Conflict
Scomparsi dalle pagine dei giornali musicali ma non dalle
strade, i Conflict sono il gruppo punk anarcopacifista inglese
più longevo (tranne che per brevi intervalli non hanno
mai smesso di piantar grane!) e la loro etichetta discografica
Mortarhate è tuttora attivissima nel proporre nuovo
materiale e ristampe di vecchi dischi da anni non più
reperibili.
Ad esempio, sono ora finalmente disponibili su cd la raccolta
“We don’t want your fucking war” (organizzata
e pubblicata vent’anni fa, al tempo della crisi delle
Falkland e disgraziatamente ancora attuale, con molti inediti
di gruppi storici come Subhumans, Broken Bones, Anthrax, Icons
of Filth ecc.) e l’EP “Salt in the Wound” dei
Carpet Bombers for Peace con Jello Biafra.
Nel corso del 2002 i Conflict hanno fatto sentire alta la
loro voce al Gathering of the Thousands Festival, un megaconcerto
autogestito all’Astoria Theatre di Londra in memoria
di Barry Horne, attivista del gruppo animalista Arkangel morto
in carcere per aver condotto uno sciopero della fame ad oltranza
(da rilevare, a margine dell’evento, le numerose minacce
agli organizzatori nei giorni precedenti, e culminate con
un falso allarme bomba a concerto appena iniziato).
Il concerto è stato interamente registrato e filmato,
e Mortarhate ha appena annunciato la pubblicazione di un DVD
che conterrà anche interviste a musicisti ed attivisti,
nonché materiale video antivivisezionista. Al DVD sarà
allegato anche un sostanzioso libretto.
Il Gathering of the Thousands Festival 2003 si terrà
nella giornata di domenica 27 aprile al Forum di Kentish Town,
Londra: si alterneranno sul palco Conflict, Napalm Death,
King Prawn, Blaggers ITA, Inner Terrestrials, Sin Dios, Icons
of Filth, Disorder, Labrat, Mutual Aid, Sponge Duke, Active
Slaughter, Ungovernables ed altri. Il biglietto d’ingresso
al festival è già disponibile in prevendita
e costa 15 sterline.
I Conflict annunciano anche l’imminente uscita a fine
marzo di un loro nuovo brano abbinato a un videoclip dedicato
a Carlo Giuliani: per la prima volta nella storia del gruppo
un loro prodotto verrà distribuito alle stazioni radiotelevisive
commerciali. Una domanda: riusciremo mai a vederlo qui in
Italia?
Invece continueremo a non vedere/sentire nel nostro paese
i Conflict in concerto: il loro tour europeo 2003 inizierà
il primo maggio a Varsavia e proseguirà in Polonia,
Germania, Austria (Vienna la data a noi più vicina),
Irlanda, Spagna, Portogallo, Rep. Ceca ed Ungheria. I Conflict
poi in estate come quasi ogni anno scavalcheranno l’Atlantico
(suoneranno negli Stati Uniti e in Brasile) e il Pacifico
(suoneranno in Giappone).
Dall’inizio di quest’anno Mortarhate ha migliorato
la distribuzione del proprio catalogo unendo le forze con
l’indipendente londinese Jungle e giungendo ad un accordo
di distribuzione tramite Southern (il centro di distribuzione
di dischi co-fondato dai Crass all’inizio degli anni
Ottanta, e ora divenuto un vero e proprio colosso della distribuzione
indipendente in Inghilterra).
Tra le uscite annunciate per il 2003, oltre che il nuovo album
in studio dei Conflict “There is no power without control”,
è da rilevare la compilation “Clash city rockers”,
una raccolta di canzoni dei Clash reinterpretate oltre che
dai Conflict da altri musicisti, non solo punk e non solo
anarchici. Il progetto aveva avuto origine nel maggio dello
scorso anno dall’avvicinamento tra i Conflict e Joe Strummer
(chitarrista, cantante e fondatore dei Clash), improvvisamente
mancato lo scorso dicembre per problemi cardiaci.
All’iniziativa hanno aderito sinora, tra gli altri, Alabama
3, the Wonderstuff, Manic Street Preachers, Newtown Neurotics,
Damian Alburn, Billy Bragg ed altri. L’idea è
di pubblicare il cd nel dicembre prossimo, in occasione di
un grande concerto autogestito a Londra per ricordare Strummer.
Se volete partecipare alla raccolta e/o al concerto, contattate
il gruppo all’indirizzo riportato qui sotto.
Analogamente, Mortarhate annuncia un progetto simile dedicato
però ai Crass e dal titolo “A Crass Acknowledgement”,
allo scopo di raccogliere fondi a sostegno del Dial House
Anarchist Center, la vecchia comune anarcopacifista finalmente
acquistata da Penny Rimbaud e G. E. Sus grazie ad una sottoscrizione
internazionale, e trasformata in un centro studi libertari.
Contatti:
Conflict / Mortarhate Records
P. O. Box 448
Eltham – London SE9 2QS
England
tel. e fax (+44) 020 859 5152
e-mail: colin@conflict.org,
oppure: jerby@btopenworld.com

Crass
Alla manifestazione per la pace di sabato 15 febbraio per
un bel tratto c’era vicino a me un ragazzo giovane che
aveva una spilletta con il loro simbolo, un’altra ragazza,
anche lei molto giovane, ce l’aveva disegnato col pennarello
nero sullo zainetto: al vederli mi sono sentito contento,
mi veniva da sorridere. Qualcuno di voi ricorda i Crass?
Sì, i Crass: il gruppo punk anarcopacifista che vent’anni
fa riuscì a strappare dagli artigli dell’industria
discografica una grossa fetta di mercato…
Quei vecchi hippies costretti dalla censura a stampare i loro
dischi all’estero e ad importarli semiclandestinamente
in patria, e che nonostante questo riuscirono a vendere centinaia
di migliaia di copie senza inspiegabilmente finire nelle classifiche…
Quelli che rifiutarono di commercializzare sé stessi
e i loro dischi all’estero e si ritrovarono chissà
come copiati e venduti nei negozi in USA e Giappone…
Quelli che camminando da soli arrivarono letteralmente dappertutto
senza passare per radio e televisione e giornali, finendo
nelle fanzine e nelle cassette copiate e soprattutto dentro
le teste dal Perù al Sudafrica all’Ungheria all’Alaska,
ed accesero la scintilla di fuochi d’autogestione in
mille e mille cantine…
Quelli che si fecero beffe dei servizi segreti di sua maestà,
della CIA e del Cremlino diffondendo la registrazione di una
falsa conversazione telefonica tra Reagan e la Thatcher al
tempo della guerra delle Falkland.
Quelli che a causa delle loro canzoni furono emarginati da
ogni circuito musicale, boicottati e picchiati, trascinati
in tribunale e condannati per blasfemia e vendita di materiale
pornografico a minori…
Quelli che, secondo l’Alternative Record Guide del mensile
Spin, bibbia della nuova musica americana, sono “con
ogni probabilità l’unico gruppo al mondo di cui
è indispensabile leggere i testi: meglio guardare le
copertine che ascoltare il disco”…

Li ricordate, i Crass? Vivevano in una comune,
una vecchia centrale telefonica in disuso che avevano affittato
e risistemato, s’erano fatti un culo pazzesco per trasformare
una topaia in un paradiso di agricoltura biologica in mezzo
alla campagna inglese, a poca distanza dalla foresta di Epping
e dall’antica chiesetta di Greensted. A Dial House c’era
sempre la porta aperta, un posto libero a tavola, un sorriso,
pane appena sfornato e un tè caldo da condividere,
un libro da leggere, musica e parole da ascoltare e da scambiare.
I Crass si erano sciolti nel 1984 dopo una serie di concerti
tumultuosi a sostegno dei minatori gallesi in sciopero, schiacciati
dalle spese legali (“Penis envy” venne giudicato
osceno e loro condannati: l’album è tuttora commercializzato
obbligatoriamente incellofanato come una rivista porno) e
dai sogni troppo grandi per quegli anni.
Nonostante non abbiano più agito collettivamente e
con l’alta voce di quegli anni, i diversi membri del
gruppo non hanno abbandonato né il lavoro né
la mentalità che li ha contraddistinti: i dischi hanno
continuato ad essere pubblicati e distribuiti, i concerti
continuano tuttora ad essere organizzati, i coglioni dei potenti
ad essere rotti e l’ispirazione a diffondersi (dal letame
di quei piccoli giri creativi sono spuntati fiori che hanno
illuminato a giorno la musica mondiale, come Bjork, Chumbawamba
e Skunk Anansie: i giornalisti gli chiedono puttanate e loro
sorridendo parlano d’Anarchia).
Nel 1985 era stata pubblicata “Ten notes on a summer’s
day”, l’ultima canzone dei Crass. “The swan
song” c’è scritto sulla copertina: il canto
del cigno prima di morire. Una canzone lunghissima laddove
l’urgenza del punk aveva prodotto sputi sonori di due
minuti, suddivisa in dieci movimenti sonori indescrivibili
a parole (ascoltate il disco e vi franeranno addosso tutti
i pregiudizi sulla povertà della filosofia punk).
Eppure, il sogno non era finito. Steve Ignorant era il più
giovane di tutti e ha continuato a cantare, un’avventura
inarrestabile la sua, che va da Schwarzeneggar fino ai compagni
di strada Conflict. Mick Duffield ha continuato a produrre
cortometraggi.
Pete Wright ha messo in piedi con Martin Wilson (pestava i
tamburi con i Flux, altra brutta banda di lestofanti con l’a
cerchiata e i vestiti neri addosso) il teatro cattivo di Judas
2, inventando filastrocche spinose sulle contraddizioni, sulle
indecisioni, sui compromessi obbligatori e la sete di libertà
spenta a coca cola.
Eve Libertine, dopo i ben noti “Acts of love” con
Penny Rimbaud e “Last one out turns off the lights”
con A-Soma, ha prodotto “Skating”, un bel cd breve
e sbilenco in compagnia del figlio Nemo Jones. Di G. E. Sus
si parla e si mostra in un bel libro, pubblicato dall’americana
AK Press, che documenta il suo percorso artistico dai primi
lavori degli anni Settanta alle copertine indimenticabili
in bianco e nero, ai collage mostruosi di soldati e politici
e rettili e cadaveri e gente comune.
Penny Rimbaud, vecchio batterista mai rassegnato, ha pubblicato
a suo nome “Christ’s reality asylum”, una cassetta
con dentro un lungo poetry reading di vecchi testi che gli
erano costati denunce e censura, e dei libri. Uno di questi
è “The diamond signature” e contiene “The
death of imagination”, una piéce teatrale controversa
di cui esiste una versione audio pubblicata su CD (alla colonna
sonora contribuisce il fiato di un grande vecchio della radical
music inglese, Lol Coxhill).
Un altro libro, “Shibboleth”, è il rimaneggiamento
di una vecchia storia inquietante, quella del visionario hippy
Phil Russell, suo amico e compagno conosciuto col soprannome
multicolore di Wally Hope, organizzatore di raduni e spirito
libero, arrestato dalla polizia, condannato al manicomio e
suicidato a forza di psicofarmaci.
Di Penny è stata pubblicata recentemente la poesia
“Oh, America”, tradotta qui a fianco, presentata
l’estate scorsa all’NFT di Londra in occasione di
“Never mind the Jubilee”, una rassegna cinematografica
sull’alba del punk (sono stati proiettati anche i filmati
originali che accompagnavano i concerti dal vivo dei Crass,
e del materiale inedito) significativamente coincidente con
il ventesimo anniversario della crisi delle Falkland. Raccolta
in un breve CD, “Oh, America” mostra in copertina
una delle immagini terrificanti di G. E. Sus., la statua della
libertà in preda alla disperazione.
Le attività di Dial House fervono, vengono organizzate
mostre, concerti ed incontri. Recentemente alcuni membri dei
Crass hanno tenuto una serie di performance addirittura alla
Queen Elizabeth Hall, proprio nel salotto buono londinese:
le loro poesie, concerti e filmati hanno fatto probabilmente
più effetto di una vomitata sul tappeto…
L’editrice indipendente americana AK Press sta lavorando
ad un grosso volume documentario dell’attività
del gruppo, realizzato raccogliendo contributi scritti, sonori,
grafici e fotografici da ogni parte del mondo. Southern ha
messo a disposizione online una grande quantità di
informazioni ed immagini all’indirizzo http://www.southern.com
(seguite il link per le etichette distribuite, poi cliccate
su Crass Records: trovate lì tutto, anche l’indirizzo
e-mail). Se volete mandargli una lettera scrivetegli a P.
O. Box 59, London N22 4NS, England UK.
I dischi dei Crass sono stati quasi tutti ristampati su CD,
sono distribuiti in Italia a prezzo corretto tramite Wide
di Pisa (…e si possono anche trovare nella lista di Musica
per A/Rivista Anarchica)
Marco Pandin

Oh,
America
Diversa
dal gigante di bronzo dell’antica Grecia
Con le gambe conquistatrici a cavallo delle due sponde
Presso i cancelli bagnati dal mare al tramonto
È posta una gigantesca donna che impugna una
torcia la cui fiamma è lampo imprigionato
Il suo nome è Libertà, madre degli esuli.
Oh,
America, piange lei con labbra silenti
Dammi gli spettri della gente che hai distrutto e il
cui paese hai razziato
Così che io possa imparare la loro saggezza antica
E mi sia mostrata una strada verso la consolazione.
Dammi gli spiriti di chi hai trascinato sin qui in catene
attraverso mari oscuri
Così che le catene della storia possano essere
spezzate
Ed essi possano riunirsi finalmente con i propri antenati.
Dammi una terra che sia libera da vincoli e recinzioni
Una terra che non sia profanata dagli artigli stretti
della cupidigia
E che non sia inaridita dal fuoco delle tue guerre infinite
Un posto che non sia stato portato via con la forza
a qualcuno.
Dammi
una casa semplice che non sia il castello di un ricco
E che non sia posta a difesa contro la vita, ma che
sia conferma della vita stessa
Dammi un tetto che sia un riparo per l’amore e
non per l’avarizia
Dammi oceani che non siano terreni di caccia
E continenti che non siano campi di massacro
Dammi aria che non sia contaminata dal fumo delle ciminiere
del commercio senza freno
Dammi acqua che non sia contaminata dalla tua doppiezza
melata
Dammi del cibo che sia frutto di lavoro onesto e non
maledizione di schiavitù spregevole.
Dammi
un letto che sia celebrazione di gioia di libero pensare
e non di lascivia senz’ali
Dammi amore che non sia un surrogato d’amore, che
non sia prostituzione
Un amore che non sia distorto dalle rapine di Hollywood
Dammi i tuoi corpi liberi dalla vanità, corpi
che non siano silicone né celluloide
Corpi che non siano assemblaggio grossolano del bisturi
di un chirurgo
Corpi che non siano avvolti nel sudario della moda pacchiana
Spogliati dell’obesità di Narciso, che io
possa vederti finalmente nuda ed orgogliosa.
Dammi
un sogno che non sia il tuo sogno, poiché prima
dovrai riscriverlo.
Oh,
America, non hai visto?
Tra le fiamme alte, le ricchezze sono colate giù
in rivoli di miele dolce dalle tue casseforti
Raccogliendosi in fiumi sui pavimenti di marmo dei tuoi
supermercati, a scorrere
Lasciandosi indietro impotenti le guardie di sicurezza,
disarmate dalla propria confusione
Per riversarsi sulle tue strade lastricate d’oro
e di tizzoni ancora accesi
A travolgere quel teatro di tristezza
Attraverso le secche insidiose degli agenti di borsa
cocainomani
Di mediatori imbottiti di prozac e di azionisti accecati
dal valium
Tutti a gettarsi a capofitto per spartirsi il guadagno
sfruttando l’altrui perdita
Pirati senza nave che agitano l’unico occhio rimasto
a caccia dell’ultima fortuna
A chi importava davvero da dove proveniva la tempesta?
Intanto
sotto le macerie si lottava per un filo d’aria
E nei sotterranei nessuno, se non le vittime.
Eccoli
lucenti e gonfi a passeggio sui marciapiedi
A indirizzare sguardi dolci e vuoti a manichini di plastica
con addosso il vestito buono
Impellicciati di animismo svuotato, a scambiarsi sorrisi
sintetici e vacui
Chissà chi sarà l’ultimo a ridere
Nessuno sapeva chi o cosa, a nessuno importava: erano
problemi d’altri
Soffocando tra la nebbia di falsità che ha accecato
tutto e tutti come la polvere ed il fumo
Eppure con la sensazione profonda di essere complici
del massacro
I grassi padroni delle multinazionali furono aiutati
ad alzarsi
Dai sedili in pelle appiccicosi delle loro limousine
superallungate
E condotti ai propri uffici privati, alle proprie attività
illegali.
Eccoli
a fumare sigari grossi come le più grandi fantasie
falliche (1)
E a gocciolare saliva su menu specialissimi per nutrire
la propria dispepsia
Ed eccoli poi a ruttare e vomitare, i campioni dell’usura
Speculando sul saliscendi del solco dei seni delle loro
accompagnatrici pubescenti
E sugli investimenti solidi come roccia appesi ai loro
colli
Oh sì, i diamanti sono i migliori amici d’ogni
ragazza, e i peggiori nemici d’ogni moglie
Sono le manette che stringono i polsi dei poveri disperati
Costretti a strapparli dalle viscere della terra.
Saziati
sino all’eccesso, ossessionati da quell’oro
liquido
Che ora minaccia di soffocare persino la loro innata
ignoranza
I padroni strinsero le chiappe grasse e spinsero avanti
le loro mani di porco
Verso la carne imbellettata delle accompagnatrici ormai
stanche
A cercare di succhiare quel sangue vitale
Che nella propria decadenza raggrinzita non hanno mai
conosciuto.
E
nella delusione di questo inferno edonistico si accesero
le luci al neon
E s’alzò un urlo sguaiato dai cartelloni
pubblicitari posti sopra alle bare
Il messaggio era sempre lo stesso:
Chi non è con noi, è contro di noi
Consumate, quindi!
E
nella loro impotenza autoimposta, le folle furono felici
di obbedire
Il vecchio mondo frettolosamente gettato tra i rifiuti,
ed il nuovo avvolto in carta regalo
Omaggi da due soldi, ninnoli e spazzatura: le bombe
a grappolo del consumismo
I soldi sono passati per mani diverse, ma sono andati
a finire nelle stesse tasche di sempre
Amici o nemici?
A chi importa davvero?
Si vive solamente una volta, così è, e
basta
La sostanza del discorso è semplice
Questa era ancora la capitale del capitalismo postmoderno,
il suo centro, cuore ed anima
Non si poteva far altro che andare più a fondo
nel ventre della bestia.
Non
pensare: compera
Non fermarti: spendi i tuoi soldi
Da’ a te stesso una prova della tua esistenza
Consuma, o sarai distrutto
Ciao bambino (2). Addio… (3).
Oh,
America, dammi valori liberi dalla tua psicosi di stella
filante
Liberi dal tuo blaterare sciovinista, liberi dalla tua
missione terribile
Dammi una giustizia che non sia ripicca ardente della
tua vendetta
Dammi una pace che non sia un prodotto di guerra, e
che dalla guerra non dipenda
Dammi speranza dove ora c’è solamente disperazione
Dammi un futuro che non sia la tua odiosa crociata
Dammi libertà dove ora c’è solo sottomissione
Dammi una faccia ora che l’impersonalità
è normalità
Dammi una musica che sappia nutrire l’anima invece
che depredarla
Dammi un tempo che non si misuri con il castigo dei
tuoi dollari sporchi
Dammi l’onestà della ragione e del rispetto,
e non la fuga comoda del razionalismo superficiale
Dammi tutti coloro che hanno cantato sinceramente le
tue lodi, e che ora tu profani
Whitman, Steinbeck, Ginsberg, Pollock e Rothko, Ayler
e Coltrane
Possano essi cantare ancora dell’amore supremo.
Dammi
i tuoi filosofi, così che possiamo volare alti
sul nido del cuculo della tua pazzia
Dammi i pazzi, gli sbandati, le puttane e gli sballati
che ora disprezzi
E dammi tutti quelli che sono stanchi
Dammi i tuoi poveri, le folle raccolte che aspirano
alla libertà
Ma dammi anche tutti quelli che, in ogni angolo del
pianeta
Hai reso schiavi della tua misera moralità e
della tua potenza militare
E noi aspetteremo
Dammi tutti quelli che sono rimasti senza una casa e
noi uniremo le nostre lotte, lontani da te
Poiché, mentre attendo la tua guarigione non
posso offrire a nessuno di questi una casa.
Penny
Rimbaud, aprile/maggio 2002
(traduzione di M. Pandin)

Penny
Rimbaud
Note:
1. Nel testo originale le due elle della parola “phallic“
sono sostituite dalla fotografia delle Twin Towers.
2. In italiano, nel testo.
3. Nel testo originale “buy buy” (compra compra)
è un’assonanza con “bye bye”.
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