rivista anarchica
anno 32 n. 279
marzo 2002


lettere

 

A proposito di chiesa, e religione.

Cari compagni di ‘A’,
vi scrivo a proposito di un paio degli articoli dedicati sul n° 277 (dicembre 2001/gennaio 2002) alla chiesa, alla religione e al clericalismo e, nella speranza di far meglio comprendere quel che mi muove, parto subito con alcune rapide premesse: 1) non sono battezzato, non ho avuto un’educazione religiosa, non ho nessun tipo di ‘pulsioni religiose’ o ‘tentazioni di fede’; 2) non solo non ho alcuna simpatia per la chiesa cattolica, per la sua politica e per il suo funzionamento, ma anche, sostanzialmente, considero praticamente tutte le religioni, istituzionalizzate o meno, un abbaglio (quando non un vero e proprio traviamento) posto a guardia dell’esplosività di quelle ‘domande ultime’ che provengono da quanto normalmente è definito ‘spirito religioso’, al cui senso (in ciò fedele all’etimo latino della parola ‘religione’, che viene da ‘religare’, cioè ‘tenere insieme’, ‘unire’) nemmeno l’ateismo, se è seria domanda sull’esistenza, può sfuggire.
Detto questo, quindi chiarito il ‘luogo concettuale’ in cui mi pongo, vengo a quanto credo necessario dire a voi e ai lettori.
La prima questione riguarda soprattutto lo ‘stile di scrittura’ di Chiesa e profitti di guerra di Chiara Gazzola, uno ‘stile di scrittura’ che trovo decisamente propagandistico, la qual cosa mi fa sospettare che anche lo ‘stile di pensiero’ di Gazzola lo sia. Ora, a me pare che – anche in virtù dell’esperienza derivante dall’averne fatta non poca per molti anni della mia gioventù – la propaganda sia sempre un modo stupido, dannoso e, in fondo, pericoloso per far conoscere le proprie idee. La propaganda, infatti, innanzitutto è una semplificazione e una banalizzazione forzata delle idee, cioè di quanto, per sua stessa natura, non può essere semplificato, se non tradendone senso e significato. Le idee, quando sono veramente tali – cioè quando sono un tentativo di ‘dire’ una visione del mondo e degli esseri umani e una modalità del rapporto con ambedue – sono infatti intrinsecamente ed ineludibilmente polimorfe, polisemiche, ‘aperte’, cioè rimandanti problematicamente ad ‘altro’, quindi ad altre idee, problemi, questioni. Certamente per agire è ad un certo punto necessario compiere una scelta – ad esempio: la libertà o la statualità? –, ma questo senza mai dimenticare, sulla scorta di Kant e Proudhon, che, per continuare con gli esempi, dire ‘libertà’ di per sé non elimina, né può eliminare, la questione ‘autorità’.
Tutta questa complessità, tutta questa rete di rimandi, all’interno dei quali l’azione umana non solo non può evitare di porsi, ma anche assume senso e significato, è invece eliminata in toto dalla propaganda che così rimanda, avendone la stessa logica, alla pubblicità e allo slogan (parola che deriva da sluagh-ghairm, nome con cui venivano designati i gridi di guerra dei vari clan scozzesi), in cui la propaganda, come la pubblicità, non certo a caso trova il suo ‘punto di concrezione’. Per tutto questo, perché considero che le idee libertarie, per loro stessa natura e struttura, non possano che essere accettate criticamente e sempre criticamente sostenute, penso che la propaganda sia stupida e dannosa e tale rimanga anche se fatta, come anch’io la facevo, con le migliori intenzioni. La persona conquistata dalla propaganda, infatti, proprio per questo (cioè perché non avrà fatte proprie le idee libertarie dopo un esame critico e attento anche ai punti deboli) sarà sempre disponibile ad essere conquistata da un’altra propaganda, dando vita ad una ‘rincorsa propagandistica’ da cui, come il berlusconismo dimostra, le intenzionalità libertarie non possono che uscire sconfitte.
La seconda questione riguarda invece lo specifico della chiesa cattolica. Sinceramente non credo che in essa, come ho già accennato, ci sia gran che da ‘salvare’, così come credo che sia non solo giusto, ma doveroso, battersi sia politicamente che culturalmente contro la sua protervia di marca autocratico-oscurantista, chiarissimamente messa in luce, oltreché dalla sua costante pressione sulla società a sulla politica italiane e non, anche dalla questione delle scuole private. Tutto questo, però, non può portare in alcun modo a considerare - come invece di fatto fanno Chiara Gazzola nell’articolo già citato e Mario Coglitore in Sotto il segno della croce – che Francesco d’Assisi e Ignazio di Loyola siano di fatto equivalenti, accomunati da una stessa intenzionalità di abbruttimento del popolo e dalla stessa volontà di dominio sui corpi e sulle menti: sarebbe come dire che il cardinal Ruini e padre Alex Zanotelli (del quale anche ‘A’ ha giustamente pubblicato articoli) sono in fondo lo stesso, ma questo mi pare decisamente troppo anche a voler tagliare le cose con la più massiccia delle accette.
Credo che già da tutto questo (quindi tralasciando, fra il non poco d’altro, le letture ‘classiste’, a dir poco discutibili, di Coglitore così come le confuse affermazioni di Gazzola sulla natura del ‘potere statale’) emergano chiaramente le perplessità che mi hanno suscitato gli articoli in questione. Perplessità che penso si possano sintetizzare in un paio di domande: veramente si crede (veramente ‘A’ – che vuole, per sua stessa dichiarazione, essere luogo in cui la variegatezza del pensiero e delle proposte libertarie vengono affrontate tanto convintamente quanto criticamente – crede?) che da tali articoli possa nascere una sensibilità critica verso il clericalismo in chi già non la nutre? Veramente si crede (veramente ‘A’ crede?) che il rifiuto della politica della chiesa così come la maturazione di pensieri che critichino la religione anche per quello che essa è quando diventa ‘chiesa’ (cioè quando diventa sistema di credenze dogmaticamente definite e salvaguardate, la qual cosa fa sì che siano ‘chiesa’ non solo, ad esempio, la religione musulmana, ma anche certi ateismi troppo semplicisticamente spalmati sullo scientismo e su un razionalismo più che banale e datato) siano favoriti da articoli come quelli in questione?

Franco Melandri
(Forlì)

Pinelli 33 anni dopo

Sono appena tornato a casa,
l’ora si fa tarda,
e nel pigro correre tra un canale della televisione a l’altro,
sono incappato in Rai 3.
Esattamente un minuto fa.
Ora,
con tutte le riserve del caso,
Rai 3 riesce ancora a contenere il tasso di cerebroleso,
se sapete cosa intendo.
Ho beccato le immagini del dicembre 1969...
il TG di allora,
Giuseppe Pinelli...
ai tempi io avevo 1 anno, non sapevo,
non avevo mai visto quei TG,
oggi invece mi è capitato.
Sapete?,
non lo avevo mai provato,
non lo avevo mai visto,
“Il Pinelli si è suicidato da quella finestra dal 4 piano,
cadendo sull’aiuola...”
Sapete cosa mi ha colpito?
Che un’uomo muore e tutto si risolve in conteggio di piani ed aiuole,
con inquadratura dell’aiuola stessa.
Punto.
Niente più.
Tutto asettico.
Ed un panzone che dichiara che se lo avevano fermato
era grazie agli indefessi e puntuali controlli delle forze del’ordine.
Quello che voglio dirvi,
è che non avevo mai visto l’agghiacciante disinteresse con cui Pinelli è
stato vissuto,
da tutto un sistema,
forse ora che ho 33 anni,
ora che mi rendo conto di ciò che succedeva quando ero solo un pupetto,
mi accorgo del cinismo,
spietato, con cui le pagine della storia italiana sono state scritte.
Vedete,
il problema non è che non sapevo cosa o chi fosse stato il (caso) Pinelli,
è che oggi ho visto come è stato vissuto,
Pinelli come lo smog a Milano nel 2002.
E mi sono reso conto che voi, che siete un po' più grandicelli di me,
quel telegiornale magari lo avevte visto dal vero,
cazzo,
come vi siete sentiti?
Non lo so... è strano...

la verità vera è che oggi,
per quello che ho visto,
mi sento un po' più triste.
Credetemi.
Vi abbraccio tutti,
almeno per scacciare quell’esser spietati che è insopportabile.
Almeno da anarchici.
Almeno da uomini.

Antonio Abbotto