La storia di Ana Delso ha come trama la sopravvivenza, il valore e la vita. Si tratta sicuramente della storia della sua propria vita, ma è contemporaneamente la stessa di centinaia e migliaia di altri rivoluzionari e rifugiati che abbandonarono la Spagna franchista negli anni che seguirono la Guerra Civile spagnola. Questa autobiografia è una testimonianza di sopravvivenza sia fisica sia spirituale e, soprattutto, della tenace speranza in un mondo migliore. È anche una storia d'amore, l'amore di Ana per Dioni e, più tardi, per sua figlia, un amore vitale sia per chi lo prova sia per le persone che le sono vicine.
In questo lavoro si racconta come si creò e si fortificò una rete di persone, unite in condizioni difficili, il modo in cui riuscirono non solo a sopravvivere, ma anche ad aiutarsi reciprocamente e a preservare le loro convinzioni. Non ci viene raccontata la vita di una grande leader, ma quella di una donna come tante altre in cui impariamo a riconoscere, lungo le pagine del suo racconto, una persona “ordinaria che esce dall'ordinario”. Così si descrive Ana, con l'abnegazione che la caratterizza: “Non sono che una donna come tante nell'immensa legione di persone anonime che lottarono, soffrirono, morirono nelle carceri di Franco e che parteciparono a questa rivoluzione che fu un vivo esempio di lotta contro il fascismo, contro la religione e contro tutte le forme di oppressione.”
Non si possono leggere le memorie di Ana senza essere impressionati dalla forza delle sue idee, dal suo impegno (e da quello degli altri compagni) a vivere e a continuare la lotta che permetterà di concretizzare la loro visione anarco-sindacalista di una società collettivista più egualitaria fino a che le forze della controrivoluzione stalinista e della reazione nazifascista non riusciranno a prevalere.
Neve, grandine e aviazione franchista
L'isolamento della Repubblica e degli uomini e delle donne che avevano combattuto il fascismo spagnolo si sarebbe prolungato ancora per molti anni dopo la fine della guerra. Questo isolamento occupa un grande posto nell'opera di Ana. Mentre le truppe franchiste nelle prime settimane del 1939 si avvicinavano a Barcellona, migliaia di spagnoli si dirigevano verso il nord e verso la frontiera francese. Forse non si aspettavano di essere accolti come eroi ma per lo meno speravano di trovare accoglienza sotto la protezione di un governo del fronte popolare che a sua volta si stava scontrando con i fascisti francesi. Come spiega Ana con parole molto sofferte, l'accoglienza che venne riservata loro fu in realtà molto diversa. Di contro voglia, i francesi aprirono le frontiere a queste migliaia di rifugiati arrivati fin lì a piedi o su dei carri da Barcellona e dalla periferia; persone che, durante la loro fuga, avevano dovuto affrontare la neve, la grandine e gli attacchi improvvisi dell'aviazione franchista. I loro problemi non finirono affatto dall'altro versante della frontiera. Una volta arrivati in Francia, la maggior parte di loro si vide immediatamente internata in campi situati lungo la costa mediterranea, dove, con un minimo di coperte e con scarse razioni di acqua e di alimentari, si videro obbligati ad affrontare sotto le tende i rigori dell'inverno e la calura dell'estate.
Quando la Francia entrò nella II Guerra Mondiale, si iniziò a tirar fuori gli spagnoli da questi campi per integrarli nelle squadre di lavoro sotto controllo militare, per rimpiazzare nelle miniere, nelle fabbriche e, in periodo di raccolto, nelle fattorie i lavoratori francesi. Ana e i suoi compagni vennero così mobilitati verso la fine del 1939 ed è la sua esperienza in una squadra di lavoro che ci viene raccontata in modo così appassionante lungo le pagine del suo libro.
Durante l'occupazione tedesca della Francia un gran numero di rifugiati spagnoli visse il timore costante di essere rimpatriato o espulso. Effettivamente furono molti i rifugiati spagnoli che caddero nelle mani della Gestapo e vennero mandati nei campi di concentramento tedeschi. Per Ana il futuro era ancora più incerto, dato che aveva abbandonato senza autorizzazione il luogo a cui era stata assegnata e quindi non aveva nessun documento di identità. Ci racconta le numerose occasioni in cui riuscì a evitare di venire arrestata grazie all'aiuto dei compagni, sia che fossero rifugiati spagnoli o francesi, la maggior parte delle volte sconosciuti, che le offrivano un giaciglio e del cibo nonostante i pericoli che questo comportava. Ci narra anche con discrezione e la modestia che la caratterizzano, come divenne staffetta partigiana della Resistenza francese, mettendo a rischio la vita su e giù per le montagne che percorreva con una bicicletta presa in prestito mentre sua figlia la aspettava a casa.
Ma non bisogna dimenticare che il valore e il senso di straordinario impegno di Ana non appartenevano solo a lei, anzi. Innumerevoli gruppi di rifugiati spagnoli, vedendo nella lotta contro i nazisti un proseguimento della loro lotta contro Franco si unirono alla Resistenza francese. Sicuramente molti di loro speravano che, una volta terminata la guerra, la Francia li avrebbe aiutati a liberare la Spagna dall'autorità franchista. L'abbandono definitivo dei rivoluzionari spagnoli da parte delle democrazie occidentali si può forse trovare nel rifiuto a rispondere a questa aspettativa.
Ma nemmeno di fronte a questa ultima delusione, né Ana né la maggior parte dei suoi compagni anarco-sindacalisti cedettero alla tentazione dello sconforto. Dopo che Ana e suo marito si stabilirono a Montreal continuarono la loro lotta per una società migliore all'interno del movimento operaio. Ana non ha perso nulla del suo viscerale impegno per la causa dell'uguaglianza delle donne, anche se la sua ostinata militanza le è costata l'emarginazione da parte di alcuni dei suoi compagni sindacalisti.
Capacità di continuare a lottare
Quello che mi è sembrato più appassionante nella lettura di questo lavoro o nei miei rapporti con gli uomini e le donne che presero parte alla Rivoluzione e vissero la repressione è la loro capacità di conservare la fede e di continuare a lottare nonostante questa repressione, nonostante il tradimento di quelli su cui pensavano poter fare affidamento. Lo stesso fatto di aver redatto queste memorie offre una testimonianza della convinzione di Ana del fatto che la storia non deve essere relegata nell'oblio e che per comprendere la lotta di oggi, è necessario conoscere quelle di ieri; da qui l'importanza di condividere i suoi ricordi con chi viene dopo di noi.
Per questo è importante che questo documento non vada semplicemente ad aggiungersi agli altri negli archivi, testimoni muti del passato, ma che venga letto come una dichiarazione di speranza nel futuro, una speranza che Ana sottolinea chiaramente dedicando l'opera a sua nipote. Niente potrebbe esortare meglio alla lettura che le parole che un giorno mi scrisse Ana:
Si parlerà ancora per molto di esperienze come quelle che abbiamo vissuto. Eppure la cosa più importante non è aver fatto questa rivoluzione, ma averla continuata in altri luoghi, ognuno e ognuna dal suo proprio luogo, o in molti luoghi allo stesso tempo, che è poi quello che ho fatto io, e senza nemmeno troppo clamore.