rivista anarchica
anno 33 n. 294
novembre 2003


lettere

 

Attenti al cane

Gli animali non hanno ancora imparato a parlare e, sentendo le parole sputate dagli odierni ministri della salute attraverso gli schermi televisivi, si potrebbe sperare che non imparino mai.
Tantomeno loro, gli animali, non hanno ancora affinato le proprie tecniche di scrittura, e, riflettendo per un attimo sugli scarabocchi confusi di quotidiani nazionali su temi quali quello della sindrome da morso, sia consentito sognare che non prendano mai in zampa una penna.
Fatto sta però che e dalla carta stampata, e da quella straccia dei fogli letti al telegiornale, continuano ad arrivare quotidianamente attacchi, ingiurie e diffamazioni nei confronti di quella che sempre più si sta cercando di definire come una categoria pericolosa: quella dei cani, appunto.
Il passo da questa «classe» particolare, a quella più generale della «specie» animale è in fin dei conti breve. Volendo ridurre la questione ad un sillogismo esplicativo si potrebbe così sintetizzare il pensiero statale in materia di animalismo:
Premessa 1: Chi minaccia l’altrui incolumità è suscettibile di contromisure proporzionate e limitanti.
Premessa 2: I cani minacciano l’altrui incolumità.
Conclusione: I cani devono essere limitati con contromisure proporzionate e limitanti.
Se al termine cane si sostituisce quello di malvivente, terrorista, sovversivo ecc., non risulta difficile comprendere che qui si parla di un meccanismo del tutto simile a quello legislativo.
Proviamo a cambiare i termini delle proposizioni:
Premessa 1: Chi minaccia l’altrui incolumità è suscettibile di contromisure proporzionate e limitanti.
Premessa 2: I padroni dei cani turbano l’integrità (psicofisica) di quest’ultimi imponendo pratiche come quella dell’addestramento (d’attacco e non), che deviano le naturali tendenze dell’animale.
Conclusione: I padroni devono essere limitati con contromisure proporzionate e limitanti.
La «colpevolezza» dei morsi animali non sta quindi nella presunta famelicità canina, ma nel machismo dell’uomo, e dimostrarlo non sembra poi così difficile.
Ma certamente non è questo il percorso che potrebbe interessarci; si rischierebbe una linguistica legittimazione dell’imposizione statale, dell’ordine giuridico, e della strategia accusatoria e carceraria.
Ciò che probabilmente risulta più utile evidenziare e che, non solo queste ultime mosse sullo scacchiere nazionale corrispondono ad una pratica di controllo ormai conosciuta (che va dalle leggi speciali antiterrorismo alla militarizzazione delle strade pre e post Genova), ma che esse, queste tanto necessarie nuove misure di sicurezza, si nutrono di premesse contraddittorie.
Cerchiamo di spiegarci un po’ meglio.
Lo stato prevede l’esistenza della proprietà privata.
Accantonando per un attimo quei loschi figuri con la divisa che a turno mutano il loro nome in polizia, carabinieri, preti e soldati, che la proprietà privata difendono, possiamo senza rischio di contraddizione asserire che la repubblica legittima la difesa degli spazi non pubblici mediante lo sfruttamento (guarda un po’…) di «cani da guardia».
I conti non tornano.
Finché un pitbull morde chi non riconosce l’esclusività della proprietà privata allora tutto va bene; quando poi, fuori dai recinti, dai cancelli e dai prati inglesi un dobermann deve passeggiare per espletare almeno quelli fisiologici dei suoi bisogni?
Sirchia consiglia (anzi, impone): guinzaglio e museruola.
La contraddizione è evidente.
Ogni problema ecologico è un problema sociale, e non soltanto un problema politico o legislativo: la sostanza sta nel ristrutturare l’intera società in maniera che essa possa convivere con la natura, disse Murray Bookchin.
I centri di vivisezione, di sperimentazione, di addestramento, di controllo sugli animali si stanno allargando anche nelle strade. Togliere le museruole agli animali con cui si condivide una passeggiata, non strangolarne le intenzioni con un guinzaglio fatto di ordinanze ministeriali; questa una prima, concreta azione possibile.

Mauro Massafia
(Lecce)

 

Taglio schietto

Ho letto con interesse l’articolo di Andrea Papi “Lo stato delle cose”. Mi trovo completamente d’accordo con la sua esposizione e mi è piaciuto il taglio schietto e pulito con cui l’ha scritto.
L’incanto e non il dominio – sguardo e sentimento col quale reimparare a guardare il mondo e tutti i suoi abitanti.
Anch’io credo che, pur avvicinandosi a grandi passi il punto di non ritorno, ci siano ancora possibilità immense per ritrovare la strada smarrita.
E non è utopia. La consapevolezza che il nostro attuale stare al mondo non è altro che un modo sbagliato e che altri modi sono possibili, dovrà spingerci con forza a cambiare atteggiamento. Ma c’è da cominciare subito.

Chiara Bellini
(Mantova)

 

 

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