rivista anarchica
anno 35 n. 305
febbraio 2005


popolo in cucina

Ritornare alla tavola proletaria
della cuoca rosso-nera

 

Le cucine del popolo: la rivoluzione è servita. Considerazioni in stile libero.

 

La premessa

Nell’era della globalizzazione anche e soprattutto alimentare, è necessario ritornare alla tavola proletaria – là dove il capitale è debole, vulnerabile e privo di fantasia – per restituire ai nostri cervelli quelle sostanze essenziali, troppo spesso sacrificate sull’altare del perbenismo e della concertazione alimentare.
Siamo consapevoli che su questo terreno lo scontro con le multinazionali dei cibi transgenici e plastificati sarà durissimo, ma siamo altrettanto convinti che questa battaglia si può vincere, a patto che si ritorni, tutti, alla cucina sociale. Una cucina legata al nostro ambiente, fatta con i prodotti della nostra terra, realizzata secondo l’antica tradizione eno-gastronomica della tavola proletaria, che non accetta imposizioni dal capitale alimentare.
Di più: la nostra cucina, con il suo ricco apporto nutrizionale, è in grado di alimentare – come già ha dimostrato in passato – anche le generazioni presenti e future, a differenza delle mode alimentari imposte dalle multinazionali che notoriamente avvelenano, inquinano e saccheggiano. Intendiamo inoltre la cucina principalmente come luogo della socialità e della comunicazione, dello scambio e della creatività, insomma, della contaminazione culturale.

Il luogo

Il convegno sulle cucine del popolo si è tenuto a Massenzatico, nella terra di Camillo Prampolini, perché in quella frazione è stata costruita, nel 1893, la prima Casa del Popolo italiana.
In quel luogo magico, dove materialmente si è tenuto il convegno, le nostre sorelle e i nostri fratelli del passato edificarono mattone su mattone il primo spazio di trasformazione sociale del movimento operaio e contadino.
Non è caduta a caso, quindi, la scelta del Teatro Artigiano di Massenzatico, costruito e ridislocato sulle fondamenta di quella Casa del Popolo che per prima irradiò un futuro di uguaglianza e di libertà, di sorellanza e fratellanza.
Da quella Casa del Popolo partì un’indicazione per tutto il movimento di emancipazione sociale tesa a trasformare gli assetti societari in senso orizzontale e solidarista, che vedeva operai, contadini e sfruttati muoversi direttamente in prima persona nella costruzione di un’altra società.
Il richiamo al passato è d’obbligo, nel proposito di comprendere il futuro più prossimo e la tentazione di porre domande alla storia in quel luogo così significativo è stata fortissima.
Anche per questa ragione, per potere e per poterci interrogare sui luoghi topici della nostra storia, di quella delle nostre madri e dei nostri padri, delle nostre nonne e dei nostri nonni, siamo approdati a Massenzatico.
Infatti, abbiamo vissuto insieme, in tantissimi, una giornata indimenticabile di riflessione e confronto sulla cucina sociale, che tanta parte ha avuto nella formazione degli spiriti liberi che hanno animato, fin dagli albori del movimento operaio, i sogni di libertà e d’eguaglianza.

La tecnica

Il convegno è stato preparato nel tempo, con pazienza, cercando di coinvolgere tutte le esperienze della sinistra reggiana in un rapporto leale, paritetico e rispettoso delle diversità, nella misura in cui le cucine sociali appartengono a tutte le tendenze del movimento operaio.
La giornata è stata completamente autogestita e autofinanziata, articolata
dal basso in modo orizzontale, senza funzionari e dirigenti, dimostrando l’alto valore aggiunto dell’azione militante senza gerarchie. Una settantina di compagne e compagni si sono impegnati per svariati giorni consultandosi quasi tutte le sere in assemblee aperte a tutto il movimento reggiano.

Il logo

Forchette in alto e forchette a pugno chiuso, un nastro rosso a unirle; bandiere rosse e bandiere rosso-nere sventolanti di vitalità. Immagini e segni che hanno anticipato il clima e il rapporto di un incontro fatto di comunanza e mescolanza, dove tutti si sono sentiti avvolti dalla grande casa del popolo.
È piaciuto tantissimo il manifesto realizzato da Pablo Echaurren, artista in libertà e, soprattutto, artista delle libertà, capace di interpretare i sogni e i desideri del movimento come nessun altro, “un manifesto che ormai tutti cercano per farne l’icona nuova di un socialismo antico”.

L’evento

Si è parlato di storia, di tradizioni perdute, di un tempo nel quale l’attività politica più genuina era pianificata a tavola. La cucina sociale, quindi, come momento d’aggregazione, ma anche come specchio e auspicio di una società solidarista.
Già il programma intenso e coinvolgente della giornata aveva creato grandi aspettative che certo non sono andate deluse. Le idee di base per la discussione – fra convivio popolare, gastronomia storica, assaggi naturali, relazioni scientifiche e performance artistiche dove le parti ‘teorica’ e ‘pratica’ si sono dimostrate inscindibili – sono state quelle di una parte del movimento reggiano, fautrice del ritorno alla tavola proletaria ingiustamente sacrificata “sull’altare del perbenismo e della concertazione alimentare”, e la proposta De.Co. (le Denominazioni Comunali) di Luigi Veronelli, sostenitore entusiasta dell’iniziativa ma assente per motivi di salute (auguri fratello e compagno!).
In mattinata le “comunicazioni con assaggi”, incontri con i produttori, brillanti esposizioni di vivande e bevande dal gusto vagamente rivoluzionario, se non altro perché “rivoluzionaria è la qualità”. E allora i molti appassionati hanno potuto approfondire, in modo dinamico e godereccio, la lavorazione e gli infiniti usi del maiale, i processi di invecchiamento di aceto balsamico e lambrusco, fino a riscoprire un pezzo tanto pregiato quanto raro come il grana (parmigiano reggiano) di vacca rossa, e ancora erbe estinte e liquori proletari.
Nel pomeriggio il momento delle relazioni. Al Teatro Artigiano di Massenzatico hanno trovato spazio le riletture, in chiave eno-gastronomica del passato rivoluzionario italiano.
Dalla resistenza al fascismo, agli scioperi dei minatori del Valdarno, dalle avanguardie artistiche e letterarie, alle mense comuniste, dalla cucina sociale della via Emilia alla tavola degli internazionalisti, che cosa mangiavano coloro che si sono battuti con miracolosa dedizione. Dove mangiavano? Cosa mangiavano? E come mangiavano?
Risposte curiose, dissacranti e mai banali. Storie di scioperi per il cibo, di esperienze fatte di solidarietà e di spirito comunitario, di strozzapreti dal gusto anticlericale.
Delle virtù libertarie del lambrusco, l’unico vino al mondo con cui sono stati battezzati dei bambini; storie di compagni, come Aurelio Chessa, che faceva del suo naturale dono per la cucina, un autentico veicolo di attivismo politico.

I numeri

I compagni di Massenzatico, tanti e generosi, si sono prodigati oltremisura per la riuscita dell’iniziativa.
Ben nove cuoche, sempre del paese, dimostrando un altissimo livello professionale, si sono impegnate per due settimane nella preparazione del Veglionissimo Rosso con un menù ripreso da un’omologa festa socialista del 1903.
Alla fine, commosse, hanno incassato il “premio”: un’autentica ovazione dei 350 commensali presenti. Il menù ha ripreso la più coerente tradizione sociale reggiana: antipasti formati da erbazzone, ciccioli, salame e gnocco fritto, cappelletti in brodo, bolliti di gallina e di manzo, salse di campagna, torta di riso e zuppa inglese, liquori proletari e tanto, tantissimo lambrusco.
L’evento ha avuto una copertura mediatica eccezionale ed un successo di partecipazione oltre ogni previsione: nel corso della giornata circa un migliaio di persone hanno visitato l’esposizione di produzioni eno-gastronomiche e hanno seguito il convegno.
Purtroppo ben 500 richieste di partecipazione non sono state esaudite a causa del veloce esaurimento dei posti in prenotazione. Sono state bevute 600 bottiglie di lambrusco, consumati 40 chili di cappelletti, un quintale di torte, un quintale di carne fra gallina e manzo per i bolliti, 1000 pezzi di gnocco fritto e 30 sfoglie di erbazzone; si sono vendute 150 punte di grana di vacca rossa.

La rezdora

Nel suo intervento a braccio, la compagna rezdora, al secolo Priama Gelati, ha parlato delle cucine degli ultimi, fatte di e con poco – eppure sempre compatibili e nutritive, che hanno accompagnato la sua vita intensa.
Il suo è stato definito un intervento di classe in tutti i sensi, degno di una persona e di un ruolo di grande valore umano e politico. La nostra rezdora ha spaziato dalla cucina della resistenza a quella dell’emigrazione del dopoguerra, da quella degli asili – i famosi asili di Reggio degli anni 60 – alla cucina popolare condita sempre con buonsenso alimentare e prodotti resistenti.
Le sue considerazioni politiche sono state condivise da una vasta platea; il suo modo di ragionare, con il cuore in mano, ha emozionato e coinvolto tutti i presenti.

Le indicazioni

Dalla giornata emerge che questa avventura è appena iniziata. In effetti, il rapporto fra cibo e movimenti, cucina e socialismo, rappresenta un formidabile strumento di interpretazione dell’attuale contesto politico mondiale.
Si preannuncia così un futuro convegno – questa volta internazionale – sulle cucine delle rivoluzioni (bolscevica, spartachista, zapatista, anarchista, ordinovista, sindacalista) con due riflessioni: una sulla cucine della Prima Internazionale (Marx e Bakunin), l’altra sulla cucina della Comune di Parigi; la costituzione di un Centro Studi sulle Cucine Sociali deputato a raccogliere, valorizzare e produrre materiali sulla tavola proletaria, in raccordo con studiosi, ricercatori e docenti universitari; l’allestimento di un archivio/biblioteca sulla cucina sociale e militante, con relativo catalogo bibliografico; la valorizzazione degli interventi al convegno con la pubblicazione degli atti da parte del Centro Studi.

Le riscoperte

Dal convegno sono emersi e riemersi innumerevoli saperi, segreti, tradizioni, ricette, comportamenti scomparsi, rimossi, dimenticati, quali:

  • il maiale, questo sì divino, come veniva chiamato nel lontano passato dai contadini perché sfamava le famiglie nonostante avversità e carestie;
  • il lambrusco, vitigno ribelle fin dall’antichità, buono sia per le cucine del popolo che per il battesimo laico degli anarco-socialisti;
  • i liquori proletari, nocino, laurino, pino, rossella e tanti altri, prodotti dai poveri per sostituire le costose bevande straniere;
  • il ruolo centrale dei cappelletti, nella versione anarchica – uno solo, in quella antifascista – tanti e in quella socialista – in scodella con il lambrusco;
  • le paste all’uovo fatte in casa, il cibo decisivo per i pionieri del socialismo – i famosi internazionalisti senzaterra e senzapatria;
  • le erbe selvatiche, oggi dimenticate e sconosciute nonostante il grande valore medico e nutrizionale;
  • i dolci “perduti”, realizzati e consumati soprattutto il primo maggio, unica “giornata” universalmente riconosciuta dai lavoratori.

Si sono scoperti i luoghi, i contenitori, gli spazi delle cucine sociali: case del popolo emiliane, cameracce romagnole, società di mutuo soccorso, leghe di resistenza, osterie senza oste, circoli operai, associazioni sindacali e di mestiere, cooperative di consumo e distribuzione, le vere istituzioni del movimento operaio, come dicevano i nostri vecchi compagni. Grande spazio è stato dedicato alle mense comuniste, organizzate per resistere quel famoso “minuto in più” del padrone, diffuse in grande stile dai sindacalisti rivoluzionari parmensi con lo storico sciopero del 1908 e riprese successivamente fino al secondo dopoguerra inoltrato. In quello sciopero, durato parecchi mesi, furono spostati centinaia e centinaia di bambini in Toscana, dove furono allestite in varie città delle mense comuniste; erano presenti al convegno compagni cavatori di Gragnana (Carrara), dove, nel loro circolo E. Malatesta, furono ospitati e sfamati i bambini dei contadini parmensi.

I consigli

Come dicevo all’inizio della presente riflessione, è auspicabile un ritorno diretto, evitando inutili fermate perbeniste, alla tavola rossa e proletaria. Una tavola, come ampiamente dimostrato al convegno, tutta da riprendere e da proporre nel suo vasto campo d’applicazione: alimentare e nutrizionale, agricolo ed ecologico. La potenzialità straordinaria risiede nella sua naturale semplicità, mettendo in relazione coerente stomaco, cuore e cervello. Il suo rapporto con il socialismo libertario si è dimostrato indissolubile: le grandi decisioni, le grandi alleanze, le grandi scelte, si sono consumate spesso a tavola, in un luogo probabilmente godibile e intrigante, stimolo di rapporti sociali, politici e umani. La stessa cucina ricca del padrone è frutto di un esproprio/mutuazione dalla cucina povera dei lavoratori – nulla di nuovo anche in questo orizzonte, sconfitti e piegati anche sul fronte del buon gusto alimentare. A maggior ragione, se questo dato è veritiero, bisogna invertire atteggiamenti e comportamenti, innanzitutto a livello culturale, per riscoprire l’antico ricettario resistente.

Le ipotesi di lavoro

Dal convegno di Massenzatico sono emerse alcune proposte, oltre quella sulle De.Co. del compagno anarchenologo Luigi Veronelli, che posso riassumere in:

  • la costituzione di un’“intelligenza collettiva alimentare”, priva di comando e di autorità, in grado di sollecitare una significativa riflessione sull’uso capitalistico del cibo e delle risorse nell’epoca della guerra permanente;
  • la valorizzazione di un consumo rivoluzionario – perciò critico – che vada oltre la tipicità dei prodotti imposta dai grandi interessi privati, puntando a recidere ogni rapporto con il consumo-spazzatura del capitale planetario;
  • il coordinamento delle attività agricole, individuali, collettive e cooperative che si muovono in senso autogestionario, pensando anche a nuovi modi di produzione e di distribuzione, introducendo pratiche di scambio, banche del tempo alimentari, forme di mutuo soccorso, casse di resistenza e di solidarietà;
  • l’individuazione di spazi sociali, centri, osterie, caffè letterari dove si possa bere e mangiare a prezzi ragionevoli costruendo una rete di locali accoglienti e solidali, capaci di dare vita a diversi rapporti personali e aggregativi;
  • la realizzazione di eventi culturali legati alle cucine sociali, tesi a scoprire la storia del movimento operaio e contadino partendo dalla tavola, dal cibo e dal vino, per reinterpretare la storia stessa in modo eclettico, confermando che la rivoluzione sarà un gran pranzo di gala.

Massenzatico (mon amour)
Reggio Emilia.

La cuoca rosso-nera