rivista anarchica
anno 35 n. 309
giugno 2005


lettere

 

Da giornalista mi schiero...

Carissimi di “A”,
le riflessioni di Carlo Oliva sul papa in ospedale (“A” 307 di aprile, pagina 5-6) intitolate “Quello che aspettano tutti” mi trovano d’accordo sulla critica all’abitudine dei giornalisti televisivi di ambientare in modo spettacolare anche notizie che potrebbero tranquillamente essere lette in studio, ma mi trovano anche in disaccordo su altre e più importanti questioni. Lo dico facendo parte di quella categoria di diavoli incarnati che è quella dei giornalisti.
Oliva però, che dalla categoria si tiene fuori sebbene scriva pure lui su un giornale (“A”, appunto) si è subito dimenticato, come si dice qui all’Inferno, di verificare la notizia. Si chiede, infatti, come mai la stampa ha lavorato all’aperto e al freddo, fuori dal Policlinico Gemelli, che secondo lui sarebbe “indubbiamente provvisto di una sala stampa ben riscaldata”. Una breve verifica, per esempio nel sito Internet del Gemelli, fa scoprire che non è così, che sale stampa “ben riscaldate” al Gemelli non ce ne sono. È la conferma di quello che dice la pratica di noi giornalisti: sale stampa ci sono nelle regioni, talvolta nelle province e nei comuni, qualche volta in questura, dai carabinieri, nei tribunali, ma negli ospedali no. E credo proprio che al Gemelli, visto che di malati non c’era solo il papa, non avrebbero gradito avere decine di giornalisti e operatori (poi centinaia, migliaia) nell’ingresso o a spasso per i reparti. Così, ahimè, tutta l’argomentazione di Oliva sui giornalisti fedifraghi fuori dall’ospedale solo per far bella figura, cade per la falsità della premessa.
Né sono d’accordo su un altro concetto forte di Oliva: “Il diritto alla privacy spetta a tutti: anche al papa”. Non è così. Perché il diritto alla privacy è inversamente proporzionale alla notorietà del personaggio trattato. E il papa, che si ritiene nientemeno che il tramite fra l’uomo e dio, ne ha diritto meno di tutti.
Il concetto di privacy, così com’è stato introdotto in Italia, è basato sulla difesa del singolo cittadino dall’invadenza delle banche dati. Si voleva insomma impedire che il vostro nome finisse in elenchi venduti e comprati senza il vostro consenso da commercianti di “mailing list”. Su questo si è innestato il diritto del singolo a non vedere sfruttata o comunque male utilizzata la propria immagine: celebre il caso del tifoso urlante che chiede e ottiene che la sua immagine non venga più usata come spot per una trasmissione sportiva.
Di questo concetto si sono impadroniti polizie, carabinieri e compagnia per tenere più nascoste possibili le loro indagini (quante volte abbiamo sentito invocare la privacy... di un morto, in modo da non far sapere se e come è arrivato all’obitorio) ma in particolar modo i ricchi e i potenti. Infatti vogliono difendersi dai paparazzi i primi, dai cronisti i secondi. Ma non dovrebbe essere così: se sei famoso, vai in tivù, sui palchi di tutta Italia, reciti, balli o canti e i tuoi amori sono roba da copertina, la tua privacy è ridotta alle mura di casa. Se sei un calciatore lo stesso: la mia gamba rotta non conta nulla, quella di un attaccante sulle cui imprese è basata la performance di una società calcistica magari quotata in borsa è cosa di tutti. Idem per un politico: una contravvenzione a me non è roba da cronaca, una al all’ex-ministro Ferri, quello dei 110 all’ora, sì. Le corna alla moglie da parte di un privato cittadino sono cosa sua, quelle di un politico difensore della monogamia no. Peccato, anzi, che in verità oggi con la scusa della privacy si difenda più il Papa del marocchino arrestato, più Berlusconi della donna violentata o abusata, i figli dei piloti di Formula 1 dei ragazzini dei bassi di Napoli, eccetera. E tanto per fare un esempio se questo criterio si rivelasse vincente oggi non si sarebbe potuto scrivere nulla di Bettino Craxi fino alla sentenza definitiva, non si sarebbe potuto parlare del suicidio di Raul Gardini, non si sarebbe potuto seguire il processo ad Andreotti e così via.
Io – lo dico per schierarmi – trovo ogni censura pericolosa, anche nella trattazione della cronaca. D’accordo, proteggiamo le figure deboli, le vittime, ma occhio, perché non sempre il confine è chiaro. E soprattutto se il papa è stato dato “in pasto alle folle” non mi pare, come vorrebbe Oliva, che sia diventato “da potente a vittima”. La spettacolarizzazione era la sua forza e lo è rimasta. Credo, se mai il suo paradiso lo ha accolto, che da lì se la rida di un ragionamento come quello di Oliva, e sia ben contento di essere stato così tanto seguito e osannato anche in punto di morte.

Cristiano Draghi
(Firenze)

 

...io invece ne sono fuori

Sì, è vero, collaboro abitualmente ad “A” (e anche a Radio Popolare di Milano) e, come se non bastasse, ho in tasca una tessera da pubblicista da quasi quarant’anni, ma mi permetto lo stesso di “chiamarmi fuori” da una categoria professionale con la quale rapporti professionali non ho, soprattutto tenendo conto della seriosità che, almeno a giudicare dalla lettera di Draghi, alligna tra i suoi membri. Quanto al resto, a parte il discorso sulla sala stampa, sul quale faccio pubblica ammenda, ma che non mi sembra, nonostante tutto, così dirimente sulla questione, quelle di Draghi sono opinioni e non posso far altro che ringraziarlo per averle espresse.

Carlo Oliva
(Milano)

 

Una bella, memorabile, giornata piovosa

Mi chiamo Stefano ho 19 anni, da circa 3 anni leggo la vostra RivistA.
Non mi è mai capitato in questo tempo di trovare circoli dalle mie parti dove poter condividere con altri le mie idee. Ma circa due settimane fa, data l’occasione della gita a Barcellona con la mia classe, ne ho approfittato per seguire le tracce, poche ma sufficienti, trovate nel libro di Fulvio Abbate “il ministro anarchico”, per raggiungere l’unico posto della città dove si può ancora vedere sventolare la bandiera rossa e nera. Prendendo così un pomeriggio tutto per me mi recai sotto la pioggia per le vie strette del centro storico fino ad arrivare alla grande piazza antistante il museo d’arte moderna, da cui partivano altre viuzze. In una di queste, in carrer Joaquin Costa, c’è la libreria La Rosa de Foc, un piccolo locale a pian terreno tappezzato di libri, e su alcuni di questi si riconoscevano Malatesta, Bakunin, Durruti e J. Garcia Oliver; al centro seduta a un tavolo una signora all’apparenza taciturna. Non parlo castigliano né il catalano però c’ho provato e così con la scusa del libro, che avevo con me come guida, abbiamo cominciato a parlare, strano ma non impossibile, nelle nostre rispettive lingue.

Insegna davanti ad una sede della Confederacion Nacional del Trabajo (CNT)

È stata una sensazione mai provata prima, era come stare a casa, come se conoscessi quella persona da tempo; e lei sembrava ansiosa di parlare contrariamente a come era apparsa, senza la minima diffidenza.
Mi ha parlato un po’ della storia di quel libro, dello scrittore, e gli occhi le brillavano al ricordo di Garcia Oliver. Quando poi mi disse: “molti compagni come te dall’Italia passano di qui quando vengono in Spagna” mi si è aperto proprio un altro mondo, letto solo nei libri, “companeros” quella parola risuonava nella mia testa, era un sentimento che aveva tutto il profumo della Libertà che mai nei miei viaggi ho provato, che improvvisamente ha reso bella quella giornata piovosa e memorabile la mia visita a Barcellona.

Stefano Pilotto
(Roma)

Saluti alla redazione, con l’augurio di continuare il buon lavoro finora svolto.

 

Attenzione all'integralismo...

Spett. le Rivista Anarchica,

ho avuto occasione di leggere un articolo a firma di Maria Matteo pubblicato sul Vostro ultimo numero (maggio 2005) di commento alla recente morte del pontefice Giovanni Paolo II.
Mi è stato segnalato da un carissimo amico e collega che frequenta spesso il Vostro sito ed è culturalmente ed ideologicamente vicino alle Vostre posizioni.
Sapevo o, meglio, immaginavo ovviamente quali sarebbero stati gli orientamenti espressi ed in genere su quali linee si sarebbe svolta la riflessione su un evento e su un uomo lontano sideralmente dal movimento anarchico.
Tuttavia sono ancora stupito ed amareggiato dalla violenza ideologica gratuita e dal livore contro la religione e le persone di fede (di qualunque fede), ancora vittime a dir Vostro di quella superstizione infantile così dura a morire nonostante i duecento anni di secolarizzazione imperante.
Il tono, lo spirito e la lettera del corsivo mi sono sembrate così poco rispettose dei sentimenti religiosi di molte persone e dei loro simboli e figure di riferimento, certo non condivisibili ma non per questo meritevoli di insulti (irripetibili le parole sulla sofferenza del papa, sul segno di essa nel corpo del Cristo e sulla cattiveria di Karol Wojtyla).
Si potrebbe replicare punto su punto inoltre alla serie di inesattezze e falsità storiche di quanto sostenuto ma non è forse questo l’intento con il quale ho deciso di scriverVi. A mero titolo esemplificativo, non mi risulta che vi sia mai stata alcuna benedizione delle sedie elettriche statunitensi, parimenti non ricordo (e le fonti storiche non temono di essere smentite) alcun popolo inferocito contro Pio IX ed il fantomatico e ridicolo tentativo di buttare la salma nel Tevere avvenne ad opera di un manipolo di giacobini guidati da Felice Cavallotti che poco aveva a che fare con la gente di Roma la quale accorse invece in massa (più di 300.000 persone in una città che allora arrivava forse a 200.000 abitanti) a rendere omaggio alla salma del pontefice. La “fuga a San Lorenzo” (???) altro non fu che l’esecuzione delle ultime volontà di papa Mastai Ferretti che scelse quella chiesa di Roma come sua ultima dimora terrena. La Chiesa non ha mai santificato alcun carnefice di rivoluzionari spagnoli ma al contrario ha portato sugli onori degli altari 231 martiri inermi massacrati dal fuoco dei social-comunisti spagnoli. È vero tuttavia che in quella tragica vicenda e dolorosa pagina vi furono anche dei cattolici che dall’altra parte si macchiarono di orrendi delitti ma non furono certo beatificati: la verità storica e l’onestà intellettuale impongono di saper distinguere. Poche parole infine sulla presunta benedizione dei massacri in Jugoslavia (???) ad opera del papa polacco. In quell’occasione Wojtyla parlò al contrario di “ingerenza umanitaria” che è cosa ben diversa dall’incensare i cannoni e che rappresenta sul piano della politica internazionale la frontiera più avanzata per la difesa dei diritti umani contro la tirannide e la barbarie prevaricante.
Ma, come detto, non è mia intenzione ribattere punto su punto a queste argomentazioni quanto sollevare spunti di riflessione (lo dico senza alcun spirito polemico od apologetico) verso chi si dichiara campione della libertà individuale e libero pensatore razionale.
È veramente esempio di libertà di pensiero il vostro odio innaturale e, mi sia consentito, irridente nei confronti del sentimento religioso dei credenti, ovvero di centinaia di milioni di persone (a contare solo i cattolici)?
Avvertire non fastidio ma addirittura livore nei confronti di chi accetta di stare in coda per ore per salutare la salma di un papa? Non è questo forse lo stesso fanatismo ed integralismo che tanto rimproverate alla Chiesa Cattolica ma di segno rovesciato? La libertà di pensiero che cercate non potrebbe approdare anche ad una visione religiosa dell’esistenza? E se anche voi, in maniera pienamente legittima, la negate, non è segno di apertura mentale e di vera libertà pensare che qualcuno possa avere idee diverse dalle vostre senza per questo essere considerato un oscurantista superstizioso dedito all’auto e all’etero flagellazione nell’esaltazione della sofferenza?
Non vi sembra che paradossalmente abbiate ricreato in senso materialista, razionalista e laicista lo stesso mostro che volevate distruggere, ovvero l’integralismo e l’assolutismo negatore della libertà?
Non condivido niente di ciò che dite e che scrivete ma sono contento che anche voi possiate liberamente e legittimamente dire la vostra. Ve la sentireste di affermare lo stesso nei confronti della stampa cattolica? Buone riflessioni e un saluto a tutti!

Roberto Caria
(via e-mail)

 

...sì, ma contro il clericalismo

Non è nostra intenzione ribattere qui alle critiche e alle argomentazioni specifiche del lettore. Se vorrà, potrà farlo con assoluta competenza l’autrice dello scritto contestato, la nostra collaboratrice Maria Matteo. Pubblichiamo alcune considerazioni di un nostro redattore.

Colgo l’occasione della lettera di Roberto Caria per dire qualcosa di “nostro” sull’argomento: nostro nel senso di mio e di quanti so condividere nella sostanza il mio approccio. Anche su questo tema, infatti, esistono tra gli anarchici opinioni e sensibilità anche molto distanti tra di loro.
Noi non siamo religiosi, nel senso che comunemente si dà al termine: non facciamo parte di alcuna chiesa o gruppo religioso, non crediamo nel Dio delle scritture né siamo appassionati alle questioni religiose in generale. Siamo atei, ma cerchiamo di non fare dell’ateismo una… religione capovolta.
Abbiamo letto “Dio e lo stato” di Bakunin, i tanti opuscoli editi da Franco Leggio (del tipo “Le dieci prove della non-esistenza di dio” e similari), ci siamo abbeverati da giovani alle numerose fonti di derivazione illuministica sulle negatività delle religioni, ecc. Oggi ci interessano ancora, ma ci ispirano meno, molto di meno. Il nostro pensiero si è fatto più aperto, meno dogmatico (anche in senso ateistico). Il fatto è che la scelta religiosa ci appare sempre più una cosa a metà tra il fumoso (e noi, diceva Errico Malatesta proprio in una polemica sull’argomento, di fumo non ne insacchiamo) e il personale.
Più che la polemica anti-religiosa, ci interessa – sempre se portata avanti con equilibrio e con rispetto per la libertà di chiunque di pensarla come vuole – la polemica anti-clericale, la lotta contro lo strapotere clericale. Polemica e lotta che in Italia significano innanzitutto contrasto alle pretese egemoniche e liberticide della Chiesa cattolica.
Qui non è questione di dio, angeli e paradiso. Qui si tratta di difendere, almeno, quel che resta delle vecchie e sane libertà individuali e sociali, contro ogni concezione di Stato etico. Si tratta di ricacciare, per quanto possibile, lo Stato e le sue leggi fuori dalla camera da letto, da tutte le stanze delle nostre abitazioni, dalla nostra vita quotidiana.
Al nostro fianco ritroviamo, sempre meno numerosi, i difensori democratici dello Stato laico, della rigida distinzione tra Stato e Chiesa: liberali, radicali, liberi pensatori, socialisti vecchio stile, ecc.
Stato o non Stato, sentiamo un’irrefrenabile bisogno di libertà, individuale e sociale, e poi la necessità della denuncia e di un’opposizione alla cloroformizzazione della società operata dalla Chiesa cattolica e dal suo gigantesco apparato propagandistico, per niente contrastato, anzi decisamente rafforzato, dall’opera della “sinistra” sia riformista sia radicale – che, a parte alcune nobili ma piccole eccezioni, si adegua alla retorica ufficiale. Vedasi il gigantesco spot pro-Chiesa giocato sui mass-media prima con la morte di Giovanni Paolo II poi con l’elezione del riciclato Ratzinger (passato in pochi giorni da esponente conservatore e reazionario qual è a nuovo idolo buonista da omaggiare e osannare ad ogni piè sospinto).
Per quanto riguarda noi anarchici, stia tranquillo il lettore. Non siamo mossi da violenza ideologica gratuita o da livore contro la religione e le persone di fede. Anche quando la nostra critica è forte e dura, non viene mai meno il rispetto per l’individuo e per la sua libertà. O almeno, cerchiamo di comportarci così anche quando non è facile, in una società che da duemila anni è pesantemente condizionata dalla volontà egemonica e dall’intolleranza quotidiana delle gerarchie ecclesiastiche.

Paolo Finzi

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Albino Trucano (Borgiallo) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Umberto Marzocchi nel 19° anniversario della scomparsa, 500,00; Antonio Pennisi (Acireale) 20,00; a/m Cesare V., Rocco, Manuela e Alessio (Settimo Milanese) 15,00; Antonio D’Errico (Milano) 10,00; Roberto Malnati (Malnate) 20,00; Renzo Adriano Zella (Montagnoso) 10,00; Andrea Cassiol (Cesio Maggiore) 30,00; Roberto Colombo (Boffalora Ticino) 7,00; Medardo Accomando (Manocalzati) 20,00; Marco Cella (Saronno) 10,00; Dario Bernardi (Milano) 10,00; Giampaolo Verdecchia (Firenze) 20,00; Franco Cappellacci (Marotta di Fano) 10,00; Alessandro Natoli (Cogliate) 14,00; Salvatore Piroddi (Arbatax) 10,00; Mario Leo Morabito (carcere di Napoli-Secondigliano) 53,00; Giuseppe Ceola (Malo) 20,00; Lucio Brunetti (Campobasso) 10,00; Juan Manuel Carmine (Bigorio – Svizzera) 5,00; Massimiliano Leombruni (Faloppio) 10.00; Cariddi Di Domenico (Livorno) ricordando Foffo, 70,00; AB (Milano) 9,50.
Totale euro 893,50.

Abbonamenti sostenitori.
Enrico Calandri (Roma) ricordando Franco Serantini, 100,00; Livio Balestra (Nizza – Francia) 100,00; Franco Cappellacci (Marotta di Fano) 100,00; Davide Tornaghi (Milano) 100,00; Fabrizia Golinelli (Carpi) 150,00.
Totale euro 550,00.