rivista anarchica
anno 35 n. 311
ottobre 2005


 

Fucilati 161 giovani eritrei

Il regime eritreo ha compiuto un ennesimo massacro contro il popolo eritreo.
Lo scorso 10 giugno, il regime dittatoriale di Isayas Afeworki, ha dato ordine di eseguire la fucilazione a sangue freddo contro 161 inermi giovani, quando all’interno di uno dei peggiori campi di “punizione” del paese chiamato Wi’à, quest’ultimi hanno osato ribellarsi in massa contro le indescrivibili torture e la segregazione in cui si trovavano a versare da lungo tempo. Questa tremenda ed agghiacciante notizia, pur se giunta all’estero con notevole ritardo, è stata per la prima volta pubblicata sul sito eritreo news9.asmarino.com e riportata nel notiziario di Radio Popolare Network, questa mattina alle ore 7,30.

I fatti:
Da diversi anni il regime eritreo continua a mandare a Wi’à, un’impervia località della Dancalia interdetta a chiunque, tutti coloro che contestano il suo potere politico e militare. Wi’à è conosciuta dalla gioventù eritrea con il nome “Inferno”. In questa località, dove la temperatura supera di gran lunga i 55 gradi all’ombra, nell’agosto 2001 furono lì deportati, per la prima volta, gli studenti universitari di Asmara che si erano ribellati alle direttive del regime di Isayas sulla questione del servizio civile obbligatorio (in realtà militare) e proprio in quella occasione due studenti morirono a causa delle torture inflitte nei loro confronti.
Da diversi mesi in Eritrea sono in corso continue retate contro coloro che oppongono resistenza al regime ed in particolare contro la gioventù eritrea. Il regime, oramai isolato internamente e senza nessun consenso da parte della popolazione, in presa al panico ha di recente intensificato la repressione contro interi settori della società civile ed in particolare contro la gioventù eritrea. Non solo, ma proprio a partire dal 16 luglio scorso, il regime eritreo ha dato via ad un’altra vasta campagna di imprigionamenti in diverse città e distretti del paese e soprattutto ad Adi Quala, Adi Keyih, Mendefera, Tera Emni, Arreza, Mai Mine, Mai Aini e Hazemo nei confronti di genitori accusati di aver fatto “fuggire” i propri figli all’estero. In pochi giorni tra le 700 ed 800 persone risultano finite nelle carceri del regime. Ai genitori è stato loro richiesto, che per essere rilasciati dovranno versare la somma 50 mila Nakfa, a garanzia che faranno tornare i propri figli che non si sono presentati a fare il servizio militare.
Denunciamo questi gravi fatti al mondo intero, ai governi e alle istituzioni democratiche, esprimiamo la nostra ferma condanna nei confronti del regime repressivo eritreo e chiediamo che venga istituita immediatamente una commissione internazionale che indaghi sui soprusi e le continue violazioni dei diritti umani in Eritrea.
Ci appelliamo alla comunità internazionale, al Parlamento dell’Unione Europea e alle organizzazioni per i diritti umani affinché faccio immediatamente concreti passi perché queste continue persecuzione, gli abusi, gli arresti e le fucilazioni di massa non passino sotto il completo silenzio.
Il popolo eritreo, sta gridando ad alta voce al mondo intero per chiedere aiuto, per non essere “dimenticato” e per non continuamente ad essere calpestato da un regime, che non ha mai avuto il suo consenso. Nessuno potrà dire “non lo sapevamo”!!

25 luglio 2005.

Associazione Immigrati Eritrei in Italia
Via Vallazze 34, Milano
assoeritrea@libero.it

Coordinamento Democratici Eritrei in Italia
Viale Lombardia 20, Milano
eridemocrat@yahoo.it

ripreso dal sito: http://news9.asmarino.com/content/view/435/103/

 

 

Il portale della galera

Il giornalista cinese Shi Tao è stato condannato a dieci anni di prigione sulla base di informazioni fornite da Yahoo Hong Kong!
Il verdetto del suo processo – condannato nell’aprile 2005 a dieci anni di prigione per "divulgazione illegale di segreti di Stato all’estero" – indica che la filiale di Hong Kong di Yahoo! ha trasmesso alla polizia cinese informazioni che compromettono il giornalista.
Secondo questo documento, la holding avrebbe rimesso il messaggio, considerato come "segreto di Stato" ed utilizzato, a carico dell’imputato, in occasione del processo, come pure l’indirizzo IP del computer del giornalista.

Liberamente tratto dal sito di “Reporters sans frontières” www.rsf.fr