rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


G8

Anarchici, Black Bloc, movimento antiglobalizzazione
di Adriano Paolella

Per una conflittualità nonviolenta: alcune riflessioni sulle giornate di Genova

Premessa

La competizione sul lavoro, la soddisfazione gerarchica, l’arricchimento, l’indifferenza nei confronti degli altri, il lavoro come strumento per fare denaro, il denaro come interesse primario dell’esistenza, il mito del progresso, la “compassione verso i poveri”, l’attenzione mediatica alle tragedie altrui, la presunzione sono espressioni di una greve che negli ultimi venti anni è stata condivisa e praticata da estesi settori della società.
I risultati elettorali sono la rappresentazione della scarsa incisività che idee e comportamenti afferenti a modelli diversi di convivenza e di relazioni con l’ambiente hanno avuto negli ultimi anni.
Riaprire il dialogo con l’intera società uscendo dai fittizi limiti delle enclavi in cui il pensiero, anche quello libertario, si è rinchiuso, riparlare e mostrare percorsi diversi sembra essere prospettiva inalienabile.

Genova

Nei giorni seguenti le manifestazioni di luglio a Genova i media hanno dato grande spazio alla descrizione delle giornate. In quei giorni sono state raccolte documentazioni atte a ricostruire gli eventi anche per chi, seppure presente, non era in condizione di ricomporne il quadro complessivo. Le osservazioni che seguono non mirano a ricostruire né ad interpretare l’accaduto ma piuttosto a sviluppare, sotto forma di note, alcune considerazioni stimolate dagli eventi stessi.


Il fuoco e la polveriera

La quantità e la durata delle provocazioni attuate, l’insistenza con cui le forze dell’ordine sono intervenute sui manifestanti fa presupporre che si attendesse una reazione molto più violenta, diffusa e generalizzata, reazione che avrebbe reso meno evidenti le provocazioni e avrebbe giustificato la repressione.
Il presupposto era che le frange più “agitate” del movimento (immaginato erroneamente simile nei caratteri a quello degli anni settanta), se adeguatamente stimolate, potessero generare una reazione violenta che interessasse diffusamente i manifestanti.
Questo sta a dimostrare come si siano ignorate o non si sia stati in grado di capire, da parte delle forze di polizia, le differenze interne al movimento e del movimento la stessa natura, ed ha pretestuosamente e presuntuosamente dato motivo di credere che questa fosse l’occasione per eliminare una fastidiosa opposizione, supponendo che bastasse un fuoco per fare scoppiare la polveriera.


Violenza

In Italia negli ultimi trenta anni non vi è stata nessuna azione violenta, seppur considerata di autodifesa, da parte di movimenti di opposizione che abbia apportato miglioramenti delle condizioni sociali, culturali, ambientali. Anzi l’uso della violenza, anche quando messa in atto da definiti gruppi numericamente minoritari, è stato utilizzato dallo stato per controllare, isolare, criminalizzare attività e persone.
Non è comprensibile come si possa giustificare, se non addirittura sostenere, una prassi che è gia stata così infruttuosa e tragica proprio per i movimenti di opposizione e che quando riproposta favorisce lo sviluppo degli stessi meccanismi di repressione così infelicemente sperimentati in passato.
L’utilizzo della violenza è ingiustificato e inaccettabile in modo particolare quando si presenta come atto autoritario nei confronti di tutti coloro che, non praticandola né condividendola, ne subiscono comunque gli esiti fisici e politici. L’uso della violenza, in particolare durante le manifestazioni, rende indefinite le responsabilità e indirizza l’esito della protesta imponendone il livello di confronto.
Alla violenza del sistema non si può rispondere adottando gli stessi criteri, ed il menare le mani, per quanto liberatorio, non può far parte di un modello auspicabile. Le azioni praticate come forme di denuncia sociale dovrebbero lasciare emozioni interessanti, suscitare la critica al modello esistente, stimolare la riflessione, mettere in atto nei comportamenti e negli obiettivi parte di quella realtà che potrebbe essere e che si propone come alternativa.


Una bandiera

Il giorno dei funerali di Giuliani un giornalista scriveva: “...una bandiera della Roma, due birre, la sua vita tutta qui” alludendo alla semplicità dei comportamenti del giovane ucciso.
Perché la bandiera di una squadra di calcio? Il ragazzo era un tifoso, forse. E nonostante il calcio mercato, l’ignominia di uno sport di professione, l’indecenza degli stipendi dei calciatori, l’assurdo di un mondo viziato, assolutamente prono al modello consumistico, e nonostante l’imbecillità clamorosa dei tifosi, e la pericolosità del tifo, questo ragazzo non era critico nei confronti di questo modello anzi lo supportava così intensamente da essere avvolto, da morto, in quella bandiera.
Eppure era così convinto di un modello alternativo che è stato ammazzato per questo. Oppure non era esattamente così. Oppure le parole del padre “era contro le ingiustizie” sintetizzano la complessiva consapevolezza del giovane. Un po' poco per chi combatte contro la globalizzazione, per chi ritiene di aver individuato nei carabinieri il principale obiettivo della sua partecipazione. Un po' poco per essere ammazzato.
Una profonda promiscuità tra comportamenti afferenti a sfere diverse e contrapposte; un terrificante indicatore, di quanto stare da una parte o da un’altra possa essere una faccenda di tifo, di simpatia, di eredità familiari.


Il Black Bloc

Non si comportano da anarchici e data l’importanza che, nell’area di pensiero anarchico, ha la contiguità e l’omogeneità tra mezzo e fine, si può sostenere che non siano anarchici. Credono di esserlo, lo potranno diventare, ma oggi, ora, non sono anarchici.
A Genova non si sono comportati da anarchici per le seguenti motivazioni:
1. non vi è stata chiarezza nel loro fare. Non vi è un pensiero di riferimento, un desiderio espresso. L’agire emotivo e rabbioso ha apparentemente permeato ogni loro azione. Hanno marginalizzato qualsiasi rapporto con gli altri e deriso ogni forma di presenza diversa dalla loro tacciandola per riformista e compromessa.
2. l’obiettivo che si pongono è stato di ridotto significato. Non risulta che abbiano fatto altro che rompere vetrine, auto e cassonetti. Se l’interesse è nel gesto simbolico sarebbe bastato l’assalto ad un solo negozio rappresentativo per comunicare un messaggio emblematico.
3. hanno avuto una forma di autorappresentazione ridicola e inutilmente spettacolare (i tamburi e le bandiere, le marcette e i passi battuti); un modo lugubre di presentarsi che risponde maggiormente ai criteri e alle buffonate (tragiche e pericolose) dei nazisti.
4. erano militarizzati, hanno avuto dei capi, sono stati ubbidienti agli ordini impartiti.
5. non hanno rivendicato personalmente le azioni, hanno agito a viso coperto, si sono cambiati per rientrare nel corteo mischiandosi con i manifestanti.
6. hanno lavorato a cottimo. Se uno è nervosetto spacca una vetrina (grande soddisfazione: una serie di colpi, l’infrangersi dei vetri); se uno è molto nervoso spacca molte vetrine e rivolta qualche cassonetto. Ma se uno ribalta per chilometri tutti i cassonetti dell’immondizia, con lo sforzo fisico che questo atto comporta e con la scarsa soddisfazione che può dare, senza essere inseguito, senza cambiare gesto, allora lavora a cottimo.
7. si sono comportati da provocatori nei confronti del movimento, portando disagi, tirandosi dietro più volte la polizia sul corteo, divenendo motivazione dello scatenarsi della frustrazione delle forze dell’ordine. L’esito delle loro azioni ha leso gli interessi dei manifestanti più che quelli di qualunque altro soggetto (inclusi i negozianti e le multinazionali che si sono viste rifondere i danni dallo stato).
Se fra i Black Bloc vi fossero delle persone che si ritengono anarchiche è assolutamente necessario che alla luce di quanto successo ripensino il loro modo di agire anche perché a Genova:
1. il Black Bloc è stato pieno di provocatori. Si ricordano le interviste in cui un Black Bloc si dichiarava “nazi che veniva a Genova per fare casino con i fratelli italiani in quanto protetti”. Si ricordano le frasi incongrue sentite e riportate sulla stampa tra cui un “parliamo tricolore” pronunciata da un Black Bloc ad altri che parlavano inglese (denota che chi parlava era italiano e usava una terminologia di destra). Si ricordano le scritte in gotico latino e i tatuaggi (tra cui alcune croci celtiche) tutte di chiara matrice di destra.
2. il Black Bloc è stato pieno di infiltrati delle forze dell’ordine. Si ricordano le numerose foto di gente vestita di nero con spranghe vicino ai carabinieri e alla polizia.
3. il Black Bloc è stato protetto nel corso delle sue azioni. Le forze dell’ordine sono sempre arrivate dopo molto tempo dal compimento delle azioni; i Black Bloc non sono mai stati affrontati anche quando la polizia era chiamata direttamente ad intervenire; i Black Bloc hanno avuto invece sostenuto alcuni contrasti con i manifestanti.
4. infine il Black Bloc ha avuto gran parte della propria genesi all’interno di uno strumento autoritario, atopico, di genesi militare, di sicuro controllo e gestione poliziesca quale è internet. Uno strumento presentato come il più libertario sistema di comunicazione ma in realtà già in origine il più efficace sistema di controllo e di gestione delle persone mai reso operativo, l’unico che consente il controllo di tutti i messaggi e l’inserimento di qualunque informazione senza che di essa si riesca a risalire all’origine. Internet è una struttura non verticistica ma in cui vi è un soggetto che possiede tutte le chiavi tecniche per verificare, localizzare, creare messaggi che, ad esempio, sostanzino un modo di fare, facciano crescere la tensione, ingrandiscano artatamente una componente, quali i Black Bloc, senza luogo, senza cultura, senza obiettivi, senza relazioni proprio come internet.
Se vi sono persone che non hanno avuto dubbi, dopo Genova, almeno sull’uso strumentale dell’agire dei Black Bloc, né sulla loro efficacia ai fini governativi e nocumento per il movimento, né su come siano stati asilo di provocatori e infiltrati, né su come siano stati esecutori di direttive programmate e auspicate, non abbiamo la possibilità di giustificarli.


Il dopo Genova: la rincorsa

In Italia vi è una sinistra composta dalla sinistra dei DS e dell’Ulivo, da Rifondazione e da una serie di organizzazioni sociali e sindacali di fondamento marxista; per tutte queste realtà l’antiglobalizzazione è divenuta, dopo Seattle, tema d’interesse comune.
L’impressione è che una volta che l’antiglobalizzazione si è manifestata come “movimento di massa” e quindi sia rientrata all’interno degli schemi interpretativi di questa sinistra, l'interesse sia aumentato enormemente.
Questa sinistra ha svolto in un recente passato una opposizione, seppure molto limitata, al modello sociale ed economico vigente ed ora vuole avere un ruolo egemonico nel movimento. Non è per cattiveria ma per metodo; come già nel ‘68 e nel ‘77 la sinistra non partecipa ai movimenti ma li guida. E’ scritto così sui libri di teoria e non ne può fare a meno. I movimenti nascono fuori dalla istituzionalità di questa sinistra ed essa attua una rincorsa sistematizzatrice necessaria a porla all’avanguardia, o più spesso alla testa di questi: il movimento è qualcosa da aggiustare, condurre, regolarizzare, educare.
Quella mostrata è una totale incapacità, da parte di queste forze, di stare all’interno di un movimento accettandolo per quale è ed una irrefrenabile volontà di indirizzo e gestione dei risultati, proponendo temi afferenti alla propria strategia, anche quando estranei alle altre componenti del movimento, al solo fine di rafforzarsi usandolo come cassa di risonanza e di gestione dell’opposizione, spesso al solo fine istituzionale.
Da molto, molto prima che se ne accorgesse la sinistra italiana nel mondo stava già crescendo l'opposizione al modello globale: in India, ad esempio, la banca per salvare i semi e proteggere la biodiversità è stata avviata nel 1988, le lotte contro gli impianti industrializzati di gamberetti nel 1994, l’opposizione alle sovvenzioni per l’olio di semi nel 1998.
La sinistra allora si guardava la punta dei piedi pensando a come inserire queste opposizioni all’interno del tessuto dei propri dogmi o a come utilizzare tali temi nelle strategie di appoggio o di opposizione al governo, invitando ogni tanto gli esponenti di queste lotte sui propri giornali solo in quanto esponenti di opposizione all’“impero”.


Le potenzialità del movimento

I temi antiglobalizzazione sono chiari, comprensibili da tutti, non sono portatori di dietrologie, non si basano su teorie sclerotiche, non prendono posizionamento di riflesso: la globalizzazione è ingiusta e non perché si è contro qualcuno ma perché si è a favore di qualcosa.
I partecipanti al movimento non si identificano completamente con le singole organizzazioni, anche per il carattere spesso tematico delle stesse, e il movimento è largamente composto da persone in grado di portare avanti proprie riflessioni e attività indipendentemente dalle organizzazioni politiche.
La scarsa rappresentatività dei leader, il linguaggio piano, la struttura di pensiero semplice, la distanza da modi di parlare e di coesistere con il potere, la lontananza da un modello di politica - tipico della sinistra anche extra parlamentare - sempre volto ad avere come principale interlocutore il parlamento, le altre forze politiche, i media, la mancanza di cariatidi intellettuali, la marginalità dell’obiettivo di gestire ed egemonizzare il movimento garantisce una freschezza enorme, una disponibilità nel capire e nel farsi capire che non ha mai avuto in Italia e nel mondo negli ultimi trent'anni simili potenzialità.


Alcune idee innovative

Parti del movimento hanno elaborato una critica sociale molto interessante che solo parzialmente è patrimonio diffuso. In particolare queste idee, che scaturiscono o si avvicinano al tessuto elaborativo libertario, in molti casi sono lontanissime dal portato culturale della sinistra tradizionale italiana.
• Opposizione all’industrializzazione. L’industrializzazione è la condizione principale della globalizzazione. L’industrializzazione aumenta i profitti della produzione e del mercato, omogeneizza le necessità e la domanda, schiaccia le culture e le comunità locali; per questo non può essere ritenuta lo strumento per raggiungere il benessere, nemmeno quello economico.
• Non solo benessere materiale. Per anni ampie fasce dell’opposizione, nei paesi ricchi, si sono concentrate su di una conflittualità afferente al benessere materiale. Una volta garantita una sopravvivenza dignitosa, la rivendicazione si sposta verso un ambito riduttivo fatto, per gran parte, della possibilità di acquisire oggetti (e quindi merce) e denaro, ovvero dei medesimi criteri su cui si fonda il sistema dei profitti. La ricerca di benessere afferisce alla qualità sociale e quindi non solo ai servizi, alle attività, alle merci ma al tessuto connettivo, alle relazioni, al mantenimento dell'autonomia culturale, produttiva e creativa delle comunità e degli individui.
• Diversità dei modelli sociali praticabili. Le soluzioni proposte dall’antiglobalizzazione non afferiscono ad un modello sociale unico, come per anni è stato perseguito dalla sinistra. Le società si definiranno autonomamente, nell’applicazione di criteri antiautoritari ai contesti locali, e ciascuna avrà una sua propria connotazione.
• Una società improduttiva. Una volta raggiunto un benessere materiale minimale, la società da perseguire è assolutamente improduttiva. Nessun accumulo e superproduzione, il benessere si ottiene dalla nulla facenza, dal coltivare il proprio piacere.
• Il non progresso. Gran parte del mondo contemporaneo, e con esso gran parte della sinistra, è vittima del progresso, lo sostanzia, ci crede e crede nell’innovazione tecnologica. Le attività più significative dell’azione antiglobalizzatrice sono state volte quanto più possibile alla conservazione e all’utilizzo dei sistemi e delle tecnologie tradizionali (perché conservavano e suggerivano un rapporto equilibrato tra uomini e ambiente), quelle più appropriate alle condizioni ambientali e sociali esistenti. Mai hanno sostenuto l’innovazione fine a se’ stessa.
• Una nuova conflittualità. Attuare un confronto non di massa ma di individui, con azioni proprie, anche isolate, non necessariamente omogenee, non inquadrate, non guidate o condotte o dirette è il criterio che guida la nuova conflittualità. In questo contesto non c’è ruolo per il partito, non c’è ruolo per la sovrastruttura organizzativa e neppure per coloro che articolano e adeguano le singole azioni al pensiero definito. C’è una rivendicazione di autonomia e di confronto, di conservazione della diversità e di difesa dal potere; c’è spazio per tutti i modelli sociali possibili che non siano imposti e che non siano dannosi nei confronti dell’ambiente degli uomini. Ed in questo la conflittualità basata sulla lotta di classe non è assolutamente adeguata.
• La consapevolezza di essere sfruttato e sfruttatore. Le società del nord del mondo debbono gran parte della loro ricchezza allo sfruttamento delle risorse e della popolazione del sud del mondo.
• Un qualunque cittadino del nord è, direttamente o indirettamente, parte di questo mondo di sfruttatori ed il suo “benessere”, risibile nei confronti di quello dei “ricchi” occidentali ma enorme nei confronti dei “poveri” del mondo, è ottenuto attraverso il consumo di risorse ambientali e sociali dei paesi poveri. In questo modello chi trae il massimo beneficio è l’imprenditore, ma le fittizie esigenze e il desiderio diffuso di consumo sono il motore dell’implementation del mercato e quindi del consumo di risorse.
• E questo avviene anche quando si tratti di un operaio con la tessera del sindacato e convinto oppositore dei governi imperialisti; esso assume, di fatto e suo malgrado, il doppio ruolo di sfruttato e di sfruttatore.
• Per quanti l’adorazione dell’automobile supera la necessità, o il desiderio di acquisizione del quinto orologio è motivo di esistenza ? Chi se non ventisei milioni di utenti in cinque anni ha permesso, attraverso l’abuso della telefonia, di costituire soggetti così potenti da indirizzare la politica del paese? Chi se non le decine di milioni di video dipendenti hanno sostenuto economicamente, prima ancora che politicamente, l’ascesa e il governo dell’attuale presidente del consiglio?.
• Quanti di questi sono sfruttati ma quanti di questi hanno contribuito con il loro agire ad impoverire il resto del mondo, a destrutturare l’ambiente, a creare soggetti autoritari e intoccabili?
• Diviene dunque risolutivo saper affrontare questa condizione di sfruttatore- sfruttante attraverso la responsabilizzazione dei cittadini e non addebitando esclusivamente tutte le responsabilità sui cattivi, altri da sé.
• Le contrapposizioni. Sindacati difendono i lavoratori delle fabbriche d’armi, degli impianti industrializzati di gamberetti, dell’olio di semi, delle automobili; e accettano i criteri degli imprenditori secondo i quali per conservare il lavoro bisogna produrre di più e quindi avere più automobili, mangiare più gamberetti, condire con l’olio di semi. Ciò avviene anche quando, così facendo, si provoca la totale distruzione di comunità locali e dell’ambiente che è terreno di lavoro per quelle comunità; ma questi ambiti non rientrano nella conflittualità tradizionale a cui si attribuisce legittimità, e quindi non saranno oggetto d’interesse fin quando non saranno riaggregate all’interno di una opposizione gestita e di massa.
• Nessun dogmatismo. Non si tratta di girare con dei santini, di avere soluzioni prefabbricate, ma di elaborare specificamente e indipendentemente, ciascuno sulla base delle condizioni locali, per trovare soluzioni ambientalmente sostenibili e socialmente apportatrici di benessere per tutte le comunità.
Nessuna voglia di potere. Molte organizzazioni politiche afferenti al movimento antiglobalizzazione si muovono nell’ambito di coloro che aspirano al potere politico, ritenuto lo strumento che solo possa permettere la gestione della società. La loro cultura è più attenta agli strumenti e alle pratiche per l’acquisizione del potere che alla creazione di soggetti autonomi in grado di ridurre il peso del potere stesso.
• Attuazioni parziali di un mondo futuro. Negli ultimi mesi si è riscontrato un aumento della consapevolezza circa la possibilità di poter modificare il sistema sociale esistente, anche attraverso il personale comportamento. Questa consapevolezza rende maggiormente omogenei i mezzi ai fini uscendo da quella alienazione continua in un mondo migliore futuro e in un presente caratterizzato dalla frustrazione di comportamenti ripetuti, in cui i singoli sono deresponsabilizzati e il sistema colpevolizzato. Per un mondo migliore è necessario anche un uomo migliore.
• La sostanzialità della questione ambientale. Ambiente e società sono strettamente collegati e non può esservi società migliore senza la ricomposizione di un ambiente qualificato e naturalmente equilibrato.
• La politica dell’essere. La consapevolezza di se stessi, delle proprie capacità, la capacità di continuità e autonomia personale, la continuità dell’agire, del fare per quello che si è, con tutte le diversità che ciò comporta è più conflittuale della mobilitazione di masse.
• La politica delle differenze. Ogni individuo è differente, e l’antiglobalizzazione ha appunto nella diversità il più incisivo strumento di conflitto con l’establishment. L’azione di opposizione non si guida ma si forma appunto dal relazionarsi.
• La ricongiunzione tra politica e piacere. La politica per anni è stata ed è ancora oggi luogo di alienazione, di parole spesso vuote, di linguaggio e strategie autoreferenziate, piena di frustrazioni, carriere, leader e portavoci, scambi, strategie e tattiche. Non è certo questo il modo migliore per interessare nuove persone, per affascinarle ad un progetto. E’ possibile una ricongiunzione tra politica e piacere quando ciascuno svolge le attività che ha piacere di svolgere, perché in ciascuna di esse, se attuate in maniera critica, vi è un pezzo di modello realizzato.
• Al di fuori dell’economia. Le azioni sono svolte al di fuori dei parametri economici del profitto. Il prezzo della merce riconosce, oltre ai costi, anche altri fattori e dunque non rappresenta più il puro valore commerciale degli oggetti. Gli oggetti del commercio alternativo valgono di più non perché costano di più ma perché rappresentano il valore ambientale, culturale e sociale dell’oggetto, e questo è incompatibile con l’analisi storicamente accreditata dell’economia del sistema sociale.


Alcune considerazioni per il futuro

L’attenzione nei confronti dei temi antiglobalizzazione e l’avvicinamento ad una pratica sociale mossa dalla sensibilità a questi temi rende possibile ipotizzare una stagione positiva nel dibattito e la possibilità di estensione della coscienza specifica.
Per fare questo è necessario mantenere a livello sociale una conflittualità decisa ma fredda, nonviolenta ma niente affatto arrendevole, che renda difficile la creazione di pregiudizi, che eviti lo schierarsi in due fronti opposti se non sul piano complessivo.
La sensibilizzazione al dissenso deve svolgersi oltre le manifestazioni, persino indipendentemente da esse, continuativamente, mettendo in atto quel comportamento individuale che subito rallenti il potenziamento del modello vigente e del mercato e subito divenga esempio e proposizione.
Trovare una propria maniera di essere propositivi anche individualmente; parlare poco e fare; mettersi in relazione con altri soggetti; essere responsabile delle proprie azioni; non sclerotizzarsi, inquadrandosi, in organizzazioni strutturate; trovare piacere in quello che si fa; non alienarsi per un mondo migliore ma cercare di stare bene con la realizzazione di parte di quel modello auspicato; rimanere sempre parte attiva della società.

Adriano Paolella

No global: un volantone bilingue

A Genova durante le manifestazioni anti-G8, ne sono state distribuite migliaia di copie. E molte di più avrebbero potuto esserlo se la violenza poliziesca non avesse provocato quel che ha provocato. Ci riferiamo al volantone biblingue italiano/inglese curato da Adriano Paolella e Zelinda Carloni e pubblicato nelle pagine centrali dello scorso numero di "A".
Altre migliaia ne abbiamo ancora a disposizione di chiunque desideri ordinarlo. Ricordiamo che il volantone (16 pagine, formato A4) non ha un'indicazione di prezzo (può essere distribuito gratis, ad offerta libera o al prezzo che i singoli diffusori fisseranno) e viene da noi venduto a 250 lire, spese di spedizione postale comprese. L'ordinativo minimo è di 40 copie (per un importo di 10.000 lire). Per ordinativi da 200 copie in su, il prezzo scende a 200 lire l'uno. Il pagamento va effettuato anticipatamente sul nostro conto corrente postale, specificando chiaramente nella casuale il quantitativo richiesto. Non si effettuano spedizioni postali contrassegno.

No global: una mostra e un cd

È a disposizione una mostra composta di 6 tavole 100×70 cm sul tema della globalizzazione. Il contenuto della mostra è una sintesi del volantone curato da Adriano Paolella e Zelinda Carloni e pubblicato sullo scorso numero di "A" (n. 274 - estate 2001). La mostra è disponibile anche su cd. Il costo è quello della spedizione. Per informazioni rivolgersi al curatore dell'iniziativa Gianluca Guidotti, e-mail: guid8@tiscalinet.it (o, se non si utilizza l'e-mail, contattare la redazione di "A", che provvederà a trasmettere la richiesta a Gianluca).