la sua vita tutta qui”
alludendo alla semplicità dei comportamenti del giovane ucciso.
Perché la bandiera di una squadra di calcio? Il ragazzo era
un tifoso, forse. E nonostante il calcio mercato, l’ignominia
di uno sport di professione, l’indecenza degli stipendi dei
calciatori, l’assurdo di un mondo viziato, assolutamente prono
al modello consumistico, e nonostante l’imbecillità clamorosa
dei tifosi, e la pericolosità del tifo, questo ragazzo non era
critico nei confronti di questo modello anzi lo supportava così
intensamente da essere avvolto, da morto, in quella bandiera.
Eppure era così convinto di un modello alternativo che è stato
ammazzato per questo. Oppure non era esattamente così. Oppure
le parole del padre “era contro le ingiustizie” sintetizzano
la complessiva consapevolezza del giovane. Un po' poco per chi
combatte contro la globalizzazione, per chi ritiene di aver
individuato nei carabinieri il principale obiettivo della sua
partecipazione. Un po' poco per essere ammazzato.
Una profonda promiscuità tra comportamenti afferenti a sfere
diverse e contrapposte; un terrificante indicatore, di quanto
stare da una parte o da un’altra possa essere una faccenda di
tifo, di simpatia, di eredità familiari.
Il Black Bloc
Non si comportano da anarchici e data l’importanza che, nell’area
di pensiero anarchico, ha la contiguità e l’omogeneità tra mezzo
e fine, si può sostenere che non siano anarchici. Credono di
esserlo, lo potranno diventare, ma oggi, ora, non sono anarchici.
A Genova non si sono comportati da anarchici per le seguenti
motivazioni:
1. non vi è stata chiarezza nel loro fare. Non vi è un pensiero
di riferimento, un desiderio espresso. L’agire emotivo e rabbioso
ha apparentemente permeato ogni loro azione. Hanno marginalizzato
qualsiasi rapporto con gli altri e deriso ogni forma di presenza
diversa dalla loro tacciandola per riformista e compromessa.
2. l’obiettivo che si pongono è stato di ridotto significato.
Non risulta che abbiano fatto altro che rompere vetrine, auto
e cassonetti. Se l’interesse è nel gesto simbolico sarebbe bastato
l’assalto ad un solo negozio rappresentativo per comunicare
un messaggio emblematico.
3. hanno avuto una forma di autorappresentazione ridicola e
inutilmente spettacolare (i tamburi e le bandiere, le marcette
e i passi battuti); un modo lugubre di presentarsi che risponde
maggiormente ai criteri e alle buffonate (tragiche e pericolose)
dei nazisti.
4. erano militarizzati, hanno avuto dei capi, sono stati ubbidienti
agli ordini impartiti.
5. non hanno rivendicato personalmente le azioni, hanno agito
a viso coperto, si sono cambiati per rientrare nel corteo mischiandosi
con i manifestanti.
6. hanno lavorato a cottimo. Se uno è nervosetto spacca una
vetrina (grande soddisfazione: una serie di colpi, l’infrangersi
dei vetri); se uno è molto nervoso spacca molte vetrine e rivolta
qualche cassonetto. Ma se uno ribalta per chilometri tutti i
cassonetti dell’immondizia, con lo sforzo fisico che questo
atto comporta e con la scarsa soddisfazione che può dare, senza
essere inseguito, senza cambiare gesto, allora lavora a cottimo.
7. si sono comportati da provocatori nei confronti del movimento,
portando disagi, tirandosi dietro più volte la polizia sul corteo,
divenendo motivazione dello scatenarsi della frustrazione delle
forze dell’ordine. L’esito delle loro azioni ha leso gli interessi
dei manifestanti più che quelli di qualunque altro soggetto
(inclusi i negozianti e le multinazionali che si sono viste
rifondere i danni dallo stato).
Se fra i Black Bloc vi fossero delle persone che si ritengono
anarchiche è assolutamente necessario che alla luce di quanto
successo ripensino il loro modo di agire anche perché a Genova:
1. il Black Bloc è stato pieno di provocatori. Si ricordano
le interviste in cui un Black Bloc si dichiarava “nazi che veniva
a Genova per fare casino con i fratelli italiani in quanto protetti”.
Si ricordano le frasi incongrue sentite e riportate sulla stampa
tra cui un “parliamo tricolore” pronunciata da un Black Bloc
ad altri che parlavano inglese (denota che chi parlava era italiano
e usava una terminologia di destra). Si ricordano le scritte
in gotico latino e i tatuaggi (tra cui alcune croci celtiche)
tutte di chiara matrice di destra.
2. il Black Bloc è stato pieno di infiltrati delle forze dell’ordine.
Si ricordano le numerose foto di gente vestita di nero con spranghe
vicino ai carabinieri e alla polizia.
3. il Black Bloc è stato protetto nel corso delle sue azioni.
Le forze dell’ordine sono sempre arrivate dopo molto tempo dal
compimento delle azioni; i Black Bloc non sono mai stati affrontati
anche quando la polizia era chiamata direttamente ad intervenire;
i Black Bloc hanno avuto invece sostenuto alcuni contrasti con
i manifestanti.
4. infine il Black Bloc ha avuto gran parte della propria genesi
all’interno di uno strumento autoritario, atopico, di genesi
militare, di sicuro controllo e gestione poliziesca quale è
internet. Uno strumento presentato come il più libertario sistema
di comunicazione ma in realtà già in origine il più efficace
sistema di controllo e di gestione delle persone mai reso operativo,
l’unico che consente il controllo di tutti i messaggi e l’inserimento
di qualunque informazione senza che di essa si riesca a risalire
all’origine. Internet è una struttura non verticistica ma in
cui vi è un soggetto che possiede tutte le chiavi tecniche per
verificare, localizzare, creare messaggi che, ad esempio, sostanzino
un modo di fare, facciano crescere la tensione, ingrandiscano
artatamente una componente, quali i Black Bloc, senza luogo,
senza cultura, senza obiettivi, senza relazioni proprio come
internet.
Se vi sono persone che non hanno avuto dubbi, dopo Genova, almeno
sull’uso strumentale dell’agire dei Black Bloc, né sulla loro
efficacia ai fini governativi e nocumento per il movimento,
né su come siano stati asilo di provocatori e infiltrati, né
su come siano stati esecutori di direttive programmate e auspicate,
non abbiamo la possibilità di giustificarli.
Il dopo Genova: la rincorsa
In Italia vi è una sinistra composta dalla sinistra dei DS e
dell’Ulivo, da Rifondazione e da una serie di organizzazioni
sociali e sindacali di fondamento marxista; per tutte queste
realtà l’antiglobalizzazione è divenuta, dopo Seattle, tema
d’interesse comune.
L’impressione è che una volta che l’antiglobalizzazione si è
manifestata come “movimento di massa” e quindi sia rientrata
all’interno degli schemi interpretativi di questa sinistra,
l'interesse sia aumentato enormemente.
Questa sinistra ha svolto in un recente passato una opposizione,
seppure molto limitata, al modello sociale ed economico vigente
ed ora vuole avere un ruolo egemonico nel movimento. Non è per
cattiveria ma per metodo; come già nel ‘68 e nel ‘77 la sinistra
non partecipa ai movimenti ma li guida. E’ scritto così sui
libri di teoria e non ne può fare a meno. I movimenti nascono
fuori dalla istituzionalità di questa sinistra ed essa attua
una rincorsa sistematizzatrice necessaria a porla all’avanguardia,
o più spesso alla testa di questi: il movimento è qualcosa da
aggiustare, condurre, regolarizzare, educare.
Quella mostrata è una totale incapacità, da parte di queste
forze, di stare all’interno di un movimento accettandolo per
quale è ed una irrefrenabile volontà di indirizzo e gestione
dei risultati, proponendo temi afferenti alla propria strategia,
anche quando estranei alle altre componenti del movimento, al
solo fine di rafforzarsi usandolo come cassa di risonanza e
di gestione dell’opposizione, spesso al solo fine istituzionale.
Da molto, molto prima che se ne accorgesse la sinistra italiana
nel mondo stava già crescendo l'opposizione al modello globale:
in India, ad esempio, la banca per salvare i semi e proteggere
la biodiversità è stata avviata nel 1988, le lotte contro gli
impianti industrializzati di gamberetti nel 1994, l’opposizione
alle sovvenzioni per l’olio di semi nel 1998.
La sinistra allora si guardava la punta dei piedi pensando a
come inserire queste opposizioni all’interno del tessuto dei
propri dogmi o a come utilizzare tali temi nelle strategie di
appoggio o di opposizione al governo, invitando ogni tanto gli
esponenti di queste lotte sui propri giornali solo in quanto
esponenti di opposizione all’“impero”.
Le potenzialità del movimento
I temi antiglobalizzazione sono chiari, comprensibili da tutti,
non sono portatori di dietrologie, non si basano su teorie sclerotiche,
non prendono posizionamento di riflesso: la globalizzazione
è ingiusta e non perché si è contro qualcuno ma perché si è
a favore di qualcosa.
I partecipanti al movimento non si identificano completamente
con le singole organizzazioni, anche per il carattere spesso
tematico delle stesse, e il movimento è largamente composto
da persone in grado di portare avanti proprie riflessioni e
attività indipendentemente dalle organizzazioni politiche.
La scarsa rappresentatività dei leader, il linguaggio piano,
la struttura di pensiero semplice, la distanza da modi di parlare
e di coesistere con il potere, la lontananza da un modello di
politica - tipico della sinistra anche extra parlamentare -
sempre volto ad avere come principale interlocutore il parlamento,
le altre forze politiche, i media, la mancanza di cariatidi
intellettuali, la marginalità dell’obiettivo di gestire ed egemonizzare
il movimento garantisce una freschezza enorme, una disponibilità
nel capire e nel farsi capire che non ha mai avuto in Italia
e nel mondo negli ultimi trent'anni simili potenzialità.
Alcune idee innovative
Parti del movimento hanno elaborato una critica sociale molto
interessante che solo parzialmente è patrimonio diffuso. In
particolare queste idee, che scaturiscono o si avvicinano al
tessuto elaborativo libertario, in molti casi sono lontanissime
dal portato culturale della sinistra tradizionale italiana.
• Opposizione all’industrializzazione. L’industrializzazione
è la condizione principale della globalizzazione. L’industrializzazione
aumenta i profitti della produzione e del mercato, omogeneizza
le necessità e la domanda, schiaccia le culture e le comunità
locali; per questo non può essere ritenuta lo strumento per
raggiungere il benessere, nemmeno quello economico.
• Non solo benessere materiale. Per anni ampie fasce
dell’opposizione, nei paesi ricchi, si sono concentrate su di
una conflittualità afferente al benessere materiale. Una volta
garantita una sopravvivenza dignitosa, la rivendicazione si
sposta verso un ambito riduttivo fatto, per gran parte, della
possibilità di acquisire oggetti (e quindi merce) e denaro,
ovvero dei medesimi criteri su cui si fonda il sistema dei profitti.
La ricerca di benessere afferisce alla qualità sociale e quindi
non solo ai servizi, alle attività, alle merci ma al tessuto
connettivo, alle relazioni, al mantenimento dell'autonomia culturale,
produttiva e creativa delle comunità e degli individui.
• Diversità dei modelli sociali praticabili. Le soluzioni
proposte dall’antiglobalizzazione non afferiscono ad un modello
sociale unico, come per anni è stato perseguito dalla sinistra.
Le società si definiranno autonomamente, nell’applicazione di
criteri antiautoritari ai contesti locali, e ciascuna avrà una
sua propria connotazione.
• Una società improduttiva. Una volta raggiunto un benessere
materiale minimale, la società da perseguire è assolutamente
improduttiva. Nessun accumulo e superproduzione, il benessere
si ottiene dalla nulla facenza, dal coltivare il proprio piacere.
• Il non progresso. Gran parte del mondo contemporaneo,
e con esso gran parte della sinistra, è vittima del progresso,
lo sostanzia, ci crede e crede nell’innovazione tecnologica.
Le attività più significative dell’azione antiglobalizzatrice
sono state volte quanto più possibile alla conservazione e all’utilizzo
dei sistemi e delle tecnologie tradizionali (perché conservavano
e suggerivano un rapporto equilibrato tra uomini e ambiente),
quelle più appropriate alle condizioni ambientali e sociali
esistenti. Mai hanno sostenuto l’innovazione fine a se’ stessa.
• Una nuova conflittualità. Attuare un confronto non
di massa ma di individui, con azioni proprie, anche isolate,
non necessariamente omogenee, non inquadrate, non guidate o
condotte o dirette è il criterio che guida la nuova conflittualità.
In questo contesto non c’è ruolo per il partito, non c’è ruolo
per la sovrastruttura organizzativa e neppure per coloro che
articolano e adeguano le singole azioni al pensiero definito.
C’è una rivendicazione di autonomia e di confronto, di conservazione
della diversità e di difesa dal potere; c’è spazio per tutti
i modelli sociali possibili che non siano imposti e che non
siano dannosi nei confronti dell’ambiente degli uomini. Ed in
questo la conflittualità basata sulla lotta di classe non è
assolutamente adeguata.
• La consapevolezza di essere sfruttato e sfruttatore.
Le società del nord del mondo debbono gran parte della loro
ricchezza allo sfruttamento delle risorse e della popolazione
del sud del mondo.
• Un qualunque cittadino del nord è, direttamente o indirettamente,
parte di questo mondo di sfruttatori ed il suo “benessere”,
risibile nei confronti di quello dei “ricchi” occidentali ma
enorme nei confronti dei “poveri” del mondo, è ottenuto attraverso
il consumo di risorse ambientali e sociali dei paesi poveri.
In questo modello chi trae il massimo beneficio è l’imprenditore,
ma le fittizie esigenze e il desiderio diffuso di consumo sono
il motore dell’implementation del mercato e quindi del consumo
di risorse.
• E questo avviene anche quando si tratti di un operaio con
la tessera del sindacato e convinto oppositore dei governi imperialisti;
esso assume, di fatto e suo malgrado, il doppio ruolo di sfruttato
e di sfruttatore.
• Per quanti l’adorazione dell’automobile supera la necessità,
o il desiderio di acquisizione del quinto orologio è motivo
di esistenza ? Chi se non ventisei milioni di utenti in cinque
anni ha permesso, attraverso l’abuso della telefonia, di costituire
soggetti così potenti da indirizzare la politica del paese?
Chi se non le decine di milioni di video dipendenti hanno sostenuto
economicamente, prima ancora che politicamente, l’ascesa e il
governo dell’attuale presidente del consiglio?.
• Quanti di questi sono sfruttati ma quanti di questi hanno
contribuito con il loro agire ad impoverire il resto del mondo,
a destrutturare l’ambiente, a creare soggetti autoritari e intoccabili?
• Diviene dunque risolutivo saper affrontare questa condizione
di sfruttatore- sfruttante attraverso la responsabilizzazione
dei cittadini e non addebitando esclusivamente tutte le responsabilità
sui cattivi, altri da sé.
• Le contrapposizioni. Sindacati difendono i lavoratori
delle fabbriche d’armi, degli impianti industrializzati di gamberetti,
dell’olio di semi, delle automobili; e accettano i criteri degli
imprenditori secondo i quali per conservare il lavoro bisogna
produrre di più e quindi avere più automobili, mangiare più
gamberetti, condire con l’olio di semi. Ciò avviene anche quando,
così facendo, si provoca la totale distruzione di comunità locali
e dell’ambiente che è terreno di lavoro per quelle comunità;
ma questi ambiti non rientrano nella conflittualità tradizionale
a cui si attribuisce legittimità, e quindi non saranno oggetto
d’interesse fin quando non saranno riaggregate all’interno di
una opposizione gestita e di massa.
• Nessun dogmatismo. Non si tratta di girare con dei
santini, di avere soluzioni prefabbricate, ma di elaborare specificamente
e indipendentemente, ciascuno sulla base delle condizioni locali,
per trovare soluzioni ambientalmente sostenibili e socialmente
apportatrici di benessere per tutte le comunità.
• Nessuna voglia di potere. Molte organizzazioni politiche
afferenti al movimento antiglobalizzazione si muovono nell’ambito
di coloro che aspirano al potere politico, ritenuto lo strumento
che solo possa permettere la gestione della società. La loro
cultura è più attenta agli strumenti e alle pratiche per l’acquisizione
del potere che alla creazione di soggetti autonomi in grado
di ridurre il peso del potere stesso.
• Attuazioni parziali di un mondo futuro. Negli ultimi
mesi si è riscontrato un aumento della consapevolezza circa
la possibilità di poter modificare il sistema sociale esistente,
anche attraverso il personale comportamento. Questa consapevolezza
rende maggiormente omogenei i mezzi ai fini uscendo da quella
alienazione continua in un mondo migliore futuro e in un presente
caratterizzato dalla frustrazione di comportamenti ripetuti,
in cui i singoli sono deresponsabilizzati e il sistema colpevolizzato.
Per un mondo migliore è necessario anche un uomo migliore.
• La sostanzialità della questione ambientale. Ambiente
e società sono strettamente collegati e non può esservi società
migliore senza la ricomposizione di un ambiente qualificato
e naturalmente equilibrato.
• La politica dell’essere. La consapevolezza di se stessi,
delle proprie capacità, la capacità di continuità e autonomia
personale, la continuità dell’agire, del fare per quello che
si è, con tutte le diversità che ciò comporta è più conflittuale
della mobilitazione di masse.
• La politica delle differenze. Ogni individuo è differente,
e l’antiglobalizzazione ha appunto nella diversità il più incisivo
strumento di conflitto con l’establishment. L’azione di opposizione
non si guida ma si forma appunto dal relazionarsi.
• La ricongiunzione tra politica e piacere. La politica
per anni è stata ed è ancora oggi luogo di alienazione, di parole
spesso vuote, di linguaggio e strategie autoreferenziate, piena
di frustrazioni, carriere, leader e portavoci, scambi, strategie
e tattiche. Non è certo questo il modo migliore per interessare
nuove persone, per affascinarle ad un progetto. E’ possibile
una ricongiunzione tra politica e piacere quando ciascuno svolge
le attività che ha piacere di svolgere, perché in ciascuna di
esse, se attuate in maniera critica, vi è un pezzo di modello
realizzato.
• Al di fuori dell’economia. Le azioni sono svolte al
di fuori dei parametri economici del profitto. Il prezzo della
merce riconosce, oltre ai costi, anche altri fattori e dunque
non rappresenta più il puro valore commerciale degli oggetti.
Gli oggetti del commercio alternativo valgono di più non perché
costano di più ma perché rappresentano il valore ambientale,
culturale e sociale dell’oggetto, e questo è incompatibile con
l’analisi storicamente accreditata dell’economia del sistema
sociale.
Alcune considerazioni per il futuro
L’attenzione nei confronti dei temi antiglobalizzazione e l’avvicinamento
ad una pratica sociale mossa dalla sensibilità a questi temi
rende possibile ipotizzare una stagione positiva nel dibattito
e la possibilità di estensione della coscienza specifica.
Per fare questo è necessario mantenere a livello sociale una
conflittualità decisa ma fredda, nonviolenta ma niente affatto
arrendevole, che renda difficile la creazione di pregiudizi,
che eviti lo schierarsi in due fronti opposti se non sul piano
complessivo.
La sensibilizzazione al dissenso deve svolgersi oltre le manifestazioni,
persino indipendentemente da esse, continuativamente, mettendo
in atto quel comportamento individuale che subito rallenti il
potenziamento del modello vigente e del mercato e subito divenga
esempio e proposizione.
Trovare una propria maniera di essere propositivi anche individualmente;
parlare poco e fare; mettersi in relazione con altri soggetti;
essere responsabile delle proprie azioni; non sclerotizzarsi,
inquadrandosi, in organizzazioni strutturate; trovare piacere
in quello che si fa; non alienarsi per un mondo migliore ma
cercare di stare bene con la realizzazione di parte di quel
modello auspicato; rimanere sempre parte attiva della società.
Adriano Paolella
No
global: un volantone bilingue
A Genova durante le manifestazioni anti-G8,
ne sono state distribuite migliaia di copie. E molte di
più avrebbero potuto esserlo se la violenza poliziesca
non avesse provocato quel che ha provocato. Ci riferiamo
al volantone biblingue italiano/inglese curato da Adriano
Paolella e Zelinda Carloni e pubblicato nelle pagine centrali
dello scorso numero di "A".
Altre migliaia ne abbiamo ancora a disposizione di chiunque
desideri ordinarlo. Ricordiamo che il volantone (16 pagine,
formato A4) non ha un'indicazione di prezzo (può
essere distribuito gratis, ad offerta libera o al prezzo
che i singoli diffusori fisseranno) e viene da noi venduto
a 250 lire, spese di spedizione postale comprese. L'ordinativo
minimo è di 40 copie (per un importo di 10.000
lire). Per ordinativi da 200 copie in su, il prezzo scende
a 200 lire l'uno. Il pagamento va effettuato anticipatamente
sul nostro conto corrente postale, specificando chiaramente
nella casuale il quantitativo richiesto. Non si effettuano
spedizioni postali contrassegno.
No
global: una mostra e un cd
È
a disposizione una mostra composta di 6 tavole 100×70
cm sul tema della globalizzazione. Il contenuto della
mostra è una sintesi del volantone curato da Adriano
Paolella e Zelinda Carloni e pubblicato sullo scorso numero
di "A" (n. 274 - estate 2001). La mostra è
disponibile anche su cd. Il costo è quello della
spedizione. Per informazioni rivolgersi al curatore dell'iniziativa
Gianluca Guidotti, e-mail: guid8@tiscalinet.it
(o, se non si utilizza l'e-mail, contattare la redazione
di "A", che provvederà a trasmettere
la richiesta a Gianluca).
|
|