rivista anarchica
anno 35 n. 313
dicembre 2005 - gennaio 2006


lettere

 

Ma quale presunta debolezza?

Ho letto con estremo interesse i due interventi, prima di Francesco Codello (su A 310) sulla Presunta debolezza del movimento anarchico, poi la risposta di Maria Matteo (su A 311), non a caso intitolata invece Ma quale presunta debolezza?. Già dai differenti due titoli risalta un’abissale differenza d’impostazione: il primo si muove con cautela sulla riflessione di qualcosa che presume, senza (importante!) affermare in modo categorico ciò che in più parti dell’articolo identifica come rischi, il secondo parte sparato, affermando al contrario con certezza che la presunzione proposta è del tutto inesistente.
Beati coloro che hanno certezze! Non tanto perché la certezza sia effettivamente certa, quanto perché si creano corazze che, presumo, possono regalare sicurezza e li fanno sentire forti.
Non mi dilungo oltre su questi aspetti, perché siamo già al centro del problema. Non ho neppure intenzione di entrare addentro i contenuti espressi dai due, perché richiederebbe un’esposizione argomentata troppo lunga, che non è il caso. Ciò che invece m’interessa mettere in evidenza è l’approccio molto diverso, addirittura contrapposto, di Codello da una parte e della Matteo dall’altra.
L’uno si muove su un piano di riflessione problematica, esponendo preoccupazioni e rischi sentiti, sostenendo un modo d’intendere di cui è convinto, ma che non ci propina con saccente sicumera. Ce lo suggerisce invece e ce lo propone come occasione di riflessione e di dibattito, sottolineando soprattutto l’attenzione alla sensibilità di ogni compagno nel proporsi su un piano di libertà e di sperimentazione della stessa, per superare la logica del proselitismo, che a suo modo di vedere attanaglia troppo il movimento anarchico e ne è preoccupato. Nelle sue parole e nelle sue argomentazioni non c’è l’uso della categoria del giudizio, per stabilire, da un alto dell’intelletto presunto e inesistente, chi fa bene da una parte e chi fa male dall’altra.
L’altra si chiude a difesa del movimento di cui si sente pienamente parte. Da parte di chi la legge facilmente offre l’idea di essere rimasta ferita nelle sue convinzioni di appartenenza. Per questo reagisce con veemenza nell’intento di difendere i confini e gli steccati del luogo simbolico (in questo caso il movimento politico anarchico) in cui, secondo me trova, secondo lei c’è, la sicurezza “necessaria” per la realizzazione dell’ideale. Ed attacca, offende (con eleganza intellettuale, sia chiaro, non con rozzezza “burina”) il malcapitato Francesco Codello, che si è permesso di cercare fluidi di pensiero e tensioni di libertà, non contro (attenzione!), ma al di là, del movimento politico ufficiale, di cui sembra comunque sentirsi parte in modo critico e non strettamente militante e a cui propone il suo personale contributo.
In altre parole, mi sembra che la Matteo parli di cose che non c’entrano con ciò che Codello ha tentato di esprimere con onestà ed umiltà. Inoltre, mentre Codello si tiene al di fuori della categoria del giudizio perché non gli interessa, la Matteo giudica pesantemente Codello e, mi vien da dire, con accenti sacerdotali al di là delle sue intenzioni, lo sconfessa pesantemente, non potendolo purtroppo espellere come eretico perché gli anarchici non possono avere ortodossia, almeno ufficialmente.

Andrea Papi
(Forlì)

 

 

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