rivista anarchica
anno 33 n. 293
ottobre 2003


ateismo

Libera
di Luigi Veronelli

 

Si autodefinisce “anarchenologo” e recentemente ha pubblicato con Pablo Echaurren un manuale per enodissidenti e gastroribelli. In questo scritto critica l’anticlericalismo, difende l’ateismo e…

Vi sono 2 Libera – associazioni – ciascuna da me amata. L’una, la più conosciuta, in Sicilia, si occupa di trovare ragazzi giovani che abbiano il coraggio di acquisire le terre sequestrate ai mafiosi e di coltivarle (ha lavorato bene, tanto d’aver avuto l’incarico gravoso, se non massacrante, di occuparsi anche delle proprietà sequestrate alla ‘ndrangheta calabrese, che dicono ancora più feroce). Il fatto che uno dei coordinatori sia don Luigi Ciotti mi fa pensare, forte la presenza dei cattolici.
L’altra – non scrivo “la seconda” di puntuale proposito – Libera, opera in Emilia ed è – quanto meno lo credo – di impostazione anarchica e quindi anche atea (come me).
Mi ha scritto Colby, uno di quei giovani attivi, per invitarmi ad una 3 giorni anticlericale. A causa dei miei occhi e delle cure (ultime che mi costringono a frequenti viaggi in Germania) non potrò parteciparvi.
Mi dispiace molto. Avrei detto loro, nella pubblica piazza, che non è più possibile essere anticlericali. Anche se è vero che le autorità e molti della gerarchia ecclesiale fanno di tutto per far rinascere e alimentare quel fenomeno deviante.
Ieri sera – 6 agosto, raitre, quasi notte, dopo la trasmissione dei telegiornali nazionale e regionale – è andata in onda una trasmissione sul rabbino Toaff, che ha lasciato la sua carica – di massimo rabbino italiano, appunto in Roma – per limiti di età. È stato un personaggio duro, come tutti gli uomini di fede (credono l’impossibile, possibile). Ha raccontato la sua storia di ragazzo e di uomo perseguitato dalla bestialità nazista (…).
Il racconto ha avuto tre momenti di estrema commozione: la strage di Sant’Anna di Stazzema, di cui fu uno dei testimoni; la benedizione di papa Giovanni agli ebrei che uscivano dalla sinagoga romana dopo la preghiera (quel papa contadino di immensa bontà ed intelligenza, accortosene, aveva fatto fermare la propria auto) e la partecipazione del presidente Pertini ai funerali di una bimba ebrea uccisa in Roma da uno dei rigurgiti fascisti, 1982; sembra impossibile.
Sia Toaff, sia papa Giovanni erano uomini di fede, senza aggettivazioni (ciascuno credeva nella sua, fondata accettazione delle fanfole tratte dalla notte dei tempi). Sandro Pertini era di fede socialista, con qualche attenuante quindi, quanto meno per l’aggettivazione recente.
Tutti e tre i personaggi – in misura diversa, va da sé – sono stati degni di rispetto e 2, addirittura, amabili.
Nel mio vivere – ormai lungo – ho avuto frequentazione e conoscenza di molti sacerdoti, quasi tutti, come logico, cattolici e cristiani. Se ci penso, se ricordo le loro parole, a volte aspre per i contrasti ideologici, debbo affermare essere stati, in larga maggioranza, stimabili.

Dio e il diavolone

Certo, ciascuno fedele alle proprie credenze; altrettanto certo, comprensivo, liberale, non violento e con una volontà moderna, di privilegiare al loro interno le vocazioni comunitarie.
Si è soliti dire: “Beato chi ha la fede, perché ha meno problemi”. È proprio vero?
È vero il contrario se – fatto certo dell’impossibilità dell’impossibile, attraverso il pensiero e l’osservazione – acquisisci, come per incanto, una grande serenità e perdi il timore. Sì, il cosiddetto timore “iniziale” (la condanna, secondo i fanfolisti, di ogni creatura che nasce), la paura sia della colpa, sia della pena che obbliga il cristiano verso Dio, il timore servile, il timore, appunto, di Dio.
Se ti liberi da ciò, le opere che fai lo sono per tua scelta e non per l’imposizione di una verità rivelata.
Quando la mia Connie – una schnauzer gigante che mi affascina per il perfetto disinteresse e la bellezza degli occhi – avverte i primi lampi e ode i tuoni, corre verso di me, trema e mi si accuccia tra le gambe.
Le dico: “Connie Connaccia, hai paura del diavolone, eh? Ti prende stavolta il diavolaccio”. Dio e il diavolone.
L’uomo è un unico.
Frutto, come ogni altra “cosa” nata dalla Terra, di miliardi e miliardi di congiunzioni e di casualità. Si modifica già per la prima esperienza che lo porta al pianto o al sorriso. Di qui l’importanza dell’educazione in cui la parola colpa non dovrebbe mai entrare, né come iniziale, né come futura.
Le iniziative saranno solo sue, inquinate molte volte da errori, mai da colpe.
Non ho respiro antropologico per potermi soffermare su un argomento così importante. Spero solo di farti intuire l’estrema bellezza della tua singola libertà. Quella sì capace di convincerti ad operare secondo etica e socialità, a favore degli altri prima ancora che tuo.
Cerco di farlo con la comunicazione, l’unico modo – disgraziato me – che conosco. Gli occhi hanno già dato un grosso taglio alle mie possibilità. Temo, va da sé considerati gli anni, altre malattie, col solo augurio: non tocchino il cervello.
Ho avanti a me l’immagine di una quercia ormai stanca – potrei dire un altro albero, più modesto; un ceppo di rose – la stanchezza è tale da rifiutare ogni cura incisiva.
Pensare alla morte come esaurimento – non comunico più un valido pensiero, e non ghiande, e non rose – non dà la benché minima inquietudine. Se mai, la lieve gioia di ritornare alla Terra. Madre e anima.
Amici di Libera – delle 2 Libera – ho dovuto passare la soglia dei 77 anni (sto percorrendo il settantottesimo) per accorgermi dell’assoluta sinonimia, anzi, l’identità di 2 aggettivi: etico e sociale.
Dice il Grande Dizionario della Lingua Italiana: “L’etica è la scienza della condotta umana, intesa come dottrina del fine a cui tende il comportamento e dei mezzi atti a raggiungere tale fine, o come ricerca del movente della condotta stessa (e mira alla definizione della nozione di bene, ravvisato nella felicità, nel piacere, nell’utile, nell’amore)”.
Si dice sociale – in un sistema culturale bene determinato – ciò che agisce ed esprime compiutamente sé stesso e l’altro, alla fin fine il bene, la felicità, il piacere, l’utile e l’amore proprio e dell’altro, all’interno di una socialità compiuta.
Ragionateci, amici: etico e sociale sono sinonimi con una compenetrazione esaltante.
Avviene così che uomini di immensa bontà e intelligenza, militino in campi avversi. Molti uomini di immensa bontà e intelligenza, credono ancora – e ci pare tanto assurdo da poterli ritenere colpevoli – nelle verità rivelate, diverse di luogo in luogo. Sino a far temere il ritorno di un nazismo, proprio per le ragioni contro ogni ragione della fede.
Non è uno scandalo ch’io ripeta: se papa Wojtila – meno santo di papa Giovanni, ma certo d’eccelsa forza e intelligenza – fosse nato, anziché in una famiglia cattolica di Polonia, in una famiglia musulmana dell’Iran, avrebbe avuto una altrettanto fede assurda e incrollabile della verità rivelata da Maometto.
Ripeto: etico e sociale sono sinonimi. Per maledizioni millenarie, in questo concetto è stata introdotta, sino a divenire dominante, la necessità di una fede. Affermiamo l’esatto contrario. È l’unica via per giungere alla cancellazione dei delitti di ogni tipo, sollecitati da “verità” che sono, quando non imposture, interpretazioni eccessive, a volte sino al fanatismo ed alla persecuzione, di testi e saggi profetizzanti e “poetici”. Ne hanno preso l’effettiva gestione i peggiori: i politici, i militari e i finanzieri.
Le guerre, le violenze, le tragedie continueranno sino a che esisteranno fedi che non siano la sola fede dell’uomo per l’uomo.
Abbiamo in noi, ciascuno – come ogni altro animale e come gli altri organismi viventi – le nostre capacità e possibilità. È a queste che dobbiamo richiamarci, momento per momento, per arrivare alla consapevolezza, alla tolleranza, alla non violenza e alla pace. La consapevolezza soprattutto della vita, solo materiale, il che non toglie, anzi moltiplica, il dovere dell’etica e della socialità.
L’anticlericalismo rinasce, purtroppo, dalla sempre più pesante presa di possesso nel campo economico e mediatico degli uomini peggiori “di fede”, stato via stato, nazione via nazione. Uomini di fede, e proprio perciò giustificati ad imporre la propria.
È banale citare il fatto incontrovertibile che nella nostra Italia tutti i mezzi di comunicazione – tutti senza esclusione alcuna – aumentino gli spazi dedicati alle religioni; com’è logico, in particolare cattolica o cristiana.
Meno banale, anzi funesto sino a far temere la fine della Terra (la Terra è l’anima) per eventi sempre più continui e catastrofici nati dalle fedi ed attuati da chi ne trae macabri profitti.

Luigi Veronelli