rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


La forma del cavallo

 

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a cura di Carlo E. Menga

L'Italia è uno strano paese, i cui abitanti sono strani amanti della libertà, che prima si danno degli obblighi di civile convivenza, sicurezza e legalità, e poi quasi ritengono odioso e degradante rispettarli. Certo, per tutti gli uomini le limitazioni della libertà sono fastidiose. Ma per gli italiani, come anche per altri popoli mediterranei o comunque di origine latina, le norme e i regolamenti sembrano essere particolarmente lesivi della personalità individuale. Della propria, naturalmente, perché di quella degli altri non ci preoccupiamo affatto. L'obbligo di lenti durante la guida, il casco per i motociclisti, le cinture di sicurezza, il tasso alcolico nel sangue durante la guida medesima, e perfino il divieto di transito e quello di sosta, è roba che riguarda gli altri, non noi. E questo, per parlare solo del codice della strada. È evidente che gli italiani si guardano bene dal pensare che gli uomini sono tutti uguali, e certamente ritengono che la società perfetta esiste già, se loro sono ricchi; oppure, per colpa degli altri, è impossibile da realizzare, se ricchi non sono. Ciò non fa di loro degli individualisti, bensì semplicemente degli egoisti. Non quelli di Stirner, che convivono tra eguali, ma quelli del mercato, che comprano e vendono cercando di fottersi l'un l'altro e ritenendo sé stessi furbi e gli altri polli.
Io ricordo con vivida chiarezza due insegnamenti di mio padre, quasi del tutto opposti ai convincimenti degli italiani: il primo sostiene che è certo che tutti gli uomini sono uguali, e la riprova cruciale e inoppugnabile di ciò si ha quando stanno seduti sul cesso. Il secondo afferma che l'anarchia (la società perfetta) è possibile solo per gli angeli. Il che non esclude che gli uomini possano un giorno diventarlo, ma se consideriamo quanto siamo vicini alle scimmie e quanto lontani dagli angeli, c'è da disperare per tutti noi e per molte generazioni a venire, di vedere quel giorno, data anche la lentezza con cui i nostri geni si riproducono e mutano rispetto a quelli degli scarafaggi e dei topi. Per non parlare della povera Drosophila melanogaster, meglio nota come moscerino dell'aceto, a cui i cinici sperimentatori hanno fatto perfino crescere delle ali al posto degli occhi, pur di ottenere alla fine una cosa risibile come la mappa del genoma umano, e per la sorte della quale nessun ambientalista e animalista versa una lacrima, preferendo riservare la spremuta delle proprie congiuntive a favore di cani e scimmie, notoriamente più vicini all'uomo dal punto di vista genetico di quanto non sia un volgare insetto. Misteri della democrazia animale!
Gli italiani sono democratici perché conviene a loro, non per il bene del popolo. Quelli che sentite in giro invocare l'uomo forte (ancora!) e il pugno duro, desiderano queste cose per gli altri, e la piena libertà per sé, così da potere fare indisturbati i fatti propri. In quest'ottica, in questa interpretazione tutta mediterranea, la democrazia è l'elevazione al quadrato della libertà, e l'anarchia (chimera irraggiungibile e perciò odiata e temuta) l'elevazione al cubo, lo status in cui ognuno può fare ciò che più gli aggrada. Non dimenticherò mai la frase di un caro amico, allora compagno di scuola al ginnasio, il quale, vessato da non so più quale sopruso di chi, arringò la classe dicendo: "Siamo in una repubblica democratica, e ognuno fa quello che cazzo vuole!". Questo è il motto dell'italiano, che ama la democrazia, ma che non esiterebbe ad appoggiare qualunque colpo di stato, non appena i diritti suoi si volgessero in doveri, o peggio, in diritti degli altri.
Questa versione della democrazia, questa istanza di salvaguardia dei propri privilegi a danno di quelli degli altri, ancora una volta ispira la campagna elettorale degli italiani. Nel tentativo di vendere la propria immagine con gli stessi sistemi e meccanismi (ma qualitativamente più ingenui) del mercato commerciale e della sua anima pubblicitaria. Ogni candidato a questa o a quella poltrona, impegnatissimo nel sostenere sé stesso (dato il ricco aumento delle prebende di rappresentanza), lancia una serie di due o tre parole positivamente valorizzate, del tipo, tanto per trasceglierne una minima antologia, di : "dignità", "onestà", "trasparenza", "pulizia", ecc. Presenta sé stesso come la soluzione definitiva e completa di tutti i mali che affliggono il pianeta, e, al contempo, accusa la parte avversa di rappresentare la personificazione di quello che Robin Williams, nel film "L'altro delitto" di Kenneth Branagh, definiva "il sistema di rateazione del karma: compri ora e paghi per sempre". Voi penserete che l'elettore possa fare confusione, fra queste parole sempre uguali e questi volti in primo piano o mezzibusti tutti uguali (così uguali che uno potrebbe immaginarseli tutti seduti sul cesso…). In realtà l'elettore non li degna di uno sguardo. La stragrande maggioranza dell'elettorato, per vari motivi che vanno, in ordine percentuale decrescente d'importanza, dall'interesse personale alle scelte ideologiche, sa già per chi votare ben prima che incominci l'inutile campagna elettorale, sui tempi, le modalità e la correttezza della medesima i media ci propinano un'ignobile manfrina dovuta alla solita implicazione di cui abbiamo già parlato in merito alla pubblicità commerciale, secondo la quale i consumatori e nella fattispecie gli elettori (consumatori della merce politica), sarebbero tanti cani di Pavlov, che potrebbero precipitarsi salivando a votare per l'ultimo candidato che hanno visto in televisione o per quello che hanno sentito parlare per più tempo.
Gli italiani, mentre alcuni lustri fa votarono a favore della legge sul divorzio e poi di quella sull'aborto, oggi vorrebbero che si estraessero cellule staminali soltanto dagli pneumatici rigenerati e che tutti diventassero donatori di organi (nel malaugurato caso che ne avessero bisogno loro, di quegli organi) magari presumendo il consenso di un morto senza familiari, che in quanto tale dovrebbe assentire in silenzio; un morto che per essere espiantato deve essere dichiarato morto per effetto di una legge dello stato, ma che per motivi biologici deve donare un organo vivo, perché un rene morto (cioè non funzionante) non serve a niente. La semantica di stato vuole che perché qualcuno ottenga un organo vivo qualcun altro debba essere dichiarato morto. Qualcuno di voi sa dirmi con certezza quand'è che qualcuno vivo diventa definitivamente morto? Quando lo stabilisce la legge? Quando lo stabilisce la biologia? Io, se avessi bisogno di un trapianto, forse preferirei morire piuttosto che essere salvato da qualcuno che non aveva mai detto di volermi salvare, per giunta nel ragionevole dubbio che gli abbiano tolto l'organo mentre era ancora vivo. Mi sentirei quasi colpevole di omicidio, come credo che si sentano le donne che decidono di abortire, accompagnate da altrettanto ragionevoli dubbi. Solo che l'aborto conviene alle donne e il feto è nella condizione di silenzio-assenso. Solo che il trapianto conviene ai malati … Ma guarda un po', i benpensanti, quanti pesi e quante misure: il silenzio-assenso non va bene per l'aborto, ma è perfetto per i trapianti. Esempio di logica democratica, maggioritaria e proporzionale.
Ancora una volta gli italiani hanno votato. Lo hanno fatto tranquilli, sereni, con le idee chiare. Senza nemmeno un ragionevole dubbio. Non dovranno nemmeno essere perdonati, giacché sapevano perfettamente quel che stavano facendo. E magari molti si saranno portati via la matita copiativa, come nella canzone di Giorgio Gaber.
Io no. Non ero tranquillo. Ed ero anche piuttosto confuso e influenzato da tutti quei volti sorridenti e quei manifesti colorati. Ebbene sì, compagni, perdonatemi. Anch'io sono andato alle urne. Lo confesso. Ho votato alla camera per Gigi D'Alessio e al senato per i Pooh.

Carlo E. Menga