Niente abbiamo
a che spartire
della redazione di
"A" e altri
In seguito agli avvenimenti
genovesi degli ultimi giorni, noi militanti delle sottoelencate
iniziative anarchiche, nel ricordare che migliaia di anarchici
hanno preso parte alla protesta pacifica contro il G8, nel
protestare contro la provocatoria violenza poliziesca, che
ha causato tra l'altro l'uccisione di un giovane manifestante
e la criminale "mattanza" di sabato notte nella sede del Genoa
Social Forum,
nell'esprimere solidarietà alle centinaia di dimostranti pestati,
arrestati e denunciati precisiamo che:
1) niente abbiamo a che spartire con gli "anarchici"
del Black Bloc e tipologie analoghe. Chiunque può definirsi
o essere definito anarchico: noi guardiamo ai comportamenti,
non alle etichette.
2) ciascuno deve assumersi la propria responsabilità.
Esattamente il contrario della pratica ingiustificabile di
compiere violenze per poi "rifugiarsi" tra gli altri dimostranti,
esponendoli ai brutali attacchi delle forze dell'ordine.
3) il nostro modo di essere presenti nel conflitto
sociale si ispira ai valori espressi in oltre un secolo di
storia dal movimento anarchico organizzato, nato in seno alla
Prima Internazionale e poi sviluppatosi nelle lotte sindacali,
nell'antifascismo, nella difesa appassionata delle libertà
individuali e sociali. Riteniamo che la violenza indiscriminata
e il terrorismo (anche psicologico) siano strumenti funzionali
al potere, non certo a chi vuole realizzare senza coercizione
una profonda trasformazione sociale di segno libertario. Chi
spedisce pacchi-bomba, chi mette a ferro e fuoco una città,
favorito dalla complice tolleranza delle forze dell'ordine
- così solerti con i pacifici dimostranti - non ha niente
in comune con noi, indipendentemente da eventuali comuni autodefinizioni.
Circolo libertario "Pisacane" - Bassano
del Grappa
Massimo Ortalli
dell'Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana
- Imola
Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" - Milano
"A" rivista anarchica - Milano
Cooperativa Alekos - Milano
23 luglio 2001
Per un cambiamento
radicale
della Commisione
di Corrispondenza della
Federazione Anarchica Italiana
Il carattere violento,
distruttivo, predatorio dei G8 si manifesta quotidianamente
nella vita della maggior parte degli abitanti del pianeta.
In nome del profitto di pochi, milioni di uomini, donne, bambini,
anziani sono costretti a condurre un'esistenza priva di dignità
e libertà, un'esistenza in cui sanità, istruzione,
accesso a risorse fondamentali come l'acqua sono diritti costantemente
negati. La globalizzazione dell'economia in fondo non è
altro che la globalizzazione del mercato, un mercato onnivoro,
senza altra morale che quella del profitto, senza altro limite
che la propria capacità di estensione. Persino quelli
che un tempo erano definiti libertà e diritti oggi
non sono che merci accessibili solo ai pochi, pochissimi che
possono permettersele.
Questo è un mondo intollerabile che induce sempre più
vaste moltitudini alla protesta ad alla rivolta, una protesta
ed una rivolta ormai globale che attraversa il pianeta, esprimendosi
con grande valenza simbolica in occasione dei periodici vertici
dei vari organismi transnazionali.
Anche a Genova si è dato appuntamento un movimento
vivace, composito, plurimo, determinato a gettare un fascio
di luce sulle politiche di distruzione e morte dei G8.
Il governo di centro destra presieduto da Berlusconi ha accolto
la protesta con inusitata violenza, una violenza alfine sfociata
nell'assassinio di un giovane di vent'anni. Dopo 24 anni da
quel lontano 12 maggio 1977, quando sotto il piombo della
polizia cadde a Roma Giorgiana Masi, le piazze d'Italia si
sono nuovamente coperte del sangue di un ragazzo. E di tanti
altri: picchiati, gasati, manganellati da poliziotti decisi
a soffocare con la forza delle armi la marea montante della
protesta, una protesta ormai ampia, tanto ampia da portare
a Genova ben trecentomila persone, giunte nella città
della Lanterna nonostante il terrorismo psicologico, le frontiere
bloccate, le stazioni chiuse, le uscite autostradali a singhiozzo.
Le tragiche giornate di Genova si sono svolte secondo un copione
che media, servizi segreti, Ministero dell'Interno stavano
preparando da mesi. Un copione che prevedeva la criminalizzazione
dei manifestanti, le cui ragioni dovevano essere ad ogni costo
oscurate, trasformandole in una questione di mero ordine pubblico.
I cattivi di turno, ossessivamente individuati nelle fila
del movimento anarchico, dapprima indicati come minoranza
sono stati progressivamente identificati con tutto il movimento
antiglobalizzatore, definito come complice e sostenitore delle
violenze. Culmine di questa strategia la frantumazione e dispersione
del pacifico ed imponente corteo di sabato 21, il feroce pestaggio
nella scuola che ospitava alcuni manifestanti, la devastazione
del centro stampa dell'Indipendent Media Center.
Per i G8, e per il governo italiano in modo particolare, è
necessario depotenziare la spinta trasformatrice del movimento.
Purtroppo l'ossessiva attenzione all'elemento mediaticamente
spettacolare della protesta, che segna in modo vistoso svariati
gruppi, dalle tute bianche al Black Bloc, più attenti
alle strategie di piazza che alla diffusione delle ragioni
della lotta ed al suo radicamento sociale, ha finito col porre
in secondo piano le tensioni ideali e progettuali della presenza
di piazza. Rifiutiamo la campagna di criminalizzazione del
Black Bloc, campagna che vede concordi i media dal Manifesto
al Giornale. Pur critici nei confronti di una strategia di
lotta che, riducendosi a mero confronto di piazza con la polizia,
smarrisce la necessaria tensione alla comunicazione diretta
più ampia, consideriamo inaccettabili le falsità
fatte circolare in questi giorni. Certamente, come comprovato
da più parti, provocatori e poliziotti hanno avuto
mano libera a Genova, rendendosi responsabili di attacchi
e distruzioni indiscriminate. Ma le loro responsabilità
non possono essere attribuite al Black Bloc, che, per sua
stessa dichiarazione, si è limitato a colpire banche
e altri simboli del potere. La nostra più profonda
alterità rispetto alla loro strategia non può
esimerci dal rispetto per la verità. Una verità
che in questi giorni è stata più volte calpestata
nel tentativo di fabbricare un perfetto capro espiatorio della
violenza poliziesca, questa sì feroce ed immorale.
La distruzione di cose non può essere comparata alla
violenza di chi bombarda popolazioni inermi, di chi decreta
la morte per fame, per malattia, per tortura. Di chi stronca
la vita di un giovane manifestante a colpi di pistola.
Gli anarchici e le anarchiche della Federazione Anarchica
Italiana aderenti al cartello di gruppi riuniti sotto la sigla
"Anarchici contro il G8" hanno voluto svincolare
la loro presenza di piazza dalla spettacolarizzazione imposta
dai media, puntando altresì su un rapporto diretto
con la popolazione genovese e con i tanti che delle politiche
neoliberali sono vittime nel nostro Belpaese.
La nostra presenza sin dalla manifestazione nazionale svoltasi
a Genova il 9 giugno è stata costantemente caratterizzata
da questa scelta di fondo. Per questo abbiamo richiesto, sostenuto
e contribuito ad organizzare lo sciopero generale contro il
G8 e la manifestazione di oltre quindicimila lavoratori a
Sampierdarena il 20 luglio.
Siamo stati in piazza anche il 19 luglio a fianco dei migranti
ed il 21 con uno spezzone di oltre 2000 anarchici che è
stato caricato a freddo sul lungomare.
Siamo sostenitori della necessità di un cambiamento
radicale, un cambiamento che non può ridursi, come
pretendono le tante anime del Genoa Social Forum ad un'umanizzazione
del capitalismo o alla democratizzazione del G8. La vita e
la libertà di sei miliardi di persone non sono trattabili
con i signori della terra ma vanno riconsegnate nelle mani
di ciascuno, uomo, donna o bambino che voglia, "padrone
di nulla, servo di nessuno, andare all'arrembaggio del futuro".
Erano le parole scritte sullo striscione che ha aperto le
manifestazioni anarchiche contro il G8, uno striscione distrutto
dalle cariche della polizia, ma i cui contenuti restano fermi
nella lotta di ogni giorno, quella che in ogni luogo, costantemente,
ci vede a fianco degli oppressi e degli sfruttati.
Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica Italiana
25 luglio 2001
A proposito
dei Black Bloc
di Pietro Della
Mea
Leggo spesso e volentieri
A; sono rimasto molto colpito dal volantone sulla globalizzazione
dell'ultimo numero, mi è stato utile, cercavo qualcosa che
spiegasse in forma abbastanza sintetica le finalità e i modi
di operare dei grandi organismi sovranazionali economici e
politici; ma mi ha lasciato perplesso il "Comunicato stampa
di alcune realtà anarchiche" sottoscritto da A. Sebbene
trovi inoppugnabili le critiche mosse ai black bloc nel comunicato,
mi sembra "sbagliata" la modalità in cui vengono espresse
perché, forse ingenuamente, dopo aver letto il volantone avuto
a Genova nelle posizioni sostanzialmente pacifiste
e nell'approccio del quale, un po' rincuorato, mi ero in qualche
modo riconosciuto avevo sperato nella possibilità che
la vostra realtà "nostra" non posso dirlo perché la
conosco solo per mezzo delle pagine della rivista che
mi era apparsa una volta di più come una delle poche in grado
di produrre un pensiero lucido su questioni complesse e incalzanti
come la globalizzazione (e questa mia era ed è in parte, ne
sono consapevole, una reazione molto "emotiva" a una sensazione
di alterità che a volte assume le forme di un senso di isolamento
rispetto a quanto mi sta intorno, alle mezze opinioni dei
miei amici, all'atmosfera di confusione spesso un po' stanca
e autoindulgente che mi circonda e a volte mi prende e che
negli ultimi giorni, forse per via dell'onda emotiva degli
avvenimenti di Genova, mi è parsa magari meno stanca ma in
realtà non tanto meno confusa di prima) avevo sperato
che questa realtà potesse porsi con un approccio sì duramente
critico, ma dialogante, nei confronti di quella dei "Black
Bloc", della quale non condivido le modalità ma rispetto alla
quale ho una visione diversa da quella pare essere,
a volte un po' "comodamente", l'unico punto di accordo tra
tutte le altre realtà coinvolte che sta passando in
questi giorni; una visione che mi porta a pensare che il semplice
dissociarsi non serva a nulla e rischi di diventare sostanzialmente
controproducente, e che una qualche forma di confronto, duro
com'è giusto che sia, potrebbe essere tanto più costruttiva;
perché leggo in giro (sulla rete che è poi il terreno
dove la realtà dei Black Bloc cresce e si organizza; ma prevalentemente
su siti stranieri) dibattiti sui black bloc nell'ambito dei
quali, forse in maniera abbastanza inedita, capita che questi
si espongano al confronto.
In sostanza, comprendo la necessità politica di un comunicato
che chiarisca le posizioni, ma penso che forse quel comunicato
avrebbe avuto più senso se avesse chiamato in causa direttamente
i black bloc, se fosse stato indirizzato anche a loro in quanto
soggetti attivi nel panorama attuale; perché, piaccia o non
piaccia, lo sono; e sono una delle poche realtà realmente
internazionali (http://www.infoshop.org),
capace di un livello di organizzazione e di monitoraggio dei
movimenti delle grandi entità sovranazionali politiche ed
economiche che raramente è dato di vedere nelle altre realtà
del "movimento"; e se è vero che a questo giro (e, ribadisco,
in modo inedito) sono più disposti a qualche forma di confronto,
mi viene da pensare che forse gli interlocutori più adatti,
in una situazione di questo tipo, potrebbero essere proprio
gli anarchici più "seri", più preparati e soprattutto
credo che l'elemento discriminante sia principalmente questo
drasticamente più capaci di una visione realistica;
come quelli per esempio che gravitano intorno
a una rivista come A. Ovviamente parlo di un possibile
confronto con i Black Bloc non con gli infiltrati o
gli uligani che hanno "esteso" gli obiettivi simbolici ma
molto ben definiti degli stessi fino a scontrarsi con gli
altri manifestanti; un confronto che magari parta proprio
dallo sbattergli in faccia la realtà dei fatti, ovvero che
in fondo la modalità di protesta che portano avanti è molto
ingenua (perché da un punto di vista identitario molto "romantica",
"eroica" e "letteraria" come la definiva correttamente
il volantone) e che proprio per questo (in particolare per
via di una scelta che è diretta conseguenza di questo approccio,
quella di calarsi nella parte "forte" del "guerriero senza
volto") si presta a essere infiltrata persino dai peggio residui
nazofili da stadio (oltre che dalla polizia), a essere usata
strumentalizzata manipolata dal potere per giustificare i
propri soprusi, e poi forse anche dalle altre realtà di un
panorama in verità ancora molto frammentato nel tentativo
di trovare un qualche appiglio "unificante", inevitabilmente
fragile.
Credo che la violenza fosse un intento precostituito della
polizia, che ci sarebbe stata anche senza i Black Bloc, e
che probabilmente la polizia avrebbe trovato/creato qualche
pretesto per agire come ha agito anche se il venerdì non fosse
stato designato da tempo, e da altre realtà oltre a quella
dei black bloc, come la giornata in cui si sarebbero prodotti
i tentativi di assalto all'infame zona rossa. Che le modalità
scelte per l'assalto fossero diversificate tra le varie realtà
partecipanti ritengo sia a questo punto abbastanza secondario,
perché non credo sia realistico pensare che - se pure non
ci fossero stati i tentativi di scontro diretto con la polizia
da parte dei black bloc la modalità di assalto scelta
per esempio dalle tute bianche (aprire buchi nelle reti con
la fresa) non avrebbe causato la stessa reazione da parte
della polizia. Voglio dire che se dobbiamo prendere le distanze
dalla violenza (come personalmente ritengo sia auspicabile)
dobbiamo prenderle da "tutta" la violenza; anche dagli atti
non direttamente violenti ma che a una visione realistica
appaiono inevitabilmente funzionali (strumentali) alla stessa.
Questa è anche un'autocritica.
Che l'urgenza di un confronto sulle volontà e gli obiettivi
che muovono le varie realtà di questo scenario antagonista
così diversificato sia ciò a cui tutti si dovrebbe tendere
mi pare chiaro, come mi pare chiaro che trovare elementi di
affinità solo nella semplice (per quanto validissima) considerazione
che è inaccettabile il livello di repressione espresso dal
governo in questi giorni sia troppo poco. Paradossalmente,
ho la sensazione che un confronto in questo ambito (un confronto
sulle volontà e le finalità che muovono la lotta) rivelerebbe
non poche affinità tra gli anarchici "del comunicato" e quelli
dei Black Bloc; ho la sensazione cioè che il confronto si
sposterebbe presto sulle modalità di protesta e che rimarrebbe
molto più legato alle finalità, agli obiettivi, alle volontà
(e quindi molto più complesso) un eventuale confronto con
i sostenitori di entità "politiche" come quella dei ds o anche
di rifondazione comunista. Mi rimane comunque la convinzione
che non ci si possa muovere ancora una volta solo per reazione
a quella che in fondo è stata l'espressione per una volta
visibile del vero volto del sistema in cui viviamo. Forse
è bene che una "comunanza di intenti" rimanga per ora limitata
all'ambito dell'intolleranza nei confronti dei modi omnirepressivi
del potere; ma credo sia auspicabile che da qui parta un confronto
tra le varie realtà, che magari potrebbe portare a una maggiore
unità d'intenti e prospettive, ma che credo risulterebbe utile
anche se producesse soltanto una (ri)definizione chiara delle
volontà da cui ciascuna realtà muove il proprio agire. In
questo senso mi viene da dire che il nemico non sono i black
bloc, il nemico (di cui i Black Bloc sono forse vittime e
perciò forse anche inconsapevolmente sostenitori) è l'assuefazione
allo strapotere mediatico (e alla tendenza a promuovere una
indifferenziazione del piano "del racconto" da quello "della
realtà" portata avanti anche da entità che si pensano e si
propongono "affini" alle posizioni antagoniste) che, per fare
un esempio, permette ai "Grandi" il grande Berlusconi
e il grande Bush su tutti (la B di brother li accomuna) -
di rendere credibile agli occhi della maggioranza sovraesposta
una triste pantomima di ciò che ormai altrimenti risulterebbe
incredibile a tutti: "soluzioni efficaci rapide concrete (la
"concretezza" e l'"efficacia" del pensiero monetario)/pensiero
forte (la "forza" di approcci univoci non diversificati
globalizzanti imposta a tutti i paesi e le culture)";
è lo stesso nemico che permette, per fare un altro esempio,
ai black bloc di pensarsi "guerrieri" e di portare avanti
una modalità di lotta nociva "perché militarizza il movimento,
perché concentra l'attenzione sull'azione violenta riducendo
il significato della conflittualità, perché si presta a favorire
un eroismo di piazza e una cultura dell'atto saltuario, raccontabile,
letterario (gli eroi giovani)" come ben descriveva,
prima degli eventi di Genova, il volantone bilingue; in questo
esprimendo una critica diretta a chi ha abbracciato queste
modalità, cui però, almeno stando al testo del comunicato
post G8, non mi sembra corrisponda alcuna apertura al confronto,
proprio nel momento in cui forse sarebbe possibile. E qui
si entra anche, e inevitabilmente, in un discorso abbastanza
spinoso sulla "visibilità" di realtà come quella di A (e quindi
sull'effettiva possibilità che le idee espresse da questa
realtà possano raggiungere quelli che, nell'ambito di una
discussione sulle modalità di protesta, sarebbero in questo
momento gli interlocutori più importanti), e sui possibili
terreni di questo confronto. La rete potrebbe ri/diventare
un terreno possibile; la forma scritta potrebbe permettere
un approccio più riflessivo che a sua volta consentirebbe
di compensare l'effetto altrimenti caotico di una partecipazione
eventualmente diffusa. Vi rimando a:
http://barcelona.indymedia.org/front.php3?article_id=3193&group=webcast
http://italy.indymedia.org/front.php3?article_id=4636
Sono alcune delle opinioni che circolano sui Black Bloc; si
può partire da lì per rispondere, anche se ancora un vero
e proprio forum non c'è.
Grazie per il lavoro che portate avanti.
Pietro Della Mea
qgino.it@tiscalinet.it
"Parlavano
in italiano"
di Alessandro
Martometti
Arrivo a Genova, assieme a tre amici,
intorno a mezzogiorno di venerdì 20 luglio. Essendo in macchina,
decidiamo di entrare dal casello di Genova-Nervi, che scopriamo
non essere controllato. Parcheggiata l'auto, in via Timavo,
proseguiamo a piedi sino al lungo viale che costeggia la stazione
di Brignole. Sul fondo del viale a circa un chilometro
e mezzo da noi si vede solamente fumo di lacrimogeni.
Sul viale non c'è un vero e proprio corteo: si tratta piuttosto
di gruppi sfilacciati e scollegati tra loro che mi danno l'impressione
di non sapere bene neanche loro cosa succeda o cosa fare.
Ci viene incontro una fila di persone con bandiere dei Quattro
Mori e di Rifondazione. Si allontanano dal centro. Parlo con
uno di loro: sono rifondaroli sardi e mi offrono un bicchiere
di vino. Perché si allontanano? Dove vanno? Boh... Di preciso
non lo sanno neanche loro. Così come non sono riusciti a capire
cosa stia succedendo più giù, in fondo al viale.
Penso di andare a vedere di persona e mi avvio. Due elicotteri
sorvolano la zona a bassa quota facendo un casino nero con
i rotori. Alla mia destra la Ligue Communiste Revolutionnaire
e i comunisti greci in piedi, compatti e fermi, un po' ovunque
Verdi, ambientalisti, cani sciolti e militanti delle associazioni
più varie seduti sul marciapiede o diretti ovunque. Mi colpisce
l'andirivieni delle ambulanze. Man mano che scendo in direzione
del fumo l'assembramento si fa più compatto ma ancora a poche
centinaia di metri dalla testa del corteo non si capisce
chi cerca di fare cosa. Così mi arrampico ad un'inferriata
per vedere meglio, e noto due specie di grosse autoblindo
armate di idranti che si insinuano tra i manifestanti e li
scacciano con l'acqua, seguite dai poliziotti che li scacciano
con i manganelli. Sulle prime penso ad un tentativo di contenere
le pressioni del corteo, poi scopro che però la manovra non
s'arresta e il corteo è costretto ad arretrare lentamente
ed incessantemente. Decido di tornare al punto di partenza.
Mi mostrano un'auto sportiva ancora fumante: "I tedeschi,
un'ora e mezzo fa", mi dicono. Gli unici tedeschi li noto
dopo, più su: ragazzi e ragazze in nero seduti all'ombra di
un portico. A circa metà del viale vedo, in una traversa a
destra che prima era libera, un "battaglione" di poliziotti
che, scudo in mano e manganello in resta, si organizza su
varie file, pronto e in attesa. Sembrano la versione truce
dei legionari di Asterix. Non mi spiego la cosa, anche perché
lì non c'è altro che qualche manifestante che passa per i
fatti suoi. Da giù intanto, con calma e gesso, idranti e manganelli
si continua a spingere. Poco dopo le cinque comincia a circolare
voce che un ragazzo, forse una ragazza, è morto; che la polizia
sta caricando e spara. Dove? Al Carlini, al Gaslini. Non se
ne capisce niente. Si diffonde pesantemente la tensione, qualcuno
piange, non si capisce un tubo. Raggiungo finalmente gli amici
e ci sediamo sul marciapiede.
A fianco a noi si siedono quattro tizi vestiti di nero, giovani:
chi ha una bandiera nera, chi Marx, Lenin e Stalin sulla maglietta,
chi una spranga e chi un manico di piccone. Li sento parlare:
sono italiani. Ora le ambulanze corrono al ritmo di tre-quattro
ogni dieci minuti. Tizi curiosi passano e ripassano con lo
scooter davanti a noi osservando tutto e parlando al telefonino.
Sirene spiegate, elicotteri, scooter, casino. E, di punto
in bianco, lacrimogeni e fuggi fuggi alla mia destra, all'altezza
della traversa dei "legionari", che ora pestano malamente
e senza preferenze. Vedo un ragazzo col piede spezzato portato
via dagli amici. Il coordinamento scioglie il corteo e da
appuntamento al Velodromo per potercisi riorganizzare. Anche
i tizi in nero vanno via, litigando fra loro. Alle 19,30 io
e i miei amici andiamo via da Genova. Giorni dopo a casa ho
capito cosa è successo: la polizia non intendeva affatto contenere
i manifestanti così come avevo pensato in un primo momento,
ma ci ha spinto dal basso sino a ricompattare in un punto
preciso il corteo, piuttosto sfilacciato per poi a
freddo aggredirlo e scioglierlo a suon di mazzate.
Sin qui la cronaca. Ora un paio di considerazioni: chiunque
poteva entrare tranquillamente a Genova con le intenzioni
più impensate e fare quello che voleva; a Nervi il portone
era aperto e nessun Rappresentante dell'Ordine Pubblico si
è sognato poi di sottrarre la mazza ai legittimi possessori
salvo, dopo, pestare tutti indistintamente. Perché? Perché
la divisione tra manifestanti "buoni" e manifestanti "violenti"
era fittizia e ad usum populi, mentre la divisione, quella
vera, concreta come un pestaggio, era quella tra chi contesta
e chi si occupa dei fatti suoi, a casa. Disarmare i teppisti
è banale: molto, ma molto meglio "aspettare che accada l'irreparabile,
intervenendo dopo, e non prima, in modo da suscitare il clamore
che i politici si aspettano", come dice il commissario Jouin
in un bel romanzo di Pino Cacucci. Le contestazioni di piazza
che sia chiaro ai "cittadini" "si risolvono
immancabilmente in violenza e disordine".
Alessandro Martometti
Tute nere e
che altro?
dei Gruppi
anarchici imolesi
Parlare di quanto è successo a Genova
non è facile ma ci proveremo ugualmente.
Gli aspetti da prendere in considerazione sono molteplici
e siamo sicuri che non esiste una sola verità, soprattutto
quella raccontata dal governo, ma un insieme di verità che
alla fine coincideranno per dare un quadro più comprensibile
di quanto è successo.
1) Non ci nascondiamo dietro un dito, quindi non neghiamo
che il Black Bloc, le cosiddette tute nere facciano parte,
o perlomeno si considerino parte integrante del movimento
anarchico americano e del nord Europa. Non nascondono di scendere
in piazza per distruggere i simboli del capitale quali banche
e società finanziarie e per far questo si muovono in occasione
di manifestazioni allargate. I media che in questi giorni
ne hanno parlato sono comunque concordi nell’affermare che
la loro violenza, comunque assolutamente dannosa e controproducente,
è rivolta esclusivamente contro le cose e non contro le persone.
Questo è quanto abbiamo letto sul Corriere della Sera
e sulla Stampa. Ed è anche quanto già sapevamo dai
loro comunicati che regolarmente appaiono su Internet. Se
ciò non giustifica la loro tattica, serve però a spiegare
perché non usano armi vere e proprie ma solo strumenti di
distruzione.
2) Ci sono testimonianze a centinaia, e non solo quelle apparse
sulla stampa nazionale, ma anche quelle raccolte in rete o
dai compagni presenti a Genova, che dimostrano al di là di
ogni ragionevole dubbio che in mezzo ai Black e agli altri
giovani rivoltosi di altre matrici politiche, o senza matrici
politiche come il povero Carlo Giuliani, si erano infiltrati
numerosissimi elementi delle cosiddette forze dell’ordine
(e, come sta emergendo sempre più chiaramente, anche nazisti,
naziskin e fascisti vari). Non solo le foto apparse sulla
stampa o i filmati televisivi suffragano queste affermazioni
(del resto ampiamente riportate da giornali non certamente
teneri con gli anarchici), ma lo stesso comportamento dei
comandanti della piazza, comportamento altrimenti inspiegabile,
coincide con quanto affermiamo.
Se è vero che i servizi segreti di mezzo mondo (e l’Italia
ne ha ben otto) conoscevano da tempo i militanti del Black
Bloc, se è vero che erano stati impiegati tutti i mezzi per
controllare e fermare i probabili guastatori, delle due l’una:
o questi servizi segreti sono composti da cialtroni inefficienti
(ipotesi plausibile) oppure ne hanno permesso l’arrivo in
massa (ipotesi ancora più plausibile). Quel che è certo è
che le tute nere sono servite da cavallo di Troia per infiltrare
le manifestazioni di “servitori dello stato” in vesti di veri
e propri agenti provocatori. E che questi “servitori dello
stato” hanno dato un contributo determinante alla distruzione
che abbiamo sotto gli occhi.
3) Gli altri “servitori dello stato” in divisa hanno perfezionato
l’opera iniziata sia dai loro colleghi travestiti da dimostranti,
sia dai componenti i commandos di guastatori. La loro unica
preoccupazione è stata quella di far sì che grandi manifestazioni
di piazza si trasformassero in scontri, resi inevitabili dal
legittimo tentativo di difendersi da assurde, gratuite e criminali
cariche contro le stesse. Chi ha visto la diretta di sabato
su Rai Tre ha potuto verificare di persona la assoluta pretestuosità
di un fittizio lancio di lacrimogeni della polizia sulla testa
di un corteo assolutamente inoffensivo. E poi ascoltare le
parole di un poliziotto che giustificava tale comportamento
con l’aspetto “minaccioso” del corteo. Ma ci facciano il piacere!
Sono “professionisti dell’ordine pubblico” o i peggior celerini
di scelbiana memoria?
La stessa tragica sequenza di avvenimenti finita con l’omicidio
di Carlo Giuliani è una dimostrazione della tattica criminale
ed irresponsabile tenuta dai responsabili della piazza. Dove
era in quel momento quella fittissima schiera di carabinieri
che avevamo visto retrocedere esattamente quindici secondi
prima degli spari? Aveva già fatto un chilometro di corsa
più velocemente delle camionette che la precedevano? È così
normale che dei professionisti addestrati e armati di tutto
punto dovessero scappare di fronte a una cinquantina di giovani
armati di sassi, bastoni e scudi di plastica?
Siamo convinti che di “stranezze” di questo tipo, in quei
giorni, a Genova, se ne siano viste tante, troppe!
4) A questo punto però siamo convinti che non di “stranezze”
si tratti, ma di precise volontà politiche. Genova doveva
diventare il teatro di durissimi scontri, quali in Italia
non si vedevano da decenni, e questo è successo grazie alla
demenziale ed oggettiva sinergia fra le forze di polizia e
gruppi di dimostranti predisposti a cadere nella trappola.
Ormai il progetto del governo Berlusconi, e dei poteri forti
che ne hanno permesso la vittoria (toh!, di nuovo Agnelli,
Confindustria e Banca d'Italia) si è ampiamente disvelato.
Dopo la criminalizzazione degli anarchici (purtroppo agevolata
da alcuni settori marginali del movimento) attraverso la troppo
facile e generica equazione anarchici = violenti, si è passati
alla criminalizzazione dell’intero movimento che non solo
si riconosce nel Genoa Social Forum (e questo il governo lo
ha già detto chiaramente) ma che esprime un insieme vastissimo
di tendenze e proposte. Un movimento in crescita, anticapitalista
e antiliberista, colpita da centinaia di arresti e che evidentemente
va stroncato sul nascere. Ma questo è ancora niente. Un potere
che mostra la volontà, riuscendoci, di attaccare e spaccare
un corteo pacifico di trecentomila persone, manda un messaggio
estremamente chiaro: “operai, studenti, lavoratori, antiglobalizzatori
e via dicendo, non provate a scendere in piazza perché siamo
disposti a massacrarvi”. Questo è il progetto di un governo
fascista, autoritario e “cileno”, criminalmente espresso a
chiare lettere a Genova e arrogantemente rivendicato in parlamento.
Questo e non altro!
5) Per concludere! Migliaia e migliaia di anarchici, della
Federazione anarchica italiana e di altre organizzazioni nazionali
e internazionali, hanno sfilato a Genova sotto le loro bandiere,
in mezzo ai cortei dei lavoratori in sciopero e degli antiglobalizzatori,
senza derogare dalla loro irriducibile critica allo Stato
e senza cadere nella trappola del potere. Senza fare il gioco
di nessuno.
Detto questo non possiamo però esimerci dal riflettere su
come sia possibile che gli ideali di libertà e giustizia propri
degli anarchici, quelli per i quali il nostro movimento si
batte da sempre, possano essere interpretati ed esplicitati
con azioni violente assolutamente antitetiche al nostro modo
di intendere l’anarchismo. Se anche il fine può essere lo
stesso, certi strumenti non possono coincidere. Anche se pensiamo
che la violenza di chi distrugge una banca non sia paragonabile
a quella di chi ammazza un giovane o massacra migliaia di
persone inermi, siamo convinti però che quella strada non
potrà mai portare ad una società anarchica aliena da ogni
forma di coercizione e di potere. Di qualsiasi potere. E quindi
non potrà essere la nostra strada.
Gruppo anarchico La Comune
Gruppo anarchico Errico Malatesta
Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana
Imola, 24 luglio 2001
Fuori dalla rappresentanza
di Luisa Muraro
Che cos'è capitato a
Genova? Molto in breve, è capitato questo, che il movimento
"per una globalizzazione delle possibilità di essere felici"
(il nome l'ho coniato io, quelli correnti non mi piacciono),
detto anche il movimento dei movimenti, nella ricerca di un
protagonismo più visibile e riconosciuto, è andato troppo
vicino all'avversario (cioè, i sostenitori del liberismo a
tutto campo) e ha preso un grave colpo.
Che cosa intendo? Intendo che l'avversario, probabilmente
con una mossa ben calcolata, basata sulle esperienze analoghe
del passato, manipolando (o confezionando, che importa) un
gruppo di ultraviolenti, ha puntato a rovinare l'immagine
mass-mediatica del movimento, occupando lo schermo televisivo
e le pagine dei giornali con lo spettacolo delle distruzioni
violente. "Voi volete rovinare la nostra festa? E noi rovineremo
la vostra": questo è stato il ragionamento.
Purtroppo il colpo è andato a segno. Il movimento ha perso
una parte del credito che stava guadagnando rapidamente e
diffusamente; ora la sua immagine rischia di confondersi con
quella di un movimento di contestatori; i suoi responsabili
sono già risucchiati nella spirale di dover indire manifestazioni
contro la repressione, per la democrazia, e di dover fare
battaglie legali e parlamentari per ristabilire un minimo
di verità, finendo così su un terreno che interessa solo una
minoranza, e sempre a ridosso dell'avversario, con una perdita
di forza espansiva e di signoria.
Torno indietro nel tempo. Il 3 giugno scorso, Naomi Klein,
l'autrice di No Logo, è stata ospite della Libreria
delle donne di Milano dove si è discusso di "politica del
simbolico", cioè di una politica che non si fa con la forza
dei muscoli, che non si appiattisce sull'economia né si limita
a correggere l'economia con i diritti, ma che fa leva sui
desideri e sulle relazioni, per un senso più libero e personale
del vivere e della convivenza. Ebbene, a un certo punto Naomi
Klein ha detto (cito a memoria): "Conviene lottare dovunque,
nei contesti più diversi; forse l'appuntamento di Genova sarà
l'ultimo di questo tipo (megamanifestazioni) ed è meglio così".
Ci fu un applauso. Abbiamo applaudito alla sua intuizione
dei limiti delle manifestazioni di piazza, e alla sua fiducia
verso le nuove pratiche politiche.
Uno sbaglio (rimediabile, io credo e spero) è stato di mettersi
a dipendere dal sistema dei mass-media per la propria esistenza
simbolica. Tutti i mezzi di questo mondo, compresa la Rete,
sono secondari e tali devono restare, rispetto alla capacità
di praticare relazioni vive, forti, capaci di farci sentire
bene con le/gli altri, relazioni in cui ci sia scambio di
cose essenziali (sapere, amore, piacere) e che ci facciano
cambiare in meglio, nel senso di darci più libertà e più gusto
di stare al mondo. Questa è politica prima (secondo il nome
che le abbiamo dato nel Sottosopra rosso, quello della fine
del patriarcato), praticata dal movimento delle donne, ma
sempre di più anche dalle persone, giovani e meno giovani,
disgustate della politica ufficiale. È politica prima anche
trovare le parole e le immagini per tutto questo, e farle
circolare: il lavoro delle artiste e degli artisti sta diventando
perciò sempre più importante, non meno di quello dei giornali
e della Rete.
Un altro punto che fa problema, secondo me, è l'aspirazione
a diventare interlocutori dei sedicenti "grandi", in questo
caso gli otto capi di governo che si sono riuniti a Genova.
Secondo alcuni, sarebbe senso di responsabilità; io penso
che sia un confondere i piani e finire sul terreno dell'avversario.
Non si deve entrare nell'idea della rappresentanza, ossia
credere di rappresentare gli interessi di tanti altri, e pretendere
di farli valere con (o contro) i detentori di questo o quel
potere, fossero pure, come in questo caso, personaggi eletti
legalmente (democraticamente, sarebbe dire troppo).
Gli interlocutori di un movimento non sono i potenti, ma le
innumerevoli persone silenziose che possono essere contagiate.
La forza dei movimenti cresce finché essi hanno la forza incalcolabile
del contagio, spingendo le/gli interessati a farsi protagonisti
delle loro vite e a negare ogni involontaria complicità con
il dominio. Questa sottrazione di sé al sistema del potere,
per cominciare a inventare un altro mondo, è la mossa vincente,
come dimostrano i fatti: io ho in mente specialmente i fatti
della rivoluzione femminista e femminile contro il dominio
patriarcale.
Infine, un'autocritica. Molto di quello che ho scritto qui,
io e altre meglio di me, lo sapevamo da prima. Anche la mossa
dell'avversario era prevedibile da prima, almeno da parte
di chi ha una storia come la mia, che comincia negli anni
Sessanta e si è sviluppata nei movimenti non organizzati.
Ma non abbiamo parlato, non siamo intervenute. Saremmo state
ascoltate? Non lo so, ma valeva la pena esporsi a questa prova
e, forse, si doveva. C'è bisogno di più autorità femminile
in questo cambio di civiltà e, perché ci sia, bisogna che
la conquistiamo esponendoci in prima persona. La pratica della
relazione, affidamento compreso, è fatta (anche) per questo.
Luisa Muraro
(dal sito www.libreriadelledonne.it)
L'arma
vincente del potere
di Stefano
Olimpi
Gli ultimi avvenimenti
occorsi nella culla della civiltà, nell'Europa della
convenzione dei diritti umani, svelano agli occhi di noi ingenui
e giovani militanti pratiche repressive ritenute lontane,
appartenenti ad altri regimi o ad altre epoche. È ciò
che abbiamo sofferto e vissuto per le strade di Genova, ma
di cui avevamo già avuto assaggi a Goteborg e Barcellona
nell'arco degli ultimi due mesi, è l'esplicito giro
di vite dettato dalla cupola della dittatura del pensiero
unico ai danni di tutti coloro che dissentono.
Andiamo con ordine: in prima battuta è evidente, e
sempre più estesa, la distanza tra la classe politica
e la gente comune. Da una parte, summit di pochi potenti,
"leader democratici" rappresentativi di minoranze
assolute incanalate dai media, nonché fantocci di multinazionali
assetate delle ultime gocce di sangue del pianeta (quando
non loro stessi vertici delle stesse). Dall'altra, un movimento
composito e variegato, che manifesta, contesta apertamente;
e che tra mille difficoltà tenta di dialogare, confrontarsi
ed informare sui temi di una globalizzazione che allarga sempre
più la forbice tra chi ne gode e chi ne è schiacciato.
Il punto di contatto tra le due realtà è la
repressione selvaggia messa in atto dal braccio armato dell'ordine
costituito, spiegato massicciamente ad ogni occasione in tutta
la sua forma più spettacolare ed attrezzata (polizia
in tenuta anti-sommossa ed armata, cingolati, elicotteri in
perlustrazione costante, ma anche infiltrazioni a tutti i
livelli) eppure incapace (non intenzionato?) di fronteggiare
piccole schiere di violenti devastatori ma estremamente abile
nel reprimere e picchiare selvaggiamente nel mucchio od organizzarsi
in squadre punitive.
Proprio su queste schiere mi sembra importante una considerazione:
tali Black Bloc, costantemente definiti anarchici, sono stati
a mio avviso l'arma vincente del potere. E' probabile che
ne facciano parte gruppi di ispirazione anarchica che prediligono
la via violenta all'abbattimento dello stato, ma ad essi si
sono aggiunti, qualora non fossero i fautori principali, nugoli
di soggetti di semplice ispirazione vandalica, sul modello
degli ultrà dello stadio, gente di assoluta ignoranza
politica ma bruciante del desiderio di sfogare la propria
frustrazione quotidiana (ho avuto modo di conoscerne direttamente).
Ed ancora, non dimentichiamo che gli infiltrati presenti in
ogni ambito hanno avuto buon gioco nel tirare le fila di questi
cani sciolti, giocandoli a proprio favore. Si, perché
non mi pare credibile che tali gruppi, sia pur rapidi nell'apparire
tra la folla, possano aver avuto il tempo necessario ad incendiare
e devastare banche, auto e quant'altro mentre l'imponente
esercito di "forze dell'ordine", con la regia dall'alto
degli elicotteri, non sia stato in grado di intervenire se
non deliberatamente nei confronti della folla pacifica e disarmata
che animava le varie piazze il venerdì o sfilava in
corteo il sabato. Anzi, oserei dire che tutta la forza di
cui è capace l'organo violento dello stato è
stata chiaramente messa in atto a mente fredda, proprio nel
momento in cui nella scuola Diaz, nella notte di sabato, si
raccoglievano testimonianze e prove della repressione subìta
(distrutte), o si riposava, e non importa se da pacifisti
o da violenti, in quanto la rappresaglia di stato è
ingiustificabile anche contro il peggior nemico.
Anarchici usati per colpire il movimento? Io penso di si.
In fondo siamo il capro espiatorio più comodo e non
da ora. Grazie ai media, vediamo come gli "anarchici"
siano i capofila della devastazione e della confusione e come
il movimento li protegga, anzi li accolga al suo interno.
A mio avviso, la componente anarchica è una componente
fondamentale per questo movimento, con questo è importante
che si confronti, in modo critico e su ogni tema, sia pur
mantenendo la propria identità. In questo passaggio
storico, con un fascismo di ritorno alla luce del sole, preferisco
lottare su contenuti specifici e concreti col movimento che
pensare di arroccarmi dietro una sterile e passiva purezza
intellettuale. Credo sia importante proseguire l'incontro
culturale e politico messo in campo a Genova tra persone che
nel proprio mondo quotidiano lavorano a favore della libertà,
lo sforzo di collettivi tanto diversi tra loro di convergere
su obiettivi comuni. Questo è ciò su cui si
è lavorato, il messaggio politico che si è cercato
di diffondere, nonostante i media completamente incentrati
sulla violenza, strumentale al potere; questo è ciò
che farò ed incoraggerò a fare ogni giorno dopo
l'esperienza genovese.
Stefano Olimpi