rivista anarchica
anno 34 n. 300
giugno 2004


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Ridi cattolico

 

Allorché Sulpicio Severo tira le fila della Vita di Martino, vescovo di Tours, evangelizzatore delle Gallie dai modi spicciativi e taumaturgo, ritiene di farne buon elogio assicurando che "nessuno mai lo vide adirato, nessuno turbato, nessuno affliggersi, nessuno ridere". Sulpicio, che conosce personalmente Martino negli ultimi anni del trecento, così dicendo, non sa di toccare un tasto particolarmente delicato per i cattolici.
Luca, l’evangelista, aveva ammonito: "guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete". Ambrogio e Giovanni Crisostomo, che di Sulpicio e Martino sono stati più o meno coevi, gli sono andati dietro, l’uno condannando tutti i giochi in generale, l’altro dicendo che lo scherzo è comunque opera del demonio.
Non è un caso, dunque, se Umberto Eco, nel 1980, sul rapporto tra riso e cristianità ha potuto imbastire quel Nome della rosa che costituisce a tutt’oggi l’opera sua di maggior successo. Nella Chiesa agivano forze che sentivano oltremodo necessario tener segreto il testo del secondo libro della Poetica di Aristotele – dedicato, per l’appunto, al riso. Il riso, infatti, libererebbe dalla paura e, per qualcuno, la paura è l’alimento principale e indispensabile alla fede. Da ciò una catena di delitti e l’incendio purificatore conclusivo, mentre, a fatica, avanza la fazione opposta, quella che, per esempio, fa aprire a Tommaso d’Acquino, parecchi secoli dopo Sulpicio e Martino, uno spiraglio a favore dell’umorismo che, pur rimanendo cosa da evitarsi, come manifestazione della razionalità umana, potrebbe anche risultare "virtuoso".
Che la questione sia lontana dall’essere risolta, lo dimostra il "licenziato in teologia pastorale sanitaria" (cosa sia lo sa Dio, ma debbo ammettere che l’ultimo aggettivo mi preoccupa) Edoardo Gavotti, in un libro che, sotto il titolo di Umorismo e salute (Edizioni Camilliane, Torino 2003) non nasconde le sue mire più autentiche, quelle di discutere "come aiutare la salute del corpo e la salvezza dell’anima con l’allegria".
Convinto che oggi si sia "imparato a distinguere fra certezze dogmatiche e dogmatismo" – e, a differenza di me, convinto che questa distinzione abbia un senso –, Gavotti, riesce a scovare nell’Antico Testamento una ridda di buontemponi e, forte di dotte citazioni, riesce perfino a disegnare la figura di Gesù Cristo come quella di un umorista, maestro di giochi di parole, d’ironia e di satira – senza contare che, a suo avviso, saremmo tutti "figli di un Dio che ride". Alla base del suo ragionamento, sta l’idea che "come ogni realtà mondana, l’umorismo è cosa buona in sé, perché prevista dal creatore" e che, tuttavia, sarebbe "esperienza che va redenta".
Qui non si tratta più soltanto di contraddizioni interne alla Chiesa – quelle ci sono, palesi, nonostante tutti i tentativi di nasconderle, nonostante la Chiesa più o meno sorridente di oggi sembri (sottolineo il verbo) preponderante rispetto alla Chiesa cupa e torva. Qui c’è la contraddizione tutta filosofica della "cosa in sé" e della cosa addirittura "buona in sé" – una bontà comunque sospetta, perché bisognosa purtuttavia di un lavaggio ulteriore con il misterioso sapone della redenzione (una fortunata metafora, dal latino "emere", che sta per "comprare una seconda volta" o "riscattare", come il "riscattare gli schiavi", antecedente e calco per il "riscattarsi dal peccato originale"). C’è, in altre parole, una versione particolarmente estesa della vecchia protervia cattolica che decide cosa è bene e cosa no. Qui, bene, praticamente, è tutto e, dunque, nulla è più distinguibile dal suo opposto. Anche perché, come sostiene Gavotti rispolverando la tesi della predestinazione delle anime – una tesi che è costata l’accusa di eresia a tanti –, l’umorismo cristiano sarebbe l’ "ammiccante e sereno sberleffo di chi sa che i giochi sono già stati fatti da Dio".

Felice Accame

P.s.: Se il tasto dell’umorismo è particolarmente delicato per i cattolici, non è detto che non lo sia anche per altre categorie sociopolitiche. Per esempio, per i marxisti. Vita di Martino di Sulpicio Severo è pubblicato con testo latino a fronte, ben curato da Fabio Ruggiero, dalle Edizioni Dehoniane, Bologna 2003.