« Una volta, un mio amico comunista mi chiese come mi era venuto in mente di diventare anarchico… proprio così, come mi era venuto in mente? Io non ci pensai su molto, e di getto risposi che anarchici si nasce, non si diventa. Era una cosa che avevo più o meno sempre saputo, ma che mi venne confermata in un lontanissimo pomeriggio estivo di 25 anni fa. Allora ero solo un ragazzo di sedici anni felice di riempirsi la bocca dicendo “io sono anarchico!”, né una parola di più né una di meno, “Anarchico”, e mi sembrava potesse bastare.
Quel giorno caldissimo di venticinque anni fa incontrai Lionello.
Lionello era un vecchio anarchico di una cinquantina d'anni più vecchio di me, ai suoi tempi cacciato da tutte le scuole del Regno, fuggito in Francia e ingabbiato anche lì. La sua era stata tutta una vita di fughe, ritorni e carcere che non avevano spento il suo sorriso e la sua voglia di incazzarsi. Lionello era sempre incazzato! Ora che ci penso, era un uomo minuto, magrissimo e piccolo, ma a me sembrava un gigante, una quercia di settant'anni che nessuno avrebbe mai piegato. All'epoca Lionello era un “dirigente” di una piccola squadra di calcio per la quale giocavo. Lionello un dirigente, sembrava un paradosso ma l'amore che aveva per lo sport e per i giovani lo avrebbe convinto ad assumere qualsiasi carica.
Quel giorno lontanissimo e caldissimo di 25 anni fa, al termine di un allenamento, mi avvicinò: “Marco – mi disse – vorrei parlarti.”
Io lo guardai, forse anche intimorito, sicuramente perplesso, cosa voleva da me quell'uomo discreto, che assisteva alle partite da solo in un angolo della tribuna? Quell'uomo che non ci aveva mai fatto un discorso, quell'uomo, però, che ispirava così tanto rispetto. Lo guardai, come se lo vedessi per la prima volta, aveva una camicia bianca a righe e un paio di pantaloni di lino, e indossava una cravatta… era sempre elegantissimo, Lionello. I pochi capelli bianchi tirati indietro, una sigaretta accesa tra le labbra – “ne ho fumate 60 al giorno per sessant'anni e sono ancora qui!” – e una rivista tra le mani. Mi sorpresi persino del fatto che conoscesse il mio nome.
“Mi dica…” Dissi.
“So che vai dicendo in giro di essere anarchico!”
Lo guardai sempre più stupito, quell'uomo sapeva di me molto più di quanto immaginassi, non sapevo cosa rispondere.
“Non ti basta saper giocare bene a pallone, pure l'anarchico vuoi fare?”
E il suo volto spigoloso, le sue labbra sottili si aprirono in un sorriso nuovo.
Capii che era dalla mia parte, capii che potevo parlare.
“Cosa sai dell'anarchia?”
Incalzò.
“Veramente – dissi – non molto… non so… so che non sopporto che mi si impongano le cose dall'alto, so che anche con i miei genitori vorrei discutere i loro consigli prima di applicarli, so che la scuola così come è fatta ci fa passare la voglia di studiare, e io credo che studiare sia importante… non so… so che vorrei che gli uomini fossero tutti uguali, ma diversi… uguali nei diritti, voglio dire, ma non uguali tra loro… non come in Unione Sovietica, con qualcuno che ti dice come devi vestire e cosa devi fare… non so di più… ma credo che questo mio modo di pensare sia vicino a un pensiero anarchico…”
Temevo di aver fatto una figura di merda, ma lui non smise di sorridere, mi guardò con i suoi occhi profondi e mi disse: “Beh, sai tutto quello che devi sapere, non c'è molto di più… ora puoi leggere tutto quello che vuoi, ma se non fossi nato anarchico tutto sarebbe stato inutile. L'anarchia è una Fede, una Fede laica, qualcosa che probabilmente non vedrai mai ma per la quale non smetterai mai di lottare, nella quale non smetterai mai di credere. Solo nascendo anarchici lo si può rimanere per tutta la vita…”
Non ho più dimenticato le sue parole.
“Comunque – aggiunse – tieni questa rivista, sapere qualcosa sui nostri padri non ti farà male.”
Era una vecchia rivista di Storia, c'erano Bakunin, Proudhon, Kropotkin… non ne avevo mai sentito parlare.
Quel giorno Lionello mi regalò delle parole in più per parlare di anarchia, ma, aveva ragione lui, quanto di più importante c'era da sapere era dentro di me, era nato in me e forse, mi accorsi molti anni più tardi, mi era stato trasmesso da mio padre. Un uomo che mai si definirebbe anarchico, ma dal cui stile di vita ho appreso molte cose sull'anarchia che mille libri non mi avrebbero insegnato. Mio padre faceva il commerciante e amava la pittura. Non la grande arte, di cui non sapeva molto, ma la pittura che veniva fuori dagli scantinati della scuola romana e soprattutto amava i pittori, il loro modo di vivere, il disordine dei loro studi che ho attraversato durante l'infanzia. Questi pittori venivano in negozio e prendevano quello di cui avevano bisogno, una lavatrice, un frigorifero… mio padre andava da loro e prendeva un quadro. Non li ho mai sentiti parlare di denaro, né di quanto costasse la lavatrice né di quanto valesse il quadro. Un giorno chiesi a mio padre se quel quadro valesse la lavatrice e il frigo che aveva preso in negozio un suo amico pittore, lui mi disse che quel quadro era molto bello, e che nessun frigo e nessuna lavatrice potevano valere la bellezza di un quadro.
Mio padre non è mai diventato ricco, ma ha una casa piena di bellissimi quadri.
Non mi serviva di sapere altro.
Anche in questo Lionello aveva ragione, l'Anarchia, diceva, è un moto dell'anima, un modo di vivere e di guardare gli altri, l'Anarchia è dentro le persone prima che nei libri.
Frequentai Lionello per una quindicina d'anni, fino alla sua morte, per lo più lo stavo ad ascoltare, ascoltavo i suoi racconti, le sue lotte, i suoi rimproveri quando mi vedeva vestire come un pezzente: “È così che ci vogliono, mi diceva, non devi vestirti male per esprimere la tua ostilità al sistema, è così che loro ti vogliono… me, quando mi arrestavano, mi trovavano sempre in giacca e cravatta, anche se avevo i soldi per quel solo vestito rivoltato!”
Un giorno, Lionello aveva già un'ottantina d'anni, mi telefonò e mi disse di andare a casa sua con il furgone che usavo per lavorare: “È urgente”, mi disse.
Io mi precipitai a casa sua con mio padre.
“Vogliono venirmi a pignorare i mobili perché non ho più soldi per pagare le loro tasse…”
In un giorno, io e mio padre gli svuotammo casa, lasciandogli appena la cucina a gas, un letto e una sedia a dondolo.
Quando un paio di giorni dopo arrivò l'ufficiale giudiziario accompagnato da un paio di gendarmi, in casa trovarono solo un vecchio con le ossa ricoperte di pelle macchiata. Sono certo, però, che gli occhi vispi di Lionello non si abbassarono mai, mentre ancora oggi mi chiedo dove avessero il coraggio di guardare gli occhi asserviti dell'ufficiale giudiziario e dei gendarmi?
Il giorno dopo riempimmo di nuovo la casa di Lionello di mobili e ridemmo insieme di quei tre.
“Avresti dovuto vederli – mi disse Lionello – una testa di cazzo con i suoi due coglioni di scorta!”
Per quanto mi riguarda, forse questo è stato il gesto più significativo per la causa anarchica, mi rendo conto che non è molto.
Per il resto, cerco di parlarne.
Poco prima di morire, Lionello mi disse di non nascondere mai le mie idee, di parlarne ovunque, perché l'anarchia è una Fede da diffondere, perché sempre più uomini e donne possano scoprirsi anarchici, perché sempre più ne possano nascere.
L'anarchia realizzata è dentro di noi, è un moto dell'anima, l'anarchia sociale è lontana, oltre la linea dell'orizzonte.
Oltre quella linea spunterà un'Umanità Nova. »