rivista anarchica
anno 32 n. 286
dicembre 2002 - gennaio 2003


Medio Oriente

Al fianco del popolo palestinese. E di quello israeliano
di Peppe Sini

 

Appunti per un intervento ad una manifestazione in solidarietà con i palestinesi. Senza dimenticare “gli altri”. Guardando al passato ma soprattutto pensando ad un futuro. Di pace.

Il 25 ottobre si è svolta a Terni in largo Villa Glori una iniziativa pubblica sul tema “Libertà e diritti per il popolo palestinese”, promossa dal Terni Social Forum. Ad essa sono intervenuti come relatori Bassam Saleh, portavoce della comunità palestinese di Roma, e Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo; riportiamo una sintesi della relazione svolta da quest’ultimo.

1. Tra i maestri che ho avuto due mi sono assai cari, defunti ormai da anni; si chiamavano – si chiamano, poiché la memoria non muore – Primo Levi e Vittorio Emanuele Giuntella. Entrambi erano superstiti dei lager nazisti.
Primo Levi credo sia il più grande testimone della dignità umana; e forse grazie a lui più che a ogni altro noi serbiamo memoria dell’orrore di Auschwitz; da lui più che da ogni altro abbiamo ereditato la consegna di impedire che Auschwitz ritorni. Non possiamo dimenticare.
Vittorio Emanuele Giuntella fu uno degli ufficiali italiani nei Balcani che dopo l’8 settembre 1943 dovettero scegliere tra continuare la guerra al servizio dei nazisti, o il lager. Scelse il lager, scelse quella che Alessandro Natta ha chiamato “l’altra Resistenza”, la Resistenza dimenticata ma non meno eroica di migliaia e migliaia di soldati italiani che dissero di no a Hitler e Mussolini, e subirono il lager: migliaia e migliaia di uomini spesso molto giovani che posti per la prima volta in vita loro di fronte ad una concreta e cogente possibilità di scelta tra diventare complici dei carnefici ed avere garantita la vita, o essere fedeli all’umanità e subire ogni sorta di angherie ed essere esposti alla morte, seppero fare la scelta giusta, la scelta sublime di donare interamente se stessi alla causa dell’umanità. Non possiamo dimenticare.

2. Ho fatto questa premessa per due motivi:
a) il primo: la Shoah, e a monte di essa e intorno ad essa la bimillenaria bestiale persecuzione antiebraica, è per me, per la mia esistenza, nel mio vissuto di essere umano, un nodo storico e morale ed esistenziale decisivo: non tradirò mai i miei maestri vittime del lager.
b) Il secondo: Primo Levi è anche l’uomo, il giusto, il saggio, che nel 1982 levò la sua voce che risuonò in tutto il mondo come la voce stessa dell’umanità contro i responsabili e i complici dei massacri di Sabra e Chatila, e tra essi c’era anche Ariel Sharon. Ed è nel ricordo e nel nome di Primo Levi e delle sue parole che qui io oggi ripeto: “Sharon deve dimettersi”.

Così diffuso e pervasivo

3. E un altro ricordo mi affiora alla mente: molti anni fa come molti altri adottai a distanza un bambino palestinese. Non so se è ancora vivo, oggi sarebbe un uomo. Vorrei che almeno lui, Muatez, possa vedere quel giorno che tarda tanto a venire, in cui due popoli in due stati possano vivere da vicini in fraternità.

4. Ma perché questo accada, e mentre la tragedia è in corso, occorre, io credo, un agire consapevole per la giustizia e quindi la pace e quindi la riconciliazione; un agire che per essere consapevole, di questa tragedia, di questo conflitto, deve cercare e cogliere le radici, le più profonde radici, e queste radici stanno qui, in Europa.
Siamo noi europei i responsabili di ciò che accade colà dal ‘48; e quindi prima di fare la predica agli altri, facciamo un esame di coscienza a noi stessi.
In due forme l’Europa è responsabile:
a) per il colonialismo: lungo cinque secoli, e che continua tuttora; rapporto Nord/Sud è un eufemismo che occulta e insieme dice questa rapina che da cinque secoli le elites del quinto più ricco dell’umanità compiono ai danni dei quattro quinti dell’umanità impoveriti perché rapinati.
b) per il razzismo: che oggi raggiunge forme parossistiche e nuovamente atrocemente invade fino le legislazioni; e nell’alveo del pregiudizio e della persecuzione razzista quella sua manifestazione la più prolungata e feroce, la persecuzione antiebraica: persecuzione compiuta dai romani prima con l’invasione, la distruzione del tempio, la deportazione, il disconoscimento di dignità; dalle chiese cristiane poi, con una crudeltà superiore a quella stessa dei romani; al delirante razzismo scientista delle epoche illuminista e romantica; fino al culmine dei pogrom come arma politica e tecnica amministrativa stragista, fino all’orrore assoluto della Shoah. L’antisemitismo che è ancora così diffuso, pervasivo e virulento in Europa e nel nostro paese, l’antisemitismo che contamina oscenamente anche tante persone che pure si credono sinceramente democratiche ed antifasciste.
Come possiamo, noi che sappiamo questo, non capire le forti autentiche ragioni della maggioranza della popolazione di Israele e dell’ebraismo della diaspora nella difesa di Israele come ultimo, estremo rifugio per le vittime di duemila anni di persecuzione, per i sopravvissuti dei campi di sterminio e i loro figli?
La nostra solidarietà con il popolo palestinese, ed affinché cessi la persecuzione, l’occupazione, l’iniquità mostruosa che esso subisce, è anche la nostra solidarietà con la popolazione di Israele e con entrambe le diaspore: affinché mai più alcun essere umano debba temere la persecuzione e la morte; affinché mai più colonialismo e razzismo terrorizzino, opprimano, massacrino, neghino il diritto stesso ad esistere ad alcuna cultura e ad alcun essere umano.

5. Solo recuperando la memoria di tutte le vittime si può operare per una strategia nonviolenta di liberazione, per un’azione di pace che costruisca riconoscimento di diritti e convivenza.

6. Ma il conflitto israelo-palestinese va contestualizzato non solo lungo l’asse del tempo ma anche nel campo spaziale, ovvero – come si usa dire oggi – geopolitico. Rispetto al paradigma interpretativo consueto e consunto che vede solo un conflitto tra due soggetti peraltro asimmetrici, uno stato occupante e una popolazione disperata; o all’altro paradigma anch’esso consueto e consunto che vede solo un conflitto tra un popolo perseguitato per millenni e circondato da stati dittatoriali ostilissimi; credo occorra un modello ermeneutico più complesso rispetto agli approcci banalizzanti e disutili che in quanto si prestano alla propaganda più irriflessiva divengono complici degli errori ed orrori ideologici e pratici che ne conseguono.
Da tempo propongo un approccio per così dire “a scatole cinesi”: quel conflitto – che pure ha le sue assolute peculiarità – intendendo come spicchio (ma per molti versi olografico) del conflitto regionale, che a sua volta è spicchio e specchio del conflitto nord/sud, luogo di precipitazione di cruciali nodi economici, strategici, politici: ovvero del sistema di dominazione di quella che oggi si usa chiamare globalizzazione neoliberista ma che in termini di modellistica economica dovremmo chiamare espansione su scala quasi planetaria del modo di produzione capitalistico nelle forme tipiche dello stadio neoimperialistico – ma mi rendo ben conto che anche questi termini perdono molto della loro capacità euristica se intesi come etichette ideologiche invece che come indicazioni metodologiche per la riflessione, la ricerca, l’analisi (ed ovviamente per l’azione contro l’ingiustizia e in difesa ed a promozione dell’umanità, ovvero del riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani).

7. Ed anche la memoria delle vittime ha le sue dialettiche (Tzvetan Todorov ha scritto delle pagine indimenticabili ed imprescindibili su questo cruciale argomento), ed occorre quindi avere memoria delle vittime nella prospettiva della liberazione e della riconciliazione (penso all’esperienza dalla Commissione per la verità e la riconciliazione in Sudafrica, un’esperienza non solo morale e politica, ma giuridica e giuriscostituente che porta la nonviolenza al cuore dell’organizzazione delle istituzioni, dello stato, della società e della cultura, proprio a partire dal recupero della memoria e dal riconoscimento della verità e dei crimini subiti e commessi); la memoria quindi che salva e che libera e che riconcilia, che fonda convivenza; non quella dell’infinitizzazione degli odi e delle faide, del disprezzo e del rancore gentilizio e razzista, degli egoismi di massa e delle abominevoli “pulizie etniche”.

Caratteristiche nonviolente

8. E allora una strategia di solidarietà e di liberazione che tenga conto di ciò io credo debba avere due caratteristiche, o – se si preferisce – debba muovere da due persuasioni (come tali indimostrabili): a) che l’indipendenza dei popoli oppressi o sarà socialista, democratica e libertaria o non sarà; intendendo con il decisivo aggettivo “socialista” purtroppo così abusato e deturpato nel corso del Novecento l’impegno ad una organizzazione sociale che sia intesa al fine della giustizia e della solidarietà, che non permetta la riproduzione sotto mentite spoglie della dominazione oppressiva dei pochi sui più, ma tutti chiami a cooperare per il comune benessere: la storia delle decolonizzazioni del XX secolo ci rivela come il non essere riusciti a dotare i paesi di nuova indipendenza di autentiche caratteristiche socialiste, democratiche e libertarie abbia provocato la degenerazione delle esperienze di liberazione e il permanere o il riaffermarsi di forme di dominazione ferocissime e sostanzialmente neocoloniali;
b) che la strategia e la prassi della lotta di liberazione dei popoli oppressi o sarà tendenzialmente sempre più e sempre più unicamente nonviolenta, o quella liberazione non sarà; intendendo con questo aggettivo la scelta intellettuale e morale della lotta più nitida ed intransigente contro l’ingiustizia e l’oppressione, la lotta che della violenza della dominazione tutto ripudia e rigetta, nei fatti e nei metodi; la scelta che caratterizzò la grandissima parte delle esperienze storiche di Resistenza e di liberazione da quando l’umanità è in lotta per il diritto a vivere e la dignità. Di contro ad una storiografia sempre “dalla parte dei vincitori” ed affascinata e fin ipnotizzata dalla violenza, occorre affermare che le lotte più grandi e le più grandi conquiste di libertà, di diritto, di solidarietà, hanno avuto precipue e decisive caratteristiche nonviolente; e che anche quel grandioso fenomeno di cui tutti noi siamo figli riconoscenti che è la Resistenza vittoriosa dei popoli contro il nazifascismo è stata nella sua massima parte una esperienza di lotta nonviolenta, come testimoniano le memorie e le analisi di moltissimi eroici protagonisti dell’antifascismo e della stessa lotta partigiana.

9. Perché questa è la mia convinzione: che la nostra solidarietà con il popolo palestinese oppresso deve essere concreta e nonviolenta, rigorosa ed esigente, esigente nei confronti di noi stessi e degli altri; e che in quanto questa solidarietà svolgiamo, dobbiamo chiedere a chi lotta per il diritto ad esistere di voler vivere, di non darsi alla morte, e di accostarsi sempre di più alla nonviolenza. Come ci hanno insegnato nel loro estremo agire e nelle loro ultime parole i condannati a morte della Resistenza al nazifascismo; come ci ha insegnato Gandhi; come ci ha insegnato Nelson Mandela; come ci ha insegnato il movimento delle donne, la più grande esperienza storica di lotta nonviolenta, la lotta che ha promosso il più grande cambiamento positivo della storia, una lotta nel corso della quale le protagoniste di essa non hanno mai ucciso una sola persona.

10. Questa scelta implica altresì il rifiuto della menzogna e di ogni atteggiamento totalitario. Implica il rifiuto di ogni ideologia sacrificale.
Implica la scelta di quel principio che è alla base di tutte le grandi tradizioni di pensiero religiose e laiche: non uccidere.
Implica la solidarietà piena con tutte le vittime (ha scritto una volta – e per sempre – Heinrich Böll che “ogni vittima ha il volto di Abele”).
Implica la condanna di ogni terrorismo: di stato, di gruppo e individuale.
Implica l’affermazione del diritto del popolo e dello stato palestinese a esistere; ed implica il diritto del popolo e dello stato di Israele a esistere. Verrà forse un tempo in cui l’umanità riuscirà a superare le divisioni di stati e di classi, ma per preparare quel tempo, per muovere in quella direzione, per uscire da questo nostro terribile tempo che quel geniale pensatore definì “la preistoria dell’umanità”, occorre intanto, qui e adesso, riconoscere il diritto di ogni popolo ad esistere, ad avere la sua cultura, la sua terra in cui vivere liberamente, il suo stato.

Dopo Hiroshima

11. Occorre che cessi l’occupazione dei territori palestinesi da parte dell’esercito dello stato di Israele.
Occorre che cessino gli insediamenti coloniali nei territori occupati.
Occorre il riconoscimento immediato della nascita dello stato palestinese.
Ed occorre un piano internazionale di aiuti al popolo e allo stato palestinese per lo sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza; ed occorre altresì un piano di aiuti al popolo e allo stato di Israele per lo sviluppo, la democrazia, la sicurezza e la convivenza.
Ed occorre sconfiggere il terrorismo, innanzitutto cessando di mettergli a disposizione armi e pretesti, risorse economiche ed esseri umani disperati.

12. E per contrastare il terrorismo occorre altresì bandire la guerra dal novero delle azioni lecite; le leggi vigenti lo dicono già: è scritto nella Carta delle Nazioni Unite; è scritto anche nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana.
Poiché di tutti gli atti di terrorismo la guerra è il più grande; consistendo essa, come osservava Gandhi, della ripetuta commissione di omicidi di massa di esseri umani del tutto innocenti.
Nessun motivo può giustificare una guerra, che invece di sconfiggere il terrorismo ne prosegue e ingigantisce la spirale.
Né è ammissibile l’idea di una guerra contro un paese perché questo detiene armi di sterminio di massa: da questo punto di vista i sostenitori di tale teoria – in primis il presidente degli Usa – dovrebbero allora muover guerra innanzitutto contro il loro stesso paese.
Né è ammissibile l’idea di una guerra contro un paese sulla base dell’accusa di aver fornito sostegno a gruppi terroristici: sotto questo punto di vista mentre non è dimostrato che ad esempio il governo dell’Iraq abbia sostenuto i terroristi autori delle stragi dell’11 settembre 2001, è invece dimostrato che ad esempio il governo degli Usa abbia sostenuto i terroristi autori del golpe cileno dell’11 settembre 1973.
Come si vede le pretese ragioni in pro della guerra si rovesciano contro chi le propone.
Una guerra nell’epoca aperta dall’orrore di Hiroshima è una guerra che mette in pericolo la sopravvivenza stessa della specie umana: e – per dirlo con le parole di don Lorenzo Milani – noi dovremmo star qui a discutere se sia lecito distruggere l’umanità intera?

13. Siamo quindi solidali con il popolo palestinese, e siamo altresì solidali con il popolo israeliano; siamo solidali con il popolo iracheno, e siamo altresì solidali con il popolo statunitense.
Siamo contrari al governo dello stato di Israele come a quello dell’Iraq come a quello degli Usa, come a quei decisori in sede Onu che da dieci anni portano la responsabilità della catastrofe umanitaria in corso in Iraq, l’immane strage determinata dall’embargo.
Siamo contro il terrorismo di stato come contro il terrorismo dei gruppi e dei singoli.
Siamo contro la guerra sempre.
Siamo donne e uomini di pace: ma perché questa nostra posizione sia credibile dobbiamo fare la scelta della nonviolenza, dobbiamo praticare la solidarietà concreta, dobbiamo prendere sul serio la nostra comune umanità.
In questo incontro di oggi qui a Terni di solidarietà con il popolo palestinese abbiamo sentito le luminose parole del nostro fratello rappresentante palestinese: parole di calda umanità, di eroica dignità, di rivendicazione del proprio diritto ad esistere come essere umano e come popolo, e ad avere un proprio stato; ed insieme parole di sincera fraternità con il popolo israeliano, di riconoscimento dello stato di Israele, di condanna incondizionata di ogni terrorismo e di ogni forma di razzismo e di antisemitismo.
Ebbene, che anche questo incontro odierno possa essere un piccolo contributo all’affermazione di un’umanità di liberi ed eguali: sì, la Palestina vivrà, e vivrà Israele. Che cessi l’occupazione, che cessino tutte le stragi, e che sia impedita la guerra.

Peppe Sini