Avrei voluto recensire Il collare di fuoco di Valerio Evangelisti (Mondadori), ma poi le parole hanno preso una deriva propria e quel libro è diventato un pretesto per parlare d'altro. Ecco quindi, al posto di una recensione, alcuni appunti sparsi su storia e narrazione, sulla storia dei professionisti dell'accademia e quella di uno scrittore di genere, quale appunto si considera Valerio Evangelisti. |
Raccontare storie
Storie entusiasmanti hanno bisogno di storici capaci di innescare delle esplosioni a ripetizione nell'intelligenza del lettore. Ecco perché non mi ha mai entusiasmato la storia raccontata dagli storici di professione. Ho seguito alcuni anni fa le lezioni di uno storico accademico sul movimento operaio americano. Avevo appena letto un classico, Dynamite: the Story of Class Violence in America di Louis Adamic, e mi aspettavo, su un argomento tanto esplosivo, che l'oratore riuscisse a tradurre la carica di radicalità di quelle vicende. Invece niente, miccia bagnata. L'accademico era un perticone ben vestito.
Non parlava di uomini, ma di associazioni di mestiere. Non descriveva fughe, anni di carcere, perquisizioni e sangue per terra ma preferiva tracciare “i percorsi delle tendenze recessive” e lo “sviluppo delle lotte sul piano istituzionale”, tutte cose che non sporcano troppo per terra. Il gergo dei ribelli nordamericani non arrivava alle sue orecchie, e quindi non aveva modo di dare voce a quegli echi dimenticati della storia.
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Tra finzione e documentazione
L'esigenza di unire discorso storico e narrazione, varcando il fossato tra saggistica e fiction, nasce spesso da esigenze di impegno radicale. Un utile stratagemma narrativo è quello di far saltare i ponti tra realtà e finzione. L'esempio latinoamericano della no-ficción può indicare alcuni punti di fuga della narrativa storica.
Questa etichetta viene spesso utilizzata per indicare i reportage romanzati di Rodolfo Walsh, un esempio di commistione tra cronaca e reportage da un lato, e finzione narrativa dall'altro. Osvaldo Bayer, che di Walsh era amico, ha spostato il taglio dell'investigazione di reportage nel passato, saldando l'investigazione storica con la narrazione e creando opere magistrali come il Severino Di Giovanni o La Patagonia rebelde. Bayer è un giornalista e uno sceneggiatore cinematografico, e i suoi libri di storia sono organizzati con un plot stringente e numerosi colpi di scena. Credo che l'opera di Bayer possa indicare delle prospettive interessanti per la narrazione storica. Aggiungerei come casi esemplari l'opera di Bernard Thomas (autore di un libro fondamentale sulla banda Bonnot) e il più recente Bello come una prigione che brucia, di Julius van Daal, in cui il racconto storico prende le tinte radicali della scrittura situazionista.
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Osvaldo Bayer, a destra nella foto |
No al politically correct
Sono scettico quando un scrittore costruisce un personaggio con marche di “positività”, e fa di tutto per proiettare su questo personaggio dei meccanismi narrativi di identificazione. Mi è capitato di leggere dei racconti storici basati su procedimenti identificatori con romantici avventurieri del passato, adamantini nella loro purezza… Il risultato letterario era interessante, ma percepivo il peso di una eccessiva correttezza politica. Non è questa la strada scelta da Evangelisti, che dopo aver aggirato le trappole dell'accademismo riesce anche a non cadere nelle secche dell'agiografia politica. Non c'è niente di agiografico nei suoi personaggi, nessun “santino rivoluzionario”. Niente che ricordi i “medaglioni”, le biografie eroiche dei martiri della rivoluzione, che apparivano sulla stampa sovversiva del passato. L'identificazione con i “buoni” è sempre trattenuta, mentre spesso sono proprio i “cattivi” colori che si fanno – loro malgrado – portatori delle tesi critiche politicamente più radicali (penso in particolare alla figura del presidente Porfirio Díaz ne Il collare di fuoco, che ha qualche tratto eymerichiano per il suo machiavellismo).
Quanto caricare la realtà?
Fino a qualche tempo fa pensavo che fosse necessario caricare la realtà a fini radicali: pensavo che la “verità storica” dovesse essere costruita con una sorta di volontarismo ribelle. Adesso penso che si possa essere realisti e caricaturali allo stesso tempo. La realtà è gia carica di eventi assurdi, pazzeschi, insopportabilmente ingiusti e crudeli. La realtà è già caricaturale, il realismo è già espressionista. Però questa formula si può leggere anche all'incontrario, per cui l'espressionismo può rappresentare la faccia più veritiera della realtà (non lo porto come caso esemplare di questa tendenza, ma ci sono romanzi di fantascienza che si possono leggere come opere di denuncia e di satira politica). Aggiungere elementi di finzione alla narrativa storica permette di offrire un quadro più vivido della realtà: l'ingiustizia si farà più aspra, i potenti più odiosi, i liberatori un po' più meschini, e questo può essere un buon antidoto contro una visione troppo edulcorata dell'esistente.
Reinventare le storie
A volte si sente il bisogno di raccontare una storia con parole nuove. Con il tempo il linguaggio si “ossifica”, e bisogna svecchiare le forme morte della lingua per restituire vitalità a certe storie. Pensiamo a quante storie sono sepolte, oltre che negli archivi, nei libri noiosi. Ho passato un bel po' di tempo a spulciare storie tra le note della pubblicistica erudita locale. Ho trovato troppa minuziosa erudizione da un lato, e troppa correttezza politica dall'altro. Ero attratto da certi personaggi proprio per le loro lacune come santini rivoluzionari. Nelle mie letture non cercavo romantici cavalieri dell'ideale, ma braccianti duri, avvezzi a una vita difficile, abituati a risolvere le loro contese a cazzotti e fucilate. Insomma, gli storici di professione spesso non sono in grado di trovare le parole adatte a descrivere certe vite, quando c'è bisogno di far sentire la polvere e il sudore, le bestemmie e gli zoccoli dei muli…
La storia “di genere”
Torno solo adesso al libro di Evangelisti, da dove volevo partire. Di Evangelisti già mi aveva sorpreso la capacità di coniugare la precisione dell'affresco storico con la tensione narrativa e il colpo di scena. Non dico niente di nuovo: molti lodano Evangelisti per le sue capacità narrative. Ma io vorrei che per un attimo si pensasse alla capacità di Evangelisti di condurre un lavoro di indagine storica. Perché a me Il collare di fuoco sembra proprio questo, un libro di storia. Certo, i perticoni dell'accademia rimarranno inorriditi. Ma come? Un libro di storia con passi truculenti, riferimenti sessuali, descrizioni meticolose di campi di battaglia ricoperti di sangue… Beh, si tengano i loro libri, scritti per vincere una cattedra o un concorso. Io invece ammiro chi della vita fornisce le rappresentazioni più fisiologiche. Del resto, raccontare storie non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. Raccontare è un atto di violenza.
La valigia delle storie
Violenza perché raccontare storie è in parte rubarle, è strapparle al loro contesto. Raccontare storie può servire a soffiare sul fuoco. Può servire a trovare nuovi complici. Può servire a interrogarsi sul presente. Può servire a trovare altre storie ancora. Spesso la gente chiede a chi scrive le storie: “ma dove hai trovato questa storia? In quale archivio posso andare a trovare storie come queste?” In realtà, le storie si trovano spesso per sbaglio. Non so dove Evangelisti abbia trovato le storie che racconta. Ho il sospetto che sia lui stesso un viaggiatore e un lettore instancabile. Viaggiare serve anche a trovare delle storie. Si cerca una cosa, e si finisce per trovare qualcos'altro, una storia inaudita e sorprendente. Per trovare le storie da raccontare, bisogna avere una propria storia da vivere. Allora le storie ci verranno incontro da sole. Dopo ogni viaggio, tornare a casa con una valigia piena zeppa di storie.