rivista anarchica
anno 36 n. 320
ottobre 2006



Un grande utopista contemporaneo
di Silvia Ferbri

 

La mattina dello scorso 30 luglio, nella sua casa a Burlington nel Vermont, è morto per una malattia cardiaca Murray Bookchin, uno dei pionieri del movimento ecologico, tra i fondatori dell’Istituto per l’Ecologia Sociale del Vermont, una delle voci più ascoltate della controcultura americana e della New Left, pensatore anarchico e utopico, forse l’ultimo grande utopista dei nostri giorni. Ma per l’originalità, la vastità e la libertà del suo pensiero, una qualsiasi definizione o collocazione appare limitata o fuorviante.
Recentemente si è sentito parlare ben poco di lui e delle sue idee, così come si è letto, e quindi scritto, ancora meno. Eppure l’ampiezza del suo corpus teorico, la lucidità e la coerenza della sua analisi, la forza delle sue proposte non solo avrebbero meritato e meritano ben altra considerazione, ma esprimono a tutt’oggi un’attualità, una tensione verso il futuro che andrebbero tutt’altro che trascurate o considerate fuori moda. Soprattutto da chi si definisce anarchico o libertario. La sua è una proposta di radicale alternativa sociale, economica, politica, volta alla costruzione di una nuova società autenticamente libertaria. La sua analisi parte da lontano, dalle radici della gerarchia e del dominio che ancora ci portiamo dentro, ed esplora i percorsi dell’umanità, spaziando dall’antropologia alla storia delle religioni, dalla filosofia al pensiero politico, dalla biologia all’economia, attraverso il retaggio del dominio e il retaggio della libertà, gli errori e gli inganni delle ideologie, la periodica comparsa di utopisti che hanno cercato di svegliare le coscienze e di opporsi al corso delle cose, per arrivare ai nostri giorni e lanciare il suo grido di allarme, per mostrarci la necessità e l’urgenza di cambiare rotta. Radicalmente.

La sua è una proposta radicale, ma non irrealizzabile. Le soluzioni parziali non sono più sufficienti, ha sempre insistito Bookchin, come del resto mai sono state; ma affinché una soluzione non sia parziale, non agisca sugli effetti anziché sulle cause, non continui a perpetuare gli stessi errori in un modo e in un contesto solo apparentemente e ingannevolmente diversi, occorre una visione completa e non frammentata, al di là delle costrizioni ideologiche e politiche, una visione non miope della storia, dei rapporti umani, del rapporto tra l’uomo e la natura. Occorre la conoscenza approfondita della nostra storia, di che cosa sono realmente e di quando e come si sono formati dominio e gerarchia, e la comprensione e la convinzione che è da lì che dobbiamo partire, dalla dissoluzione di ogni forma di dominio, di coercizione e subordinazione, per poter costruire una società autenticamente libertaria. Nessuno di noi è del tutto immune da quella mentalità gerarchica che si è inserita profondamente in ogni aspetto della vita sociale e personale, nella nostra sensibilità più profonda, al punto che ci è quasi impossibile vederla; e quando l’abbiamo riconosciuta nelle istituzioni sociali, politiche, economiche, non siamo stati in grado di combatterla perché la nostra lotta era incompleta e inconsapevole, perché la nostra visione era limitata, perché la direzione era distorta. Periodicamente qualcuno si è avvicinato molto. Gli esempi non mancano. E questo significa che non tutto è perduto (…).

Contro la gerarchia
e l’oppressione

In cosa consiste la sua teoria sull’ecologia sociale, quali sono le sue proposte per la realizzazione di una società ecologica e autenticamente libertaria? Difficile riassumere il suo pensiero in così poco spazio, ma quello che ci preme ricordare è l’importanza della sua analisi e delle sue riflessioni sull’emergere della gerarchia e del dominio, le cause prime di tutte le forme di oppressione. Il dominio dell’uomo sull’uomo nasce prima del dominio dell’uomo sulla natura, che ne è la conseguenza. La gerarchia e l’oppressione nascono prima delle classi e dello stato, e non sono inevitabilmente connesse allo sfruttamento economico o alla dominazione politica. Le strategie di comando e obbedienza (dell’uomo sulla donna, dell’anziano sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dei capi di stato e dei burocrati sui loro sudditi), con il passare del tempo si sono sempre più professionalizzate e organizzate, fino all’affermarsi degli stati nazionali, del capitalismo, alla definitiva scomparsa degli antichi legami comunitari, della politica attiva e della cittadinanza, per arrivare all’inganno delle democrazie rappresentative, all’alienazione e all’isolamento degli attuali agglomerati urbani, al disastro ambientale ed ecologico.

Qualunque cambiamento, secondo il suo pensiero, passa dall’abolizione di ogni forma di dominio. Ma per poter ottenere ciò, occorre che ciascuno di noi esplori e comprenda la storia del dominio, come si è inserito in ogni aspetto della vita umana, come si è subdolamente insinuato nelle ideologie, nei movimenti, nei partiti politici, così come è fondamentale non dimenticare tutti coloro che, nei vari tempi, hanno cercato di opporsi e di risvegliare le coscienze; tutti coloro che hanno provato ad esercitare la libertà, senza farci sviare dal loro fallimento. Ciò che caso mai deve sorprenderci, e incoraggiarci, è il periodico riproporsi di questi coraggiosi tentativi: la conclusione di Bookchin è che dentro gli esseri umani esiste concretamente la possibilità di vivere una vita autenticamente libera.
Le cose sono andate in questo modo, ma potevano andare altrimenti, ciò che esiste attualmente non è sempre esistito e una svolta è sempre e ancora possibile. Non per tornare indietro, ma per ripartire da oggi con la consapevolezza che ancora ci manca.

Lavorare
su noi stessi

Gli stati, massima espressione e professionalizzazione del potere, dell’oppressione, del monopolio della violenza e dell’espropriazione degli individui dei loro valori, delle loro aspirazioni, del loro sentire, dei loro legami comunitari, del loro diritto a partecipare in prima persona alle scelte che riguardano la loro vita e l’ambiente che li circonda, sono un fatto relativamente recente nella storia. C’è sempre stata una resistenza, a volte molto forte, al loro imporsi. E ancora esiste nel più profondo del nostro essere. Non abbiamo perso definitivamente la capacità di prendere in mano le nostre vite, di autogestire i diversi aspetti del vivere comune, nel dialogo, nel rispetto e nell’accrescimento reciproco. Ci sono esempi molto recenti e significativi di esperienze in questo senso, basti pensare al comunismo libertario e al sindacalismo anarchico durante la guerra di Spagna. L’invito di Bookchin è a proseguire su questa strada, partendo dalla situazione attuale, continuando a sperimentare in prima persona la libertà, facendo tesoro delle esperienze passate e continuando a ricordare, a studiare, a dialogare e confrontarci.

Lavorando su noi stessi e insieme agli altri, per eliminare via via ogni residuo di sensibilità gerarchica e autoritaria in tutti gli aspetti delle nostre vite. Senza farci ingannare da chi maschera abilmente il suo desiderio di potere (o di asservimento) dietro un falso tentativo di cambiare le cose restando dentro il sistema, le istituzioni e le logiche che invece vanno definitivamente aboliti. Bookchin ci parla di democrazia e azione diretta (che non devono essere solo strategie o tattiche limitate a una situazione contingente, ma una vera sensibilità, un modo di vivere), di municipalismo libertario, di economia municipale, di confederalismo. Di disintegrazione dello stato e di ogni forma di potere e di controllo, dal basso, senza aspettare illusori crolli del sistema capitalista o senza affidare questo compito a una qualche classe economica. E dei veri significati delle parole «ragione», «giustizia», «libertà», «uguaglianza», della distinzione tra felicità (soddisfacimento dei bisogni) e piacere (realizzazione dei desideri). Dell’importanza della soggettività e del valore delle differenze, per realizzare un’autentica «unità nella diversità».
Il suo pensiero ci rimanda ai fondamenti dell’eco-anarchismo di Kropotkin e ai grandi ideali illuministici di ragione, libertà, forza emancipatrice dell’istruzione di Malatesta e Berneri.
Proviamo a rileggerlo, a riflettere e confrontarci su quanto ha detto e scritto. E non solo per commemorarne la scomparsa.

Silvia Ferbri

Oltre ogni dogmatismo

Sul n. 1391 (18 agosto 2006) de “La nonviolenza è in cammino, foglio (telematico) quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza”, è apparso questo ricordo di Murray Bookchin.

Molte cose abbiamo imparato molti anni fa da Murray Bookchin, deceduto sul finire dello scorso mese. E soprattutto che era giunta l’ora di un’apertura oltre ogni dogmatismo, di integrare nuove e più complesse riflessioni, di esplorare nuove vie di ricerca e d’azione per un’umanità di persone libere ed eguali.
La sua proposta libertaria che non elude il nodo delle istituzioni della civile convivenza, la sua tematizzazione dell’ecologia sociale, la sua costante ricerca e azione contro ogni autoritarismo ed ogni feticismo ed ogni alienazione, restano un lascito tuttora fecondo: e rispetto alle banalità e fin trivialità di tanto dibattito attuale, le cose da lui scritte decine di anni or sono (come del resto anche quelle più recenti) mantengono la loro fragranza e la loro luminosità, come un pane ancora fresco, come una stella sempre lucente.
E in questa travagliata navigazione, e in questo faticoso operare, lo sa il cielo quanto ne abbiamo bisogno.

Peppe Sini

“La nonviolenza è in cammino”
strada S. Barbara 9/E - 01100 Viterbo
tel. 0761 35 35 32
email: nbawac@tin.it