rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


G8

 

Niente abbiamo a che spartire
della redazione di "A" e altri

In seguito agli avvenimenti genovesi degli ultimi giorni, noi militanti delle sottoelencate iniziative anarchiche, nel ricordare che migliaia di anarchici hanno preso parte alla protesta pacifica contro il G8, nel protestare contro la provocatoria violenza poliziesca, che ha causato tra l'altro l'uccisione di un giovane manifestante e la criminale "mattanza" di sabato notte nella sede del Genoa Social Forum,
nell'esprimere solidarietà alle centinaia di dimostranti pestati, arrestati e denunciati precisiamo che:

1) niente abbiamo a che spartire con gli "anarchici" del Black Bloc e tipologie analoghe. Chiunque può definirsi o essere definito anarchico: noi guardiamo ai comportamenti, non alle etichette.

2) ciascuno deve assumersi la propria responsabilità. Esattamente il contrario della pratica ingiustificabile di compiere violenze per poi "rifugiarsi" tra gli altri dimostranti, esponendoli ai brutali attacchi delle forze dell'ordine.

3) il nostro modo di essere presenti nel conflitto sociale si ispira ai valori espressi in oltre un secolo di storia dal movimento anarchico organizzato, nato in seno alla Prima Internazionale e poi sviluppatosi nelle lotte sindacali, nell'antifascismo, nella difesa appassionata delle libertà individuali e sociali. Riteniamo che la violenza indiscriminata e il terrorismo (anche psicologico) siano strumenti funzionali al potere, non certo a chi vuole realizzare senza coercizione una profonda trasformazione sociale di segno libertario. Chi spedisce pacchi-bomba, chi mette a ferro e fuoco una città, favorito dalla complice tolleranza delle forze dell'ordine - così solerti con i pacifici dimostranti - non ha niente in comune con noi, indipendentemente da eventuali comuni autodefinizioni.

Circolo libertario "Pisacane" - Bassano del Grappa

Massimo Ortalli
dell'Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana - Imola

Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" - Milano

"A" rivista anarchica - Milano

Cooperativa Alekos - Milano


23 luglio 2001

 

Per un cambiamento radicale
della Commisione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana

Il carattere violento, distruttivo, predatorio dei G8 si manifesta quotidianamente nella vita della maggior parte degli abitanti del pianeta. In nome del profitto di pochi, milioni di uomini, donne, bambini, anziani sono costretti a condurre un'esistenza priva di dignità e libertà, un'esistenza in cui sanità, istruzione, accesso a risorse fondamentali come l'acqua sono diritti costantemente negati. La globalizzazione dell'economia in fondo non è altro che la globalizzazione del mercato, un mercato onnivoro, senza altra morale che quella del profitto, senza altro limite che la propria capacità di estensione. Persino quelli che un tempo erano definiti libertà e diritti oggi non sono che merci accessibili solo ai pochi, pochissimi che possono permettersele.
Questo è un mondo intollerabile che induce sempre più vaste moltitudini alla protesta ad alla rivolta, una protesta ed una rivolta ormai globale che attraversa il pianeta, esprimendosi con grande valenza simbolica in occasione dei periodici vertici dei vari organismi transnazionali.
Anche a Genova si è dato appuntamento un movimento vivace, composito, plurimo, determinato a gettare un fascio di luce sulle politiche di distruzione e morte dei G8.
Il governo di centro destra presieduto da Berlusconi ha accolto la protesta con inusitata violenza, una violenza alfine sfociata nell'assassinio di un giovane di vent'anni. Dopo 24 anni da quel lontano 12 maggio 1977, quando sotto il piombo della polizia cadde a Roma Giorgiana Masi, le piazze d'Italia si sono nuovamente coperte del sangue di un ragazzo. E di tanti altri: picchiati, gasati, manganellati da poliziotti decisi a soffocare con la forza delle armi la marea montante della protesta, una protesta ormai ampia, tanto ampia da portare a Genova ben trecentomila persone, giunte nella città della Lanterna nonostante il terrorismo psicologico, le frontiere bloccate, le stazioni chiuse, le uscite autostradali a singhiozzo.
Le tragiche giornate di Genova si sono svolte secondo un copione che media, servizi segreti, Ministero dell'Interno stavano preparando da mesi. Un copione che prevedeva la criminalizzazione dei manifestanti, le cui ragioni dovevano essere ad ogni costo oscurate, trasformandole in una questione di mero ordine pubblico. I cattivi di turno, ossessivamente individuati nelle fila del movimento anarchico, dapprima indicati come minoranza sono stati progressivamente identificati con tutto il movimento antiglobalizzatore, definito come complice e sostenitore delle violenze. Culmine di questa strategia la frantumazione e dispersione del pacifico ed imponente corteo di sabato 21, il feroce pestaggio nella scuola che ospitava alcuni manifestanti, la devastazione del centro stampa dell'Indipendent Media Center.
Per i G8, e per il governo italiano in modo particolare, è necessario depotenziare la spinta trasformatrice del movimento.
Purtroppo l'ossessiva attenzione all'elemento mediaticamente spettacolare della protesta, che segna in modo vistoso svariati gruppi, dalle tute bianche al Black Bloc, più attenti alle strategie di piazza che alla diffusione delle ragioni della lotta ed al suo radicamento sociale, ha finito col porre in secondo piano le tensioni ideali e progettuali della presenza di piazza. Rifiutiamo la campagna di criminalizzazione del Black Bloc, campagna che vede concordi i media dal Manifesto al Giornale. Pur critici nei confronti di una strategia di lotta che, riducendosi a mero confronto di piazza con la polizia, smarrisce la necessaria tensione alla comunicazione diretta più ampia, consideriamo inaccettabili le falsità fatte circolare in questi giorni. Certamente, come comprovato da più parti, provocatori e poliziotti hanno avuto mano libera a Genova, rendendosi responsabili di attacchi e distruzioni indiscriminate. Ma le loro responsabilità non possono essere attribuite al Black Bloc, che, per sua stessa dichiarazione, si è limitato a colpire banche e altri simboli del potere. La nostra più profonda alterità rispetto alla loro strategia non può esimerci dal rispetto per la verità. Una verità che in questi giorni è stata più volte calpestata nel tentativo di fabbricare un perfetto capro espiatorio della violenza poliziesca, questa sì feroce ed immorale. La distruzione di cose non può essere comparata alla violenza di chi bombarda popolazioni inermi, di chi decreta la morte per fame, per malattia, per tortura. Di chi stronca la vita di un giovane manifestante a colpi di pistola.
Gli anarchici e le anarchiche della Federazione Anarchica Italiana aderenti al cartello di gruppi riuniti sotto la sigla "Anarchici contro il G8" hanno voluto svincolare la loro presenza di piazza dalla spettacolarizzazione imposta dai media, puntando altresì su un rapporto diretto con la popolazione genovese e con i tanti che delle politiche neoliberali sono vittime nel nostro Belpaese.
La nostra presenza sin dalla manifestazione nazionale svoltasi a Genova il 9 giugno è stata costantemente caratterizzata da questa scelta di fondo. Per questo abbiamo richiesto, sostenuto e contribuito ad organizzare lo sciopero generale contro il G8 e la manifestazione di oltre quindicimila lavoratori a Sampierdarena il 20 luglio.
Siamo stati in piazza anche il 19 luglio a fianco dei migranti ed il 21 con uno spezzone di oltre 2000 anarchici che è stato caricato a freddo sul lungomare.
Siamo sostenitori della necessità di un cambiamento radicale, un cambiamento che non può ridursi, come pretendono le tante anime del Genoa Social Forum ad un'umanizzazione del capitalismo o alla democratizzazione del G8. La vita e la libertà di sei miliardi di persone non sono trattabili con i signori della terra ma vanno riconsegnate nelle mani di ciascuno, uomo, donna o bambino che voglia, "padrone di nulla, servo di nessuno, andare all'arrembaggio del futuro". Erano le parole scritte sullo striscione che ha aperto le manifestazioni anarchiche contro il G8, uno striscione distrutto dalle cariche della polizia, ma i cui contenuti restano fermi nella lotta di ogni giorno, quella che in ogni luogo, costantemente, ci vede a fianco degli oppressi e degli sfruttati.

Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica Italiana
25 luglio 2001

 

A proposito dei Black Bloc
di Pietro Della Mea

Leggo spesso e volentieri A; sono rimasto molto colpito dal volantone sulla globalizzazione dell'ultimo numero, mi è stato utile, cercavo qualcosa che spiegasse in forma abbastanza sintetica le finalità e i modi di operare dei grandi organismi sovranazionali economici e politici; ma mi ha lasciato perplesso il "Comunicato stampa di alcune realtà anarchiche" sottoscritto da A. Sebbene trovi inoppugnabili le critiche mosse ai black bloc nel comunicato, mi sembra "sbagliata" la modalità in cui vengono espresse perché, forse ingenuamente, dopo aver letto il volantone avuto a Genova – nelle posizioni sostanzialmente pacifiste e nell'approccio del quale, un po' rincuorato, mi ero in qualche modo riconosciuto – avevo sperato nella possibilità che la vostra realtà – "nostra" non posso dirlo perché la conosco solo per mezzo delle pagine della rivista – che mi era apparsa una volta di più come una delle poche in grado di produrre un pensiero lucido su questioni complesse e incalzanti come la globalizzazione (e questa mia era ed è in parte, ne sono consapevole, una reazione molto "emotiva" a una sensazione di alterità che a volte assume le forme di un senso di isolamento rispetto a quanto mi sta intorno, alle mezze opinioni dei miei amici, all'atmosfera di confusione spesso un po' stanca e autoindulgente che mi circonda e a volte mi prende e che negli ultimi giorni, forse per via dell'onda emotiva degli avvenimenti di Genova, mi è parsa magari meno stanca ma in realtà non tanto meno confusa di prima) – avevo sperato che questa realtà potesse porsi con un approccio sì duramente critico, ma dialogante, nei confronti di quella dei "Black Bloc", della quale non condivido le modalità ma rispetto alla quale ho una visione diversa da quella – pare essere, a volte un po' "comodamente", l'unico punto di accordo tra tutte le altre realtà coinvolte – che sta passando in questi giorni; una visione che mi porta a pensare che il semplice dissociarsi non serva a nulla e rischi di diventare sostanzialmente controproducente, e che una qualche forma di confronto, duro com'è giusto che sia, potrebbe essere tanto più costruttiva; perché leggo in giro (sulla rete – che è poi il terreno dove la realtà dei Black Bloc cresce e si organizza; ma prevalentemente su siti stranieri) dibattiti sui black bloc nell'ambito dei quali, forse in maniera abbastanza inedita, capita che questi si espongano al confronto.
In sostanza, comprendo la necessità politica di un comunicato che chiarisca le posizioni, ma penso che forse quel comunicato avrebbe avuto più senso se avesse chiamato in causa direttamente i black bloc, se fosse stato indirizzato anche a loro in quanto soggetti attivi nel panorama attuale; perché, piaccia o non piaccia, lo sono; e sono una delle poche realtà realmente internazionali (http://www.infoshop.org), capace di un livello di organizzazione e di monitoraggio dei movimenti delle grandi entità sovranazionali politiche ed economiche che raramente è dato di vedere nelle altre realtà del "movimento"; e se è vero che a questo giro (e, ribadisco, in modo inedito) sono più disposti a qualche forma di confronto, mi viene da pensare che forse gli interlocutori più adatti, in una situazione di questo tipo, potrebbero essere proprio gli anarchici più "seri", più preparati e soprattutto – credo che l'elemento discriminante sia principalmente questo – drasticamente più capaci di una visione realistica; come quelli – per esempio – che gravitano intorno a una rivista come A. Ovviamente parlo di un possibile confronto con i Black Bloc – non con gli infiltrati o gli uligani che hanno "esteso" gli obiettivi simbolici ma molto ben definiti degli stessi fino a scontrarsi con gli altri manifestanti; un confronto che magari parta proprio dallo sbattergli in faccia la realtà dei fatti, ovvero che in fondo la modalità di protesta che portano avanti è molto ingenua (perché da un punto di vista identitario molto "romantica", "eroica" e "letteraria" – come la definiva correttamente il volantone) e che proprio per questo (in particolare per via di una scelta che è diretta conseguenza di questo approccio, quella di calarsi nella parte "forte" del "guerriero senza volto") si presta a essere infiltrata persino dai peggio residui nazofili da stadio (oltre che dalla polizia), a essere usata strumentalizzata manipolata dal potere per giustificare i propri soprusi, e poi forse anche dalle altre realtà di un panorama in verità ancora molto frammentato nel tentativo di trovare un qualche appiglio "unificante", inevitabilmente fragile.
Credo che la violenza fosse un intento precostituito della polizia, che ci sarebbe stata anche senza i Black Bloc, e che probabilmente la polizia avrebbe trovato/creato qualche pretesto per agire come ha agito anche se il venerdì non fosse stato designato da tempo, e da altre realtà oltre a quella dei black bloc, come la giornata in cui si sarebbero prodotti i tentativi di assalto all'infame zona rossa. Che le modalità scelte per l'assalto fossero diversificate tra le varie realtà partecipanti ritengo sia a questo punto abbastanza secondario, perché non credo sia realistico pensare che - se pure non ci fossero stati i tentativi di scontro diretto con la polizia da parte dei black bloc – la modalità di assalto scelta per esempio dalle tute bianche (aprire buchi nelle reti con la fresa) non avrebbe causato la stessa reazione da parte della polizia. Voglio dire che se dobbiamo prendere le distanze dalla violenza (come personalmente ritengo sia auspicabile) dobbiamo prenderle da "tutta" la violenza; anche dagli atti non direttamente violenti ma che a una visione realistica appaiono inevitabilmente funzionali (strumentali) alla stessa. Questa è anche un'autocritica.
Che l'urgenza di un confronto sulle volontà e gli obiettivi che muovono le varie realtà di questo scenario antagonista così diversificato sia ciò a cui tutti si dovrebbe tendere mi pare chiaro, come mi pare chiaro che trovare elementi di affinità solo nella semplice (per quanto validissima) considerazione che è inaccettabile il livello di repressione espresso dal governo in questi giorni sia troppo poco. Paradossalmente, ho la sensazione che un confronto in questo ambito (un confronto sulle volontà e le finalità che muovono la lotta) rivelerebbe non poche affinità tra gli anarchici "del comunicato" e quelli dei Black Bloc; ho la sensazione cioè che il confronto si sposterebbe presto sulle modalità di protesta e che rimarrebbe molto più legato alle finalità, agli obiettivi, alle volontà (e quindi molto più complesso) un eventuale confronto con i sostenitori di entità "politiche" come quella dei ds o anche di rifondazione comunista. Mi rimane comunque la convinzione che non ci si possa muovere ancora una volta solo per reazione a quella che in fondo è stata l'espressione per una volta visibile del vero volto del sistema in cui viviamo. Forse è bene che una "comunanza di intenti" rimanga per ora limitata all'ambito dell'intolleranza nei confronti dei modi omnirepressivi del potere; ma credo sia auspicabile che da qui parta un confronto tra le varie realtà, che magari potrebbe portare a una maggiore unità d'intenti e prospettive, ma che credo risulterebbe utile anche se producesse soltanto una (ri)definizione chiara delle volontà da cui ciascuna realtà muove il proprio agire. In questo senso mi viene da dire che il nemico non sono i black bloc, il nemico (di cui i Black Bloc sono forse vittime e perciò forse anche inconsapevolmente sostenitori) è l'assuefazione allo strapotere mediatico (e alla tendenza a promuovere una indifferenziazione del piano "del racconto" da quello "della realtà" portata avanti anche da entità che si pensano e si propongono "affini" alle posizioni antagoniste) che, per fare un esempio, permette ai "Grandi" – il grande Berlusconi e il grande Bush su tutti (la B di brother li accomuna) - di rendere credibile agli occhi della maggioranza sovraesposta una triste pantomima di ciò che ormai altrimenti risulterebbe incredibile a tutti: "soluzioni efficaci rapide concrete (la "concretezza" e l'"efficacia" del pensiero monetario)/pensiero forte (la "forza" di approcci univoci non diversificati – globalizzanti – imposta a tutti i paesi e le culture)"; è lo stesso nemico che permette, per fare un altro esempio, ai black bloc di pensarsi "guerrieri" e di portare avanti una modalità di lotta nociva "perché militarizza il movimento, perché concentra l'attenzione sull'azione violenta riducendo il significato della conflittualità, perché si presta a favorire un eroismo di piazza e una cultura dell'atto saltuario, raccontabile, letterario (gli eroi giovani)" – come ben descriveva, prima degli eventi di Genova, il volantone bilingue; in questo esprimendo una critica diretta a chi ha abbracciato queste modalità, cui però, almeno stando al testo del comunicato post G8, non mi sembra corrisponda alcuna apertura al confronto, proprio nel momento in cui forse sarebbe possibile. E qui si entra anche, e inevitabilmente, in un discorso abbastanza spinoso sulla "visibilità" di realtà come quella di A (e quindi sull'effettiva possibilità che le idee espresse da questa realtà possano raggiungere quelli che, nell'ambito di una discussione sulle modalità di protesta, sarebbero in questo momento gli interlocutori più importanti), e sui possibili terreni di questo confronto. La rete potrebbe ri/diventare un terreno possibile; la forma scritta potrebbe permettere un approccio più riflessivo che a sua volta consentirebbe di compensare l'effetto altrimenti caotico di una partecipazione eventualmente diffusa. Vi rimando a:
http://barcelona.indymedia.org/front.php3?article_id=3193&group=webcast
http://italy.indymedia.org/front.php3?article_id=4636
Sono alcune delle opinioni che circolano sui Black Bloc; si può partire da lì per rispondere, anche se ancora un vero e proprio forum non c'è.
Grazie per il lavoro che portate avanti.

Pietro Della Mea
qgino.it@tiscalinet.it

 

"Parlavano in italiano"
di Alessandro Martometti

Arrivo a Genova, assieme a tre amici, intorno a mezzogiorno di venerdì 20 luglio. Essendo in macchina, decidiamo di entrare dal casello di Genova-Nervi, che scopriamo non essere controllato. Parcheggiata l'auto, in via Timavo, proseguiamo a piedi sino al lungo viale che costeggia la stazione di Brignole. Sul fondo del viale – a circa un chilometro e mezzo da noi – si vede solamente fumo di lacrimogeni. Sul viale non c'è un vero e proprio corteo: si tratta piuttosto di gruppi sfilacciati e scollegati tra loro che mi danno l'impressione di non sapere bene neanche loro cosa succeda o cosa fare. Ci viene incontro una fila di persone con bandiere dei Quattro Mori e di Rifondazione. Si allontanano dal centro. Parlo con uno di loro: sono rifondaroli sardi e mi offrono un bicchiere di vino. Perché si allontanano? Dove vanno? Boh... Di preciso non lo sanno neanche loro. Così come non sono riusciti a capire cosa stia succedendo più giù, in fondo al viale.
Penso di andare a vedere di persona e mi avvio. Due elicotteri sorvolano la zona a bassa quota facendo un casino nero con i rotori. Alla mia destra la Ligue Communiste Revolutionnaire e i comunisti greci in piedi, compatti e fermi, un po' ovunque Verdi, ambientalisti, cani sciolti e militanti delle associazioni più varie seduti sul marciapiede o diretti ovunque. Mi colpisce l'andirivieni delle ambulanze. Man mano che scendo in direzione del fumo l'assembramento si fa più compatto ma ancora a poche centinaia di metri dalla testa del corteo – non si capisce chi cerca di fare cosa. Così mi arrampico ad un'inferriata per vedere meglio, e noto due specie di grosse autoblindo armate di idranti che si insinuano tra i manifestanti e li scacciano con l'acqua, seguite dai poliziotti che li scacciano con i manganelli. Sulle prime penso ad un tentativo di contenere le pressioni del corteo, poi scopro che però la manovra non s'arresta e il corteo è costretto ad arretrare lentamente ed incessantemente. Decido di tornare al punto di partenza.
Mi mostrano un'auto sportiva ancora fumante: "I tedeschi, un'ora e mezzo fa", mi dicono. Gli unici tedeschi li noto dopo, più su: ragazzi e ragazze in nero seduti all'ombra di un portico. A circa metà del viale vedo, in una traversa a destra che prima era libera, un "battaglione" di poliziotti che, scudo in mano e manganello in resta, si organizza su varie file, pronto e in attesa. Sembrano la versione truce dei legionari di Asterix. Non mi spiego la cosa, anche perché lì non c'è altro che qualche manifestante che passa per i fatti suoi. Da giù intanto, con calma e gesso, idranti e manganelli si continua a spingere. Poco dopo le cinque comincia a circolare voce che un ragazzo, forse una ragazza, è morto; che la polizia sta caricando e spara. Dove? Al Carlini, al Gaslini. Non se ne capisce niente. Si diffonde pesantemente la tensione, qualcuno piange, non si capisce un tubo. Raggiungo finalmente gli amici e ci sediamo sul marciapiede.
A fianco a noi si siedono quattro tizi vestiti di nero, giovani: chi ha una bandiera nera, chi Marx, Lenin e Stalin sulla maglietta, chi una spranga e chi un manico di piccone. Li sento parlare: sono italiani. Ora le ambulanze corrono al ritmo di tre-quattro ogni dieci minuti. Tizi curiosi passano e ripassano con lo scooter davanti a noi osservando tutto e parlando al telefonino. Sirene spiegate, elicotteri, scooter, casino. E, di punto in bianco, lacrimogeni e fuggi fuggi alla mia destra, all'altezza della traversa dei "legionari", che ora pestano malamente e senza preferenze. Vedo un ragazzo col piede spezzato portato via dagli amici. Il coordinamento scioglie il corteo e da appuntamento al Velodromo per potercisi riorganizzare. Anche i tizi in nero vanno via, litigando fra loro. Alle 19,30 io e i miei amici andiamo via da Genova. Giorni dopo a casa ho capito cosa è successo: la polizia non intendeva affatto contenere i manifestanti così come avevo pensato in un primo momento, ma ci ha spinto dal basso sino a ricompattare in un punto preciso il corteo, piuttosto sfilacciato per poi – a freddo – aggredirlo e scioglierlo a suon di mazzate. Sin qui la cronaca. Ora un paio di considerazioni: chiunque poteva entrare tranquillamente a Genova con le intenzioni più impensate e fare quello che voleva; a Nervi il portone era aperto e nessun Rappresentante dell'Ordine Pubblico si è sognato poi di sottrarre la mazza ai legittimi possessori salvo, dopo, pestare tutti indistintamente. Perché? Perché la divisione tra manifestanti "buoni" e manifestanti "violenti" era fittizia e ad usum populi, mentre la divisione, quella vera, concreta come un pestaggio, era quella tra chi contesta e chi si occupa dei fatti suoi, a casa. Disarmare i teppisti è banale: molto, ma molto meglio "aspettare che accada l'irreparabile, intervenendo dopo, e non prima, in modo da suscitare il clamore che i politici si aspettano", come dice il commissario Jouin in un bel romanzo di Pino Cacucci. Le contestazioni di piazza – che sia chiaro ai "cittadini" – "si risolvono immancabilmente in violenza e disordine".

Alessandro Martometti

Tute nere e che altro?
dei Gruppi anarchici imolesi

Parlare di quanto è successo a Genova non è facile ma ci proveremo ugualmente.
Gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici e siamo sicuri che non esiste una sola verità, soprattutto quella raccontata dal governo, ma un insieme di verità che alla fine coincideranno per dare un quadro più comprensibile di quanto è successo.

1) Non ci nascondiamo dietro un dito, quindi non neghiamo che il Black Bloc, le cosiddette tute nere facciano parte, o perlomeno si considerino parte integrante del movimento anarchico americano e del nord Europa. Non nascondono di scendere in piazza per distruggere i simboli del capitale quali banche e società finanziarie e per far questo si muovono in occasione di manifestazioni allargate. I media che in questi giorni ne hanno parlato sono comunque concordi nell’affermare che la loro violenza, comunque assolutamente dannosa e controproducente, è rivolta esclusivamente contro le cose e non contro le persone. Questo è quanto abbiamo letto sul Corriere della Sera e sulla Stampa. Ed è anche quanto già sapevamo dai loro comunicati che regolarmente appaiono su Internet. Se ciò non giustifica la loro tattica, serve però a spiegare perché non usano armi vere e proprie ma solo strumenti di distruzione.

2) Ci sono testimonianze a centinaia, e non solo quelle apparse sulla stampa nazionale, ma anche quelle raccolte in rete o dai compagni presenti a Genova, che dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che in mezzo ai Black e agli altri giovani rivoltosi di altre matrici politiche, o senza matrici politiche come il povero Carlo Giuliani, si erano infiltrati numerosissimi elementi delle cosiddette forze dell’ordine (e, come sta emergendo sempre più chiaramente, anche nazisti, naziskin e fascisti vari). Non solo le foto apparse sulla stampa o i filmati televisivi suffragano queste affermazioni (del resto ampiamente riportate da giornali non certamente teneri con gli anarchici), ma lo stesso comportamento dei comandanti della piazza, comportamento altrimenti inspiegabile, coincide con quanto affermiamo.
Se è vero che i servizi segreti di mezzo mondo (e l’Italia ne ha ben otto) conoscevano da tempo i militanti del Black Bloc, se è vero che erano stati impiegati tutti i mezzi per controllare e fermare i probabili guastatori, delle due l’una: o questi servizi segreti sono composti da cialtroni inefficienti (ipotesi plausibile) oppure ne hanno permesso l’arrivo in massa (ipotesi ancora più plausibile). Quel che è certo è che le tute nere sono servite da cavallo di Troia per infiltrare le manifestazioni di “servitori dello stato” in vesti di veri e propri agenti provocatori. E che questi “servitori dello stato” hanno dato un contributo determinante alla distruzione che abbiamo sotto gli occhi.

3) Gli altri “servitori dello stato” in divisa hanno perfezionato l’opera iniziata sia dai loro colleghi travestiti da dimostranti, sia dai componenti i commandos di guastatori. La loro unica preoccupazione è stata quella di far sì che grandi manifestazioni di piazza si trasformassero in scontri, resi inevitabili dal legittimo tentativo di difendersi da assurde, gratuite e criminali cariche contro le stesse. Chi ha visto la diretta di sabato su Rai Tre ha potuto verificare di persona la assoluta pretestuosità di un fittizio lancio di lacrimogeni della polizia sulla testa di un corteo assolutamente inoffensivo. E poi ascoltare le parole di un poliziotto che giustificava tale comportamento con l’aspetto “minaccioso” del corteo. Ma ci facciano il piacere! Sono “professionisti dell’ordine pubblico” o i peggior celerini di scelbiana memoria?
La stessa tragica sequenza di avvenimenti finita con l’omicidio di Carlo Giuliani è una dimostrazione della tattica criminale ed irresponsabile tenuta dai responsabili della piazza. Dove era in quel momento quella fittissima schiera di carabinieri che avevamo visto retrocedere esattamente quindici secondi prima degli spari? Aveva già fatto un chilometro di corsa più velocemente delle camionette che la precedevano? È così normale che dei professionisti addestrati e armati di tutto punto dovessero scappare di fronte a una cinquantina di giovani armati di sassi, bastoni e scudi di plastica?
Siamo convinti che di “stranezze” di questo tipo, in quei giorni, a Genova, se ne siano viste tante, troppe!

4) A questo punto però siamo convinti che non di “stranezze” si tratti, ma di precise volontà politiche. Genova doveva diventare il teatro di durissimi scontri, quali in Italia non si vedevano da decenni, e questo è successo grazie alla demenziale ed oggettiva sinergia fra le forze di polizia e gruppi di dimostranti predisposti a cadere nella trappola. Ormai il progetto del governo Berlusconi, e dei poteri forti che ne hanno permesso la vittoria (toh!, di nuovo Agnelli, Confindustria e Banca d'Italia) si è ampiamente disvelato. Dopo la criminalizzazione degli anarchici (purtroppo agevolata da alcuni settori marginali del movimento) attraverso la troppo facile e generica equazione anarchici = violenti, si è passati alla criminalizzazione dell’intero movimento che non solo si riconosce nel Genoa Social Forum (e questo il governo lo ha già detto chiaramente) ma che esprime un insieme vastissimo di tendenze e proposte. Un movimento in crescita, anticapitalista e antiliberista, colpita da centinaia di arresti e che evidentemente va stroncato sul nascere. Ma questo è ancora niente. Un potere che mostra la volontà, riuscendoci, di attaccare e spaccare un corteo pacifico di trecentomila persone, manda un messaggio estremamente chiaro: “operai, studenti, lavoratori, antiglobalizzatori e via dicendo, non provate a scendere in piazza perché siamo disposti a massacrarvi”. Questo è il progetto di un governo fascista, autoritario e “cileno”, criminalmente espresso a chiare lettere a Genova e arrogantemente rivendicato in parlamento. Questo e non altro!

5) Per concludere! Migliaia e migliaia di anarchici, della Federazione anarchica italiana e di altre organizzazioni nazionali e internazionali, hanno sfilato a Genova sotto le loro bandiere, in mezzo ai cortei dei lavoratori in sciopero e degli antiglobalizzatori, senza derogare dalla loro irriducibile critica allo Stato e senza cadere nella trappola del potere. Senza fare il gioco di nessuno.
Detto questo non possiamo però esimerci dal riflettere su come sia possibile che gli ideali di libertà e giustizia propri degli anarchici, quelli per i quali il nostro movimento si batte da sempre, possano essere interpretati ed esplicitati con azioni violente assolutamente antitetiche al nostro modo di intendere l’anarchismo. Se anche il fine può essere lo stesso, certi strumenti non possono coincidere. Anche se pensiamo che la violenza di chi distrugge una banca non sia paragonabile a quella di chi ammazza un giovane o massacra migliaia di persone inermi, siamo convinti però che quella strada non potrà mai portare ad una società anarchica aliena da ogni forma di coercizione e di potere. Di qualsiasi potere. E quindi non potrà essere la nostra strada.

Gruppo anarchico La Comune
Gruppo anarchico Errico Malatesta
Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana

Imola, 24 luglio 2001

 

Fuori dalla rappresentanza
di Luisa Muraro

Che cos'è capitato a Genova? Molto in breve, è capitato questo, che il movimento "per una globalizzazione delle possibilità di essere felici" (il nome l'ho coniato io, quelli correnti non mi piacciono), detto anche il movimento dei movimenti, nella ricerca di un protagonismo più visibile e riconosciuto, è andato troppo vicino all'avversario (cioè, i sostenitori del liberismo a tutto campo) e ha preso un grave colpo.
Che cosa intendo? Intendo che l'avversario, probabilmente con una mossa ben calcolata, basata sulle esperienze analoghe del passato, manipolando (o confezionando, che importa) un gruppo di ultraviolenti, ha puntato a rovinare l'immagine mass-mediatica del movimento, occupando lo schermo televisivo e le pagine dei giornali con lo spettacolo delle distruzioni violente. "Voi volete rovinare la nostra festa? E noi rovineremo la vostra": questo è stato il ragionamento.
Purtroppo il colpo è andato a segno. Il movimento ha perso una parte del credito che stava guadagnando rapidamente e diffusamente; ora la sua immagine rischia di confondersi con quella di un movimento di contestatori; i suoi responsabili sono già risucchiati nella spirale di dover indire manifestazioni contro la repressione, per la democrazia, e di dover fare battaglie legali e parlamentari per ristabilire un minimo di verità, finendo così su un terreno che interessa solo una minoranza, e sempre a ridosso dell'avversario, con una perdita di forza espansiva e di signoria.
Torno indietro nel tempo. Il 3 giugno scorso, Naomi Klein, l'autrice di No Logo, è stata ospite della Libreria delle donne di Milano dove si è discusso di "politica del simbolico", cioè di una politica che non si fa con la forza dei muscoli, che non si appiattisce sull'economia né si limita a correggere l'economia con i diritti, ma che fa leva sui desideri e sulle relazioni, per un senso più libero e personale del vivere e della convivenza. Ebbene, a un certo punto Naomi Klein ha detto (cito a memoria): "Conviene lottare dovunque, nei contesti più diversi; forse l'appuntamento di Genova sarà l'ultimo di questo tipo (megamanifestazioni) ed è meglio così". Ci fu un applauso. Abbiamo applaudito alla sua intuizione dei limiti delle manifestazioni di piazza, e alla sua fiducia verso le nuove pratiche politiche.
Uno sbaglio (rimediabile, io credo e spero) è stato di mettersi a dipendere dal sistema dei mass-media per la propria esistenza simbolica. Tutti i mezzi di questo mondo, compresa la Rete, sono secondari e tali devono restare, rispetto alla capacità di praticare relazioni vive, forti, capaci di farci sentire bene con le/gli altri, relazioni in cui ci sia scambio di cose essenziali (sapere, amore, piacere) e che ci facciano cambiare in meglio, nel senso di darci più libertà e più gusto di stare al mondo. Questa è politica prima (secondo il nome che le abbiamo dato nel Sottosopra rosso, quello della fine del patriarcato), praticata dal movimento delle donne, ma sempre di più anche dalle persone, giovani e meno giovani, disgustate della politica ufficiale. È politica prima anche trovare le parole e le immagini per tutto questo, e farle circolare: il lavoro delle artiste e degli artisti sta diventando perciò sempre più importante, non meno di quello dei giornali e della Rete.
Un altro punto che fa problema, secondo me, è l'aspirazione a diventare interlocutori dei sedicenti "grandi", in questo caso gli otto capi di governo che si sono riuniti a Genova. Secondo alcuni, sarebbe senso di responsabilità; io penso che sia un confondere i piani e finire sul terreno dell'avversario. Non si deve entrare nell'idea della rappresentanza, ossia credere di rappresentare gli interessi di tanti altri, e pretendere di farli valere con (o contro) i detentori di questo o quel potere, fossero pure, come in questo caso, personaggi eletti legalmente (democraticamente, sarebbe dire troppo).
Gli interlocutori di un movimento non sono i potenti, ma le innumerevoli persone silenziose che possono essere contagiate. La forza dei movimenti cresce finché essi hanno la forza incalcolabile del contagio, spingendo le/gli interessati a farsi protagonisti delle loro vite e a negare ogni involontaria complicità con il dominio. Questa sottrazione di sé al sistema del potere, per cominciare a inventare un altro mondo, è la mossa vincente, come dimostrano i fatti: io ho in mente specialmente i fatti della rivoluzione femminista e femminile contro il dominio patriarcale.
Infine, un'autocritica. Molto di quello che ho scritto qui, io e altre meglio di me, lo sapevamo da prima. Anche la mossa dell'avversario era prevedibile da prima, almeno da parte di chi ha una storia come la mia, che comincia negli anni Sessanta e si è sviluppata nei movimenti non organizzati. Ma non abbiamo parlato, non siamo intervenute. Saremmo state ascoltate? Non lo so, ma valeva la pena esporsi a questa prova e, forse, si doveva. C'è bisogno di più autorità femminile in questo cambio di civiltà e, perché ci sia, bisogna che la conquistiamo esponendoci in prima persona. La pratica della relazione, affidamento compreso, è fatta (anche) per questo.

Luisa Muraro
(dal sito www.libreriadelledonne.it)

L'arma vincente del potere
di Stefano Olimpi

Gli ultimi avvenimenti occorsi nella culla della civiltà, nell'Europa della convenzione dei diritti umani, svelano agli occhi di noi ingenui e giovani militanti pratiche repressive ritenute lontane, appartenenti ad altri regimi o ad altre epoche. È ciò che abbiamo sofferto e vissuto per le strade di Genova, ma di cui avevamo già avuto assaggi a Goteborg e Barcellona nell'arco degli ultimi due mesi, è l'esplicito giro di vite dettato dalla cupola della dittatura del pensiero unico ai danni di tutti coloro che dissentono.
Andiamo con ordine: in prima battuta è evidente, e sempre più estesa, la distanza tra la classe politica e la gente comune. Da una parte, summit di pochi potenti, "leader democratici" rappresentativi di minoranze assolute incanalate dai media, nonché fantocci di multinazionali assetate delle ultime gocce di sangue del pianeta (quando non loro stessi vertici delle stesse). Dall'altra, un movimento composito e variegato, che manifesta, contesta apertamente; e che tra mille difficoltà tenta di dialogare, confrontarsi ed informare sui temi di una globalizzazione che allarga sempre più la forbice tra chi ne gode e chi ne è schiacciato. Il punto di contatto tra le due realtà è la repressione selvaggia messa in atto dal braccio armato dell'ordine costituito, spiegato massicciamente ad ogni occasione in tutta la sua forma più spettacolare ed attrezzata (polizia in tenuta anti-sommossa ed armata, cingolati, elicotteri in perlustrazione costante, ma anche infiltrazioni a tutti i livelli) eppure incapace (non intenzionato?) di fronteggiare piccole schiere di violenti devastatori ma estremamente abile nel reprimere e picchiare selvaggiamente nel mucchio od organizzarsi in squadre punitive.
Proprio su queste schiere mi sembra importante una considerazione: tali Black Bloc, costantemente definiti anarchici, sono stati a mio avviso l'arma vincente del potere. E' probabile che ne facciano parte gruppi di ispirazione anarchica che prediligono la via violenta all'abbattimento dello stato, ma ad essi si sono aggiunti, qualora non fossero i fautori principali, nugoli di soggetti di semplice ispirazione vandalica, sul modello degli ultrà dello stadio, gente di assoluta ignoranza politica ma bruciante del desiderio di sfogare la propria frustrazione quotidiana (ho avuto modo di conoscerne direttamente). Ed ancora, non dimentichiamo che gli infiltrati presenti in ogni ambito hanno avuto buon gioco nel tirare le fila di questi cani sciolti, giocandoli a proprio favore. Si, perché non mi pare credibile che tali gruppi, sia pur rapidi nell'apparire tra la folla, possano aver avuto il tempo necessario ad incendiare e devastare banche, auto e quant'altro mentre l'imponente esercito di "forze dell'ordine", con la regia dall'alto degli elicotteri, non sia stato in grado di intervenire se non deliberatamente nei confronti della folla pacifica e disarmata che animava le varie piazze il venerdì o sfilava in corteo il sabato. Anzi, oserei dire che tutta la forza di cui è capace l'organo violento dello stato è stata chiaramente messa in atto a mente fredda, proprio nel momento in cui nella scuola Diaz, nella notte di sabato, si raccoglievano testimonianze e prove della repressione subìta (distrutte), o si riposava, e non importa se da pacifisti o da violenti, in quanto la rappresaglia di stato è ingiustificabile anche contro il peggior nemico.
Anarchici usati per colpire il movimento? Io penso di si. In fondo siamo il capro espiatorio più comodo e non da ora. Grazie ai media, vediamo come gli "anarchici" siano i capofila della devastazione e della confusione e come il movimento li protegga, anzi li accolga al suo interno. A mio avviso, la componente anarchica è una componente fondamentale per questo movimento, con questo è importante che si confronti, in modo critico e su ogni tema, sia pur mantenendo la propria identità. In questo passaggio storico, con un fascismo di ritorno alla luce del sole, preferisco lottare su contenuti specifici e concreti col movimento che pensare di arroccarmi dietro una sterile e passiva purezza intellettuale. Credo sia importante proseguire l'incontro culturale e politico messo in campo a Genova tra persone che nel proprio mondo quotidiano lavorano a favore della libertà, lo sforzo di collettivi tanto diversi tra loro di convergere su obiettivi comuni. Questo è ciò su cui si è lavorato, il messaggio politico che si è cercato di diffondere, nonostante i media completamente incentrati sulla violenza, strumentale al potere; questo è ciò che farò ed incoraggerò a fare ogni giorno dopo l'esperienza genovese.

Stefano Olimpi