rivista anarchica
anno 36 n. 322
dicembre 2006 - gennaio 2007


 

Uno scrittore e le sue
stagioni

Abbiamo incontrato Mario Rigoni Stern a Mantova, in occasione del Festival della Letteratura.
Presentandolo a Bosco Fontana, nel cuore della riserva naturale, lo scrittore Ernesto Franco ha detto che “Mario non insegna, ma mostra le cose”. Come altri grandi della letteratura (ha citato Conrad e la sua “grammatica del mare”) “libro dopo libro ha costruito un universo”. E l’universo di Rigoni Stern è “l’Altopiano e il bosco, intrecciati ai ricordi della guerra, alla memoria dei compagni perduti”.


Inverno
Osservando alcune piume raccolte di pernice bianca, Mario “si interrogava sull’inverno, chiedendosi se sarebbe stato un inverno precoce”. Altri segni sembrano arrivare “dalle cince, dallo scricciolo, dai funghi…”. Il “sergente della neve” sta scrivendo un libro sulle stagioni e ha iniziato con alcune considerazioni invernali, perché “l’inverno è il momento della sofferenza, ma anche della riflessione …”. Gli riporta alla mente “il freddo dell’infanzia, il freddo della guerra…”, ma anche il ricordo felice delle “sciate nei boschi”. L’inverno poi “è fatto per leggere, nonostante l’invadente televisione”. Purtroppo “non ci sono più le nonne che raccontano storie vere, vissute” mentre la televisione “racconta storie banali, forse riflesso di vite altrettanto banali”. Al tempo della sua infanzia, ricorda, “la fantasia navigava”.
Si rammarica che “con gli inverni di una volta abbiamo perso tanto”, forse anche per colpa della tecnologia “dell’aria condizionata e dei termosifoni”. Pensate “a un camino e a un libro, a quando la gente attorno al fuoco leggeva e parlava”. Certo oggi è aumentato il benessere “la casa è ben riscaldata, ma senza la compagnia del fuoco”. Rievoca la guerra di Albania quando “riuscivamo finalmente ad accendere un fuoco” e un soldato emiliano davanti alla fiamma “recitava a memoria l’Orlando Furioso, pur essendo analfabeta”.
Nei suoi ricordi di letture in trincea c’è anche Dante Alighieri e la Divina Commedia “di cui tenevo nello zaino una vecchia edizione”. Insomma “l’inverno fa meditare, lascia ricordi”. Sarebbe bello poter “tornare indietro, riconquistare l’inverno, tornare a vedere le stelle nelle limpide notte invernali”.

Primavera
L’immagine è quella di “un ufficiale a cavallo che squadrava un gruppo di prigionieri” (tra cui lo scrittore) custoditi dalle SS ai confini tra Polonia e Lituania. Mentre l’ufficiale passava altezzoso, Mario si trovava alla sommità di un palo e aveva osservato le prime gemme. “Io mi ero accorto della primavera in arrivo – sottolinea – le SS no”. Quindi “noi, i prigionieri, eravamo più ricchi di loro”. E ricorda anche di quando, bambino dell’Altopiano “gli ultimi tre giorni di febbraio camminavamo scalzi sui prati, portando le campane delle mucche e cantando per sciogliere marzo”.
Nei boschi a fine febbraio “si vedono i primi fiori, si percepisce l’odore della primavera; noi diciamo che la terra va in amore”.
Anche tornando a casa dalla Russia “ad un certo punto abbiamo calpestato terra, non più neve”. Era il disgelo di quel tremendo inverno 1941-42 che ha rappresentato “la prima vera sconfitta dei nazifascisti”. All’epoca venne considerato l’inverno più freddo della storia, “quasi un miracolo del buon Dio perché aveva fermato i carri armati.”

Estate
L’estate è stagione di vacanze, di escursioni, di pic-nic, ma “anche di immondizie abbandonate nei boschi”. Ricorda di aver letto una targa in un rifugio del Tirolo: ”L’uomo civile non lascia tracce”. A causa di sacchetti, bottiglie, avanzi “il bosco soffre”. I rimasugli di cibo provocano la proliferazione delle mosche che vi depongono le uova. Poi le larve si insediano nel naso dei caprioli e “noi sentiamo nei boschi il tossire di questi animali che cercano di liberarsi, di espellerle”. Alla fine vengono ritrovati morti “con i polmoni e la trachea pieni di larve”. Il bosco, insiste “è delicato, composto da suolo e sottosuolo, da arbusti e anche dal cielo” perché “tutto è collegato”. Dove l’uomo rispetta l’ambiente “anche gli animali vivono e possono convivere con noi”. Certo “andare nel bosco con il telefonino e pensare di poter ascoltare il gallo cedrone è assurdo”.

Autunno
Se la primavera è dei giovani “l’autunno è stagione dei vecchi”. Invece “l’inverno è dei romantici, mentre l’estate è dei turisti”, la stagione peggiore, sembra di intuire.
L’autunno è la stagione “dei ricordi e della malinconia” anche se “cadute le foglie, gli alberi hanno già preparato le gemme”. È anche il momento per osservare il movimento degli astri. Recentemente ha notato che il sole tramontava in un punto leggermente diverso, dietro un crinale e questo “ha portato mezzora di luce in meno”. E conclude con un augurio affinché “anche voi possiate avere come me una bella stagione autunnale, in buona salute”

Gianni Sartori

 

Dal convento
alle milizie

La suora anarchica [Antonio Rabinad, La suora anarchica, (traduzione di Luca Rossomando), Edizioni Spartaco, 2006, 14,00 euro, pp. 211] è la traduzione italiana del romanzo di Antonio Rabinad pubblicato in Spagna nel 1981 col titolo di La monja libertaria e ristampato nel 1996 dopo il successo della trasposizione cinematografica, una pellicola intitolata Libertarias. Il libro racconta le vicende di Juana, una giovane suora di clausura a cui la rivoluzione ha tolto il convento. Siamo nel luglio 1936, e la risposta popolare al pronunciamiento fascista sfonda le porte di chiese e caserme. Suor Juana, in fuga dall’orto sacro, si rifugia casualmente nel più profano dei recinti: un bordello. Breve rifugio, perché un gruppo di donne anarchiche, appartenenti all’organizzazione Mujeres Libres, farà presto irruzione nella casa: il bordello è chiuso e le ragazze si ritrovano per strade drappeggiate di bandiere rosse e nere e chiese in fiamme. Così Juana diventerà una miliziana anarchica, in un crescendo di eventi drammatici che mescolano iconoclastia e millenarismo.

Il libro di Rabinad conferma la vitalità di un genere, quello che potremmo chiamare “l’oggetto narrativo storico”. Mescolando realtà e finzione, elaborando personaggi plausibili o narrativizzando la biografia di personaggi realmente esistiti (come Jésus Arnal, parroco di un paesino della provincia di Huesca, che si salvò dalle rappresaglie anticlericali grazie a un miliziano della CNT e entrò a far parte della colonna Durruti come scrivano, o come Concha Liaño, l’anarchica che ebbe un ruolo d’impulso nell’attività di Mujeres Libres), Rabinad riesce a rivitalizzare storie altrimenti destinate all’oblio.
L’operazione è stimolante. Tra la storia e le storie c’è una frattura, un punto di discontinuità. Rabinad anima questa discontinuità con una suora anarchica e miliziane prostitute; con un rapporto surrealista di un ufficiale sanitario, un articolo di un giornalista (Mazinger) che sembra copiato da quelle di un altro reporter (Van Passen) e una minacciosa lettera in appendice d’un prete pentito ma non troppo. Storia e finzione saltano continuamente tra l’aneddoto e la realtà, e il lettore le insegue, dipanando i fili del racconto, dentro e oltre lo specchio della narrazione.

Alberto Prunetti