rivista anarchica
anno 32 n. 285
novembre 2002



a cura di Marco Pandin

 

Bella e sorridente

Si potrebbe dire che, stando al “comune senso” del produrre musica contemporaneo, l’album di cui vi parlerò oggi contenga molti errori gravi. Il gruppo, nel proporsi al pubblico giovanile di oggi, sbaglia clamorosamente genere espressivo: usa un linguaggio sonoro desueto (un rock onesto e scarsamente contaminato), una volta piuttosto popolare sì ma ora ristretto ad un ambito tradizionalista e ultraquarantenne e, stando a quanto si ascolta tramite le televisioni ufficiali e leggendo la stampa specializzata, del tutto fuori moda e soprattutto fuori target commerciale (i dischi, si sa, in grande parte li comprano – anzi, li “consumano”– i ragazzi più giovani). Altra caratteristica dell’album, e che lo rende sostanzialmente controcorrente, è che in ogni canzone viene dato un risalto esagerato ai testi.
Ma questa non è una recensione, questa non è una rivista musicale, e a me le musiche controcorrente fanno innamorare... E questo cd mi ha fatto innamorare al primo ascolto perché è un’opera meravigliosamente semplice, naturale di quella naturalità bella e sorridente che non può non venire direttamente dal cuore.
“Bandiera genovese” della Rosa Tatuata è uscito lo scorso anno ma vorrei – lo spero tantissimo – che fosse uno di quei dischi che non diventano mai vecchi, o meglio uno di quelli con cui è bello invecchiarci insieme.
Ciascun pezzo di questo album ha il buon sapore del migliore rock solare: la musica s’accende spesso, mista di America e di swinging London e di sangue sudore e lacrime blues, e sa sciogliersi di tenerezze e passioni mediterranee perché alla fine l’America e Londra si rivelano solo un’impressione e il gusto di questo rock sa di mare proprio come da noi e solo da noi.
L’album solleva alcune perplessità: i musicisti, innanzitutto, suonano troppo bene per essere così giovani. Questo fatto non si spiega solo con la collaborazione di musicisti esterni tutti già rodati (Gang, Blindosbarra, Yo Yo Mundi, Filippo Gambetta). Secondo me sotto a questa musica c’è una passione enorme, un’ossessione quasi. Secondo me ciascuno dei componenti ha “messo in gioco” nel gruppo e nella musica la propria vita. Dico sul serio.
Ciascun pezzo somiglia verosimilmente a quelle che potrebbero essere canzoni lasciate da parte –per i motivi più diversi– dalla versione definitiva di un album di qualche altro musicista probabilmente troppo timoroso ad esporsi, ad aprirsi alla sua gente. “Quello che ci capisci” è un breve gioiello, e resta inchiodata in testa sin dal primo ascolto, così intensa e semplice. “Tra le pagine di me” sembra una canzone troppo bella che malauguratamente qualche bravo-e-famoso cantautore di adesso si sia lasciato convincere a scartare, dedicandosi agli stadi invece che all’esplorazione. E poi “Le cose che cambiano”, che sembra nata nella cantina di Franti: più d’una volta ho aspettato invano che la chitarra elettrica gocciolasse via dalle mani di Paolo Bonfanti per vestire il suono rugginoso di quella di Vanni Picciuolo, e che la voce di Lalli lentamente si intrecciasse a quella di Max Parodi. No. Franti non c’è, ma sembra abbia lasciato qualcosa da queste parti.
Non che la Rosa Tatuata manchi di stile, ci mancherebbe… È solo che ascoltando ripetutamente questo cd ci si prende gusto al gioco crudele di immaginare come sarebbe potuta andare senza lo spettacolo triste degli ex-indipendenti sui trampoli davanti alle Raffaelle Carrà del sabato sera di regime, e degli ex rivoluzionari punk in ginocchio sotto ai crocifissi miliardari della sala Nervi.
Torniamo a “Bandiera genovese”. I testi, dicevo, sono fondamentali nell’economia di ciascuna canzone. Sono studiati per raccontare delle storie, non servono solo per fare da tappezzeria alla musica. Sono treni di riflessioni ed incertezze, sono sogni scritti a macchina eppure mi piace pensarli scritti in punta di matita durante i tramonti al porto. I pensieri e le riflessioni si raccolgono e scompongono come i pezzi di legno e le conchiglie che il mare sputa d’inverno sulla riva. La voce di Max Parodi ondeggia fra sofferenza e disincanto, e in ogni canzone svela un mistero.
Non c’è una canzone più bella dell’altra, ma forse sarebbe stato bello che alcune (“Due gocce”, in particolare, in cui la voce di Max Parodi s’intreccia a quella suggestiva di Marino Severini) fossero durate di più. …Ma per ovviare a questo basta pigiare il tasto giusto del cd player e farla ricominciare daccapo.
Diversa da tutte le altre sentite finora, è l’impressionante versione che la Rosa Tatuata offre della “Rimini” di Fabrizio De André, una lettura rock semplice ed al tempo stesso senza pietà in cui il passaggio Mi7 La min Fa#7 Si min (all’altezza di “Lei dice bruciato in piazza – dalla santa inquisizione”, per intenderci) prende una coloritura inedita davvero drammatica. Registrata dal vivo al Porto Antico di Genova in occasione del raduno “Äia da respiâ”, questa interpretazione vola sulle ali di una chitarra magica, suonata da un Paolo Bonfanti posseduto contemporaneamente dallo spirito di Dicky Betts e di John Cipollina. Sono convinto che altri campioni del rock, la E-Street Band per fare un nome noto a tutti, non sarebbero mai capaci di un miracolo simile.
Un bellissimo disco, alla fine, che mette un punto fermo sulla certezza che la musica popolare indipendente, quella che viene dal cuore senza passare per il portafoglio, non è morta sotto l’immondizia ma ha trovato un’altra nuova strada, e chissà quali altre, per esprimersi.

Marco Pandin