rivista anarchica
anno 35 n. 308
maggio 2005


personaggi

Senza frontiere
Intervista con Giorgio Sacchetti

 

Pensiero e azione dell’anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986).

 

L’editrice “Zero in Condotta” di Milano (zeroinc@tin.it) ha appena pubblicato il volume di Giorgio Sacchetti, Senza frontiere: pensiero e azione dell’anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986). Il libro (540 pagine + 16 di inserto fotografico, € 24,00) è il risultato di un’opera imponente di ricerca effettuata su un’ampia gamma di fonti d’archivio e attraverso la disamina puntuale della ricca letteratura e pubblicistica novecentesca sull’anarchismo italiano ed europeo. Introdotto da una prefazione di Claudio Venza e dotato di appendice antologica suddivisa per sezioni, il lavoro si articola in sei capitoli: Formazione politica di un sovversivo.
La speranza rivoluzionaria (1918-1921); Il “signor Della Monica”. Esilio e cospirazione (1922-1936); Dalla Spagna libertaria al maquis (1936-1945); La militanza nella FAI (1945-1965); Sessantotto/Settantasette: un “giovane” rivoluzionario tra FAI e movimenti; La Commissione di relazioni dell’Internazionale anarchica (1968-1986).
Abbiamo rivolto alcune domande all’autore.

 

Testimone di eventi epocali

Marzocchi fa parte di quella generazione che si formò durante il primo conflitto mondiale e fu testimone di eventi epocali come la Rivoluzione russa, l’avvento del fascismo e del nazismo, la rivoluzione spagnola e la seconda guerra mondiale. Quali sono le caratteristiche principali, umane e politiche, di questa generazione?

Settant’anni di militanza rivoluzionaria libertaria nel Novecento – tali sono quelli vissuti da Umberto Marzocchi – significano aver attraversato il secolo, “breve” e controverso, nei suoi punti cruciali. Vogliono dire aver conosciuto da vicino molti degli aspetti terribili e talune conseguenze totalitarie nello sviluppo dei miti di classe e nazione. Guerre e rivoluzioni tradite nella vecchia Europa, ma anche grandi speranze si sono alternate di volta in volta nel susseguirsi febbrile delle vicende.
Così, elementi di soggettività e volontarismo hanno contribuito ad alimentare il fuoco dell’idea socialista anarchica. Un’idea onnipresente che si è compiutamente espressa, certo con differente grado di intensità, nei grandi movimenti di massa e sindacali del Biennio Rosso italiano, della Spagna rivoluzionaria, del Sessantotto-Settantasette, ma anche nella cospirazione e nell’esilio antifascisti, nel difficile impegno di testimonianza nell’era della guerra fredda.
In un percorso di questo tipo, connotato da sconvolgimenti e cambi di scenario repentini, da modifiche culturali e socio-politiche devastanti, rimane sempre molto difficile individuare un filo conduttore plausibile. L’insopprimibile anelito verso la libertà, l’antagonismo al potere oppressivo comunque ed ovunque esso si manifesti possono da una parte spiegare quel radicalismo che ciclicamente ritorna nei ranghi dei movimenti. Ma questa argomentazione da sola non basterebbe di sicuro a farci capire un fenomeno così straordinario di longevità.
Una militanza “minoritaria” di lungo corso presuppone per sua natura, a differenza forse di quella in partiti politici gerarchizzati di massa, pulsioni movimentiste e intelligenze creative quasi perennemente attive.
Inoltre, mentalità allergiche agli apparati e allenate a diffidare di ogni autorità, critiche ma attente al nuovo che si manifesta nella società, di fatto quindi più sensibili, sono per natura portate ad esprimere maggiori capacità nel superare ad esempio le barriere generazionali.
Intransigenza e rigore si sono allora coniugati con tolleranza e comprensione. Nel movimento anarchico di lingua italiana figure di questa specie non sono mancate, tutti appartenenti alla generazione di Marzocchi, tutti formatisi alla medesima scuola.

Umberto durante l’attività clandestina in Francia e in Europa cambiò molte volte residenza e nome per sfuggire alla polizia fascista. Quale peso ebbe questa esperienza sulla sua formazione libertaria?

Fu una grande prova. La clandestinità espone a pericoli di ogni sorta. La Francia dei fuoriusciti e degli esuli era poi un autentico verminaio, ma anche l’Italia repubblicana e democratica non sarà da meno. Ho proprio affrontato questo problema nella biografia di Umberto. Basandomi su un’attenta disamina delle carte di polizia, ed evidentemente non solo sul fascicolo del Casellario politico centrale, ho potuto appurare il ruolo nefasto e non secondario svolto dalle spie e dagli informatori nell’ambito del movimento anarchico. Spie e provocatori infiltrati, la cui identità non sempre è stata a tutt’oggi svelata, hanno reso amara e difficile la vita di militanti onesti e coerenti come Marzocchi.
Per quello che riguarda la mia ricerca ho scoperto ad esempio, attraverso alcuni riscontri su diversi fondi del ministero dell’interno, che in Francia era ben presente una categoria di finti antifascisti ricattati oppure avvezzi a prendere due paghe: una dal Comitato internazionale di difesa anarchica, l’altra dal console fascista.


Amico di Berneri

In Spagna Umberto fu uno dei protagonisti nell’organizzazione dell’intervento degli anarchici italiani in sostegno della Rivoluzione e fu amico di Berneri con il quale condivise i momenti più felici e quelli più difficili, quanto di questa esperienza incise sulla sua personalità?

L’originale pensiero politico di Camillo Berneri, con le sue idee di apertura e dialogo verso le forze più giovani e radicali, risulterà certo molto influente nel determinare gli orientamenti del movimento anarchico di lingua italiana e dello stesso Umberto, circa la delicata questione delle alleanze a sinistra, a partire dagli anni trenta.
Nel 1935, al convegno d’intesa degli anarchici italiani emigrati tenutosi a Sartrouville (Parigi), si formalizza un’autentica svolta, una scelta di campo irreversibile per quanto riguarda i possibili compagni di strada. In questa occasione, mentre già da tempo si era delineata nel movimento la consapevolezza sulla natura effettiva della Russia sovietica date le notizie sulle repressioni in atto contro l’opposizione di sinistra, si rafforza senza meno la constatazione della incompatibilità della prassi anarchica con il comunismo bolscevico (“Col partito comunista mai il benché minimo compromesso”).
Nel contempo si prende invece in esame l’eventualità di una “libera intesa” con: sindacalisti, Giustizia e Libertà, repubblicani di sinistra, con la dissidenza socialista e comunista in genere. Sono scelte queste che comunque rimarranno evidentemente a lungo vigenti. La Spagna, in tal senso, costituisce il punto di non ritorno.

Quale ruolo ha avuto il nostro protagonista nella ricostruzione del movimento anarchico nel Secondo dopoguerra?

Il passaggio dal protagonismo alla testimonianza non è certo facile per nessuno. Le vicende tormentate dell’anarchismo italiano, per i venti anni che seguono la fine della guerra, si caratterizzano per due episodi salienti: il contrasto aspro tra la Federazione Anarchica Italiana (FAI) e i nuovi Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) nei primi anni cinquanta; la scissione infine dalla Federazione, consumatasi nel 1965, dei Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA).
Tra tentativi audaci di rinnovamento culturale e difesa strenua dell’identità, e dei principi, tra organizzazione e individualismo, lotta di classe e aclassismo, il movimento si misura su questioni strategiche di grande peso il cui esito, invariabilmente, resta condizionato dal contraddittorio irrisolto rapporto dialettico con la nuova democrazia instauratasi dopo il 1945.
L’anarchismo italiano affronta la nascita della repubblica con un bagaglio teorico limitato. A fronte di più complesse e rinnovate – sebbene nel segno della continuità – strutture del potere pubblico e del dominio sociale, non corrisponde dunque un movimento libertario altrettanto dinamico e capace di risposte politiche adeguate.
È la dura realtà dei fatti. La sconfitta subita negli anni venti e trenta, il ridimensionamento a livello internazionale, gli esiti infausti della guerra civile spagnola, chiudono inevitabilmente ogni speranza di riprendere, senza rinnovarsi, il ciclo virtuoso di crescita dell’anarchismo del primo novecento dal punto in cui si era interrotto.
Alla dura repressione fascista, stalinista o a quella degli stati democratici si dovrà far risalire certo una parte importante delle cause che hanno determinato questa crisi. A ciò si deve però aggiungere un ulteriore elemento: c’è un’inedita composizione di classe che, manifestatasi su larga scala tra le due guerre mondiali, stravolge in toto memoria e identità delle antiche organizzazioni del movimento operaio.
L’antifascismo, costituito in forza collettiva e convertito in sistema di governo, è ora elemento di ricomposizione tra “politico” e “statale”. Il partigianato, sebbene istituzionalmente “legittimato”, è oggetto di inediti intrecci tra Stati, ideologie e movimenti. Da “il proletariato non ha patria” alla nuova parola d’ordine “la patria del proletariato è l’Unione Sovietica” il passo è breve. Il dato di fatto più rilevante è che il PCI, complice lo sviluppo dei partiti di massa e grazie all’ambivalente strategia togliattiana, raccoglie a sinistra tutta l’eredità del sovversivismo popolare.
E il resto dell’opera di ridimensionamento (vale anche per l’ala più radicale dell’azionismo) viene compiuto con lo scatenarsi della guerra fredda.

Cagli, Allegoria della Tirannide, 1940

Su posizioni “movimentiste”

Negli anni Cinquanta l’anarchismo attraversa un periodo difficile e con forti lacerazioni interne (es. la nascita dei GAAP, Gruppi anarchici d’azione proletaria), quale posizione politica mantenne Umberto?

Umberto si mantiene su posizioni “movimentiste”, aperte al dialogo ma sostanzialmente diffidenti su possibili rinnovamenti troppo radicali nei connotati storici dell’anarchismo.
Ad esempio il congresso FAI di Civitavecchia del 1953 vota risoluzioni su: basi fondamentali dell’anarchismo; lotte operaie; comitato pro-vittime politiche; stampa; antimilitarismo.
In particolare, sul primo punto, si approva una mozione tendente a sottolineare la concezione “rivoluzionaria e educativa insieme” dell’anarchismo, il rifiuto delle teorie individualiste come della lotta di classe, la negazione di ogni revisionismo; ciò nel continuo richiamo alle origini e “allo spirito che animò il congresso di Saint-Imier (1872)”.
È questo l’atto di nascita della “FAI-Movimento”, costruzione di Armando Borghi, aggregazione “aperta” nella quale convivono anime troppo differenti fra di loro. In tema di strategie per la lotta sindacale poi si assiste contemporaneamente alla revisione totale dei deliberati del 1945 per quanto riguarda l’attività interna alle confederazioni.

Uno dei principali compiti che Umberto portò avanti dalla fine della guerra alla sua morte fu il suo impegno per il sostegno e la solidarietà internazionale ai compagni spagnoli, quale ruolo ebbe nella rinascita del movimento libertario spagnolo e nella costituzione dell’IFA?

L’IFA è una creatura di Marzocchi. Già al convegno parigino del 1935 lui proponeva la formazione di un coordinamento propedeutico alla fondazione di una vera e propria Internazionale Anarchica.
Il progetto diventerà realtà grazie alla sua passione e all’impegno incessante profuso nel mantenimento di contatti anche in paesi sotto le dittature fasciste e comuniste. All’età di 77 anni fu arrestato durante una riunione clandestina della FA Iberica in Spagna!!!

Con l’esplosione della contestazione studentesca e giovanile del ’68 Umberto fu uno dei pochi militanti della “vecchia generazione” che cercò un dialogo e un confronto con i leader dei nuovi movimenti (es. Daniel Cohn-Bendit al Congresso Internazionale del 1968 a Carrara).
Quale fu il suo apporto al dibattito sulla stagione dei nuovi movimenti e sulle nuove forme della contestazione e quale il rapporto con quello che all’epoca fu definito “neoanarchismo”?

La sua capacità di dialogo, fino al limite dell’impossibile direi, discende da una qualità personale che gli viene riconosciuta anche nelle carte di polizia: “il soggetto ha un’intelligenza svegliata”... Per i superstiti di quella che era una gloriosa componente del movimento operaio, misurarsi su altre dimensioni deve aver comportato sforzi immani...
Ma ne valeva la pena e per questo si deve dire grazie a Umberto, per averci fatto scuola.


Giorgio Sacchetti (1951) – dottore di ricerca in Storia del movimento sindacale.

Comitati scientifici / redazione: “Rivista Storica dell’Anarchismo” (Pisa); Archivio famiglia Berneri A. Chessa (Biblioteca Panizzi, Comune di Reggio Emilia); Dizionario biografico degli anarchici italiani (MIUR, cofin 2000, coord. G. Berti, edizioni BFS 2003-’04).

Fra gli ultimi libri pubblicati: Congressi e convegni della Federazione Anarchica Italiana. Atti e documenti (1944-1995), a cura di U. Fedeli e G. Sacchetti, 2a ed. CSL “C. Di Sciullo”, 2003; Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del Ministero dell’interno, La Fiaccola, 2002; Ligniti per la Patria. Le relazioni sindacali nelle miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Ediesse, 2002.