rivista anarchica
anno 32 n. 283
estate 2002


fumetti

Il grido del popolo
di Alessio Lega

 

Tratta dal romanzo Il grido del popolo, di Jean Vautrin, ecco l’ultima folgorante opera del famoso fumettista Jacques Tardi.

L’attesa di un nuovo libro di Jacques Tardi molto raramente viene delusa, sia dalla prolificità felice dell’autore, sia dall’importanza dell’opera, sia dal dominio perfetto dei meccanismi narrativi – che si tratti di un soggetto originale, che si presenti come la riduzione di un romanzo, che sia l’esecuzione di una partitura di parole completamente messa in piedi da un altro – di scansione della storia; soprattutto non si è mai delusi dal meraviglioso disegno in grado di armonizzare, in un coerente universo, unico per capacità di ricostruzione degli ambienti storici, rigore di estrema sintesi, pregnanza di fisionomie al limite del grottesco, direttamente eredi della tradizione del miglior Lautrec (filtrato attraverso la grande scuola del fumetto mondiale Pratt in testa).
Tardi, com’è ovvio, ha già vinto tutti i premi disponibili in campo, ma da uomo poco uso a riposare sugli allori dei traguardi raggiunti, ogni nuovo anno si è sicuri di trovarlo presente sui banconi dei librai con qualcosa di ancor più significativo della volta precedente; così un premio a Tardi sembra cosa “ovvia”, e quasi non ci si fa più caso.
Quest’anno il festival d’Angoulême (la più importante manifestazione dedicata al fumetto in Europa) si è onorato ancora conferendo un ennesimo riconoscimento al suo genio... ma proprio non se ne poteva fare a meno!
La nuova opera dell’autore è folgorante.
Il romanzo di cui quest’opera è la versione a fumetti era uscito giusto qualche anno fa, suscitando molte curiosità in chi scrive, per cui quando l’ho ritrovato tradotto in italiano lo scorso anno per i tipi di Frassinelli, cominciai immediatamente a leggerlo.
Il grido del popolo si presenta sin dal titolo (lo stesso di un fondamentale giornale di Jules Vallés pubblicato durante l’esperienza comunarda) come “il romanzo della Comune”... lungo (decisamente troppo!) e complesso (come sopra!) non tardò a deludermi: gli spunti sono ottimi! L’idea è di scrivere un vero romanzo storico in cui non si facesse della facile apologia per i protagonisti del “primo assalto al cielo”, ma si desse la percezione reale di quei turbinosi giorni, riflessi nella vita dei cittadini, o meglio, degli abitanti dei bassifondi: criminalità organizzata, ladri, barboni, prostitute, saltimbanchi, è ottima. Il romanzo è molto corale, e gli sforzi di rendere su carta stampata un concerto di linguaggi e punti di vista sono encomiabili... il problema che l’autore, notissimo in tutt’il mondo per i precedenti romanzi (in Italia pubblicati da Feltrinelli), Jean Vautrin, non è riuscito a risolvere è il necessario dominio narrativo che impedisce alla storia di perdersi nei rivoli di un barocchismo in cui nomi, descrizioni, linguaggi gergali formano un insieme compatto e di difficile penetrazione attraverso cui non si può passare che con estrema fatica alla ricerca del bandolo della matassa; chi ha familiarità con Zola e Hugo sa che il romanzo novecentesco potrà anche approdare a risultati d’introspezione notevolissima, ma per ricchezza e ampiezza si confronta con i colossi inarrivabili del secolo che lo precede. Vautrin ha fallito il colpo.
Tardi no. L’aderenza al romanzo nel suo sviluppo è totale, i tempi e le scansioni sono rispettate al millesimo, ma la maestria del fumettista in grado di ovviare a pagine e pagine di farraginosi dialoghi con due vignette, di lussureggiare con lunghissimi piani che abbracciano interi quartieri, in grado di entrare e uscire dalla folla in tumulto, di stringere su significativi primi piani, di tradurre nel suo linguaggio snellendo, chiarificando e infine conferendo alla sua riduzione un pathos infinitamente superiore al testo di partenza, rende del tutto compiuta quest’opera, che altrimenti sarebbe restata mezza abortita. Bisogna per onestà precisare che il fumetto è solo la prima parte del romanzo, e che bisognerà aspettare i prossimi tomi per stilare un giudizio definitivo.
La storia di questa prima parte ruota dunque intorno alle giornate del 18/20 marzo 1871; Parigi è debilitata dalla disfatta inferta al secondo impero dai Prussiani, la Parigi del tempo è però piena di quei fermenti politici e culturali che la porteranno a dominare i successivi 50 anni in un’egemonia artistica e ideale incontestabile; Parigi è ben consapevole di tutto ciò. Sono consapevoli ovviamente gli artisti come Gustave Courbet, che è uno dei più deliziosi cammei del fumetto (e lo vediamo apparire con sottobraccio uno dei suoi quadri più piacevolmente scioccanti L’origine du monde) e che fu – come sappiamo – commissario delle arti nella primavera comunarda. Consapevoli sono gli idealisti militanti come Jules Vallés, cui, pur nella fulgida vita di uomo di lettere e politico cristallino e indomito, si rimprovera un eccesso di “moderazione” proprio nel fuoco degli avvenimenti del 1871, perfettamente spiegabile invece con la preoccupazione di cogliere i meccanismi in atto per minimizzare i rischi delle occulte dittature rivoluzionarie. Ma consapevole è soprattutto il popolo di Parigi che per espressione di una folla di personaggi, anonimi e non, riesce a far compiere un passo decisivo al revanchismo che vedeva di cattivo occhio la resa incondizionata ai boches (ha lo stesso significato dell’italiano crucchi. N. d. R.), trasformando tale sentimento di patriottismo stantio in un empito verso l’autogoverno, il comunismo, la libertà. I cannoni posti sulla collina di Montmartre non saranno confiscati dall’esercito Versagliese: sono del popolo, e il popolo comprende che se ha le armi la libertà segue come una conseguenza.

Ma tutto questo si trova in ogni decente libro di storia, ciò che si trova nel capolavoro di Tardi è ben di più: vi si trovano i volti di un popolo indomito, ora consapevole dello sfruttamento e desideroso di scapparne, ora preda anch’egli di meccanismi di potere mafioso nei gruppi criminali organizzati in fermento per il ridisegnarsi dei meccanismi del potere consolidato che vacilla; vi si trova quella meravigliosa espressione in carne e ossa dello spirito di rivolta che fu Louise Michel, che fragile e candida, uguale alle foto ingiallite in cui campeggia sui muri del museo di Montmartre, ma restituita a nuova vita dal tratto avaro di segni ma carico di emozione dell’autore, affronta i soldati venuti appunto a requisire i cannoni, e che dalla ieraticità di questa e dalla provocante e coraggiosa vitalità delle donne montmartrois, che tette al vento, come nella famosa stupenda immagine di Steinlen simbolo della Comune, vanno contro l’armata cantando La canaille, saranno indotti alla diserzione rifiutandosi di sparare sul popolo e anzi unendosi a lui.
La storia inizia appunto così e poi segue i rivoli dei personaggi principali: un capitano dell’esercito completamente conquistato alla causa comunarda, e alla più personale causa di strappare una donna, di cui si innamora perdutamente proprio durante la rivolta, al milieu malavitoso di cui è prigioniera; un ex galeotto divenuto per i misteriosi percorsi della vita un implacabile poliziotto, che persegue un ossessivo disegno di vendetta (e mal gliene incoglierà!) nella situazione dello sbando delle forze dell’ordine e del conseguente vuoto di potere seguito all’insurrezione. Ma non trascuriamo che gran parte del potere di fascinazione, anche nell’intenzionalità del romanzo, sta appunto nella coralità di una ridda di personaggi minori, tutti perfettamente tratteggiati dall’autore, che domina come nessun altro il sottile equilibrio di scritto e disegnato che regge il complesso edificio della narrazione per immagini.
Un capolavoro dunque: l’ennesimo – per l’autore – e nuovo come ogni opera maestra; un colto feuilleton che inchioda alla prima lettura e che spinge a penetrare ogni passaggio fino in fondo alle letture successive; un’immensa orchestrazione da parte di un genio del pennello, che compone e dirige una sinfonia che porta in se l’eco di molti canti rivoluzionari, ma che ha il suono inconfondibile e sempre nuovo della libertà.

Alessio Lega


Jacques Tardi

Nato nel 1946, dopo consueti studi nelle scuole di arti grafiche francesi esordisce sulla rivista Pilote nel 1970. Il primo lustro di carriera – prima della definitiva e intramontata affermazione con le Avventure di Adèle Blanc-Sec – è un periodo "difficile" non perché l'artista sia un esordiente ancora acerbo, al contrario, perché fin dagli inizi l'opera di Tardi si rivela profonda e incoercibilmente coerente con i propri ideali.
Tardi è il grande testimone della prima guerra mondiale, Il cantore della banlieu (la disperata periferia delle metropoli francesi), il sensibile esploratore dei meandri dell'animo umano. Questi i tre principali temi della sua opera: sia che ne sia anche lo sceneggiatore, sia che abbia lavorato su testi altrui, ogni sua storia è il frutto di un dominio assoluto della tecnica narrativa, di un'attenzione filologica alla moda e all'architettura dei luoghi e dell'epoca in questione, di una capacita di sintesi che riducendo all'anima l'espressione dei personaggi ne tradisce il profondo umanismo: per essere ulteriormente chiari Tardi si comporta come uno scienziato per quanto riguarda il tempo, un romanziere per quanto riguarda il luogo e un poeta per quanto riguarda l'azione.
Tecnicamente eredita l'attenzione severa e la capacità di ricostruzione degli ambienti dallo stile della ligne claire di Hergé e di Jacobs, da cui discende anche l'estrema sintesi della figura umana, quasi sempre trattata con un segno ironico (che nel nostro diventa grottesco), ma l'astrazione asettica che caratterizza questo stile sarà da Tardi rifiutata; in lui è impossibile scindere la forma dal contenuto: come ogni grande artista non ha uno stile, bensì una poetica, e così con lui la forma della linea chiara assume un'anima, quella della grande tradizione popolare e réaliste francese (quella degli Hugo, dei Courbet, di Lautrec soprattutto... degli Zola, dei Céline...).
Le opere di Tardi sono tutte irrinunciabili, ne segnaleremo qui 5 che riteniamo fondamentali: la già citata serie di Adèle Blanc-Sec, esplicita dichiarazione d'amore al feuilleton belle époque, che mette in campo, oltre a una delle poche protagoniste donna nel fumetto d'avventura, una controllatissima miscela di giallo, esoterismo e gusto positivista alla J. Verne, quest'ultimo alla base anche di Le dèmon des glaces, vero capolavoro grafico di citazioni illustrative perfettamente assimilate nello stile del nostro. Ici même, con una genialissima sceneggiatura dell'indimenticabile J. C. Forest, fa misurare il disegnatore con una favola surreale, tenera e disperata. Brouillard au pont de Tolbiac apre la serie degli adattamenti dai romanzi neri di Léo Malet, la cui morale anarchica è molto vicina alla sensibilità dell'artista che ancora una volta, attraverso l'inchiesta poliziesca, apre uno squarcio sul marcio della società francese pre e post Vichy (ma con gli adattamenti dai romanzi contemporanei di Manchette e Daeninckx anche di quella odierna) con cui polemizza aspramente. C'était la guerre des tranchées è poi il sommo capolavoro antimilitarista dei fumetto, per molti versi paragonabile a Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, è un atto di imprescrittibile accusa, un attacco a matita armata contro il grande orrore delta guerra: un fumetto molto spesso muto, in cui la crudezza delle immagini non può e non vuole essere spiegata, in cui il segno, pur sempre avaro si fa ferita aperta sulla pagina, in cui lo stesso linguaggio è frammentato al servizio dell'emozione (un po' come faceva in letteratura il Céline di cui ha sommamente illustrato le opere).
Tardi copre così con la sua opera l'intero secolo appena trascorso dandocene una lettura complessa, con profonde implicazioni politiche, storiche e letterarie, mischiando sacro e profano, colto e popolare, comico e tragico,
Un classico, insomma, e non solo del fumetto.

Alessio Lega