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Il sogno di Giovanna. Il corteo: Tanja Horstmann, Angela Pezzi,
Delia Trice, Stefano Grandi, Maria Regosa (foto di Stefano Tedioli) |
Come riproporre il teatro di Brecht oggi? Un’impresa di cui non avvertiamo la portata finché non ce n’è offerto un esempio. E l’esempio ci è dato dalla Santa Giovanna dei Macelli realizzata dal Teatro Due Mondi di Faenza, per la regia di Alberto Grilli. Uno spettacolo controcorrente, che evita di compiacere le attese del pubblico, anche conquistandolo ed emozionandolo con la bellezza indiscutibile di una costruzione scenica perfetta e con la bravura di un gruppo di attori eccellenti singolarmente e straordinari nell’orchestrazione corale delle partiture fisiche e vocali.
Uno spettacolo di cui non si dimenticheranno alcune scene in particolare: l’avanzata degli operai delle fabbriche di carne in scatola, al canto de L’Inno dei pezzenti, stilizzati nell’essenzialità dei costumi (guanti e grembiule di lucidissima plastica rossa) e fissati in tableaux vivant che scandiscono coreografie di movimenti dal forte sapore espressionista; il sogno di Giovanna Dark, che già sente vacillare il suo tentativo di mediare fra gli operai senza lavoro e il ricco proprietario delle fabbriche Mauler, e si vede alla testa di un corteo di scioperanti, che trascina dietro di sé insieme a drappi-bandiera che si srotolano lunghissimi avvolgendo la scena di uno schermo bianco velato, mentre il corteo procede al canto di Figli dell’officina; la nevicata che avvolge l’ultima avanzata di Giovanna nel gelo, fra velari illuminati di fiocchi di luce. E non si dimenticheranno le pitture a tinte contrastanti dei personaggi, tratteggiati fra linee comico-grottesche e sfumature drammatiche, tutti fortemente simbolici delle dinamiche sociali che sono chiamati a rappresentare, come voleva Brecht, eppure capaci di toccare, a tratti, la profondità e la grandezza delle figure tragiche greche o dei tiranni shakespeariani, così come il buffonesco patafisico di Jarry o l’espressionismo veemente e allusivo delle figurazioni agit-prop.
Eppure, anche i momenti di maggiore impatto emotivo risultano in questo spettacolo distanziati e raggelati, chiamando in causa la presa di coscienza e l’attività critica dello spettatore, prima che i suoi sentimenti, e ritrovando in questo senso un’attualità affatto originale della lezione epica brechtiana.
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La preparazione dello Sciopero. A Giovanna viene consegnata
la lettera: Stefano Grandi, Tanja Horstmann, Angela Pezzi,
Maria Regosa (foto di Stefano Tedioli) |
Ma in che cosa consiste l’inattualità di questo lavoro? È indubbio che la scena contemporanea stia conoscendo negli ultimi anni un rinnovato interesse per i temi di impegno etico e civile. In particolare nelle forme del teatro dei narratori, che giustamente sono stati definiti i nuovi performer epici. I narratori non dissimulano la loro identità autorale sulla scena, parlando in prima persona allo spettatore-interlocutore di temi sociali e civili, con intento di documentazione e denuncia. Un io epico che, erede della rottura delle forme classiche del dramma, trova nella narrazione la possibilità di raccontare il dramma contemporaneo al di fuori della forma drammatica.
Nel teatro brechtiano la forma del dramma resta, nel tessuto dialogico e nello sviluppo dei quadri scenici, attraverso i quali si dipana una trama assai complessa di vicende e ricca di personaggi, ma la forma drammatica è anche messa in crisi nel momento in cui se ne svelano la convenzione e l’artificialità attraverso il ricorso a mezzi espressivi antinaturalistici, che rompono la quarta parete chiamando in causa costantemente lo spazio-tempo condiviso da attori e spettatori: canzoni, elementi narrativi affidati a cartelli o a brani didascalici, recitazione “straniata” in terza persona.
Di tutti questi elementi lo spettacolo dei Due Mondi dà una lettura fedele e originale al tempo stesso. Fedele in quanto rispettosa dell’impianto “scientifico” del teatro brechtiano, che si propone di indagare i meccanismi della crisi economica svelando come i processi di formazione del profitto ieri (nel 1929) e oggi (in epoca di globalizzazione) siano sostanzialmente simili. Ma è anche una lettura originale, in quanto ritrova i corrispettivi del teatro brechtiano e delle sue intenzioni negli esiti e nelle modalità del lavoro pluridecennale che gli attori della compagnia stanno portando avanti sulla scrittura scenica, la drammaturgia attorica, il canto e i “parlati intonati”.
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Finale. Morte e beatificazione di Santa Giovanna
dei Macelli: Renato Valmori, Angela Pezzi
(foto di Stefano Tedioli) |
Fedeltà al dettato
e attualizzazione
Il lavoro sul grottesco accompagna il Teatro Due Mondi come una sorta di cifra originaria fin dal loro Ubu Re patafisico e pacifista (1988). Le scene corali sono in qualche modo sviluppo delle parate degli spettacoli di strada (Fiesta, Oriente) e così un certo gusto per il simbolismo dei materiali scenici e l’uso narrativo degli oggetti. Le canzoni, tratto fondamentale del teatro brechtiano, caratterizzano da anni anche il lavoro della compagnia, che si è costruita un ricco repertorio di canti popolari e di lotta (del canzoniere anarchico in primo luogo), ma soprattutto ha raggiunto una competenza professionale straordinaria, sotto la guida di Antonella Talamonti (collaboratrice di Giovanna Marini), che per Santa Giovanna ha composto le musiche originali delle canzoni brechtiane e gli adattamenti dei canti anarchici della tradizione.
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Ufficio di Mauler. Pierpont Mauler e Giovanna Dark:
Renato Valmori e Angela Pezzi (foto di Stefano Tedioli) |
Su tutto questo si innesta il lavoro più propriamente riferito alla lettura brechtiana. Sui due paraventi che chiudono la scena, ricordando il profilo di una grande città, a un capo e all’altro del corridoio nel quale si sviluppa l’azione, stretta fra le due gradinate degli spettatori, sono affissi titoli di giornali contemporanei: crack finanziari, nuove povertà, licenziamenti e lavoro precario. Una scelta che ben esemplifica il modo di lavorare del Teatro Due Mondi sul doppio binario della fedeltà al dettato e all’impianto brechtiano e dell’attualizzazione del testo.
In una famosa messa in scena del 1970, Strehler aveva scelto di chiudere la scena a ferro di cavallo fra i portici metallici dei macelli, utilizzando come sottofondo il rumore costante della fabbrica, a significare uno scenario di scannamento totale e continuo operato per il profitto indifferentemente sugli animali e sugli uomini. Nello spettacolo dei Due Mondi lo scenario di fondo si allarga dalla fabbrica e pervade la società, il sistema economico e quello dell’informazione. Gli spettatori seduti ai lati dello spazio scenico sembrano far parte in certi momenti degli operai in sciopero davanti alle fabbriche, in altri momenti degli azionisti della borsa bestiame, o sono comunque testimoni della storia che scorre davanti a loro e che i titoli dei giornali raccontano, tappezzando i profili della città ai due lati e sottraendo alla vista gli scenari reali ai quali l’informazione si sostituisce: i luoghi dove si producono le ricchezze materiali e immateriali (le fabbriche, la borsa) coi loro contraltari di povertà e sfruttamento.
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Chicago, 1929. Il re della carne Pierpont Mauler riceve una lettera
dai suoi amici di Wall Street: Renato Valmori
(foto di Stefano Tedioli) |
Alla fine, gli spettatori sono materialmente sollevati dalle loro panche e disposti al centro dello spazio su file parallele, gli sguardi non si incrociano più, rivolgendosi tutti a uno stesso punto, come in chiesa, come davanti alla televisione, per assistere alla santificazione di Giovanna da parte di chi l’ha resa vittima predestinata del gioco dei grandi poteri. Blandita dalle promesse del padronato, uscita dall’Esercito della Salvezza per stare a fianco degli operai, capace infine di pronunciare un doppio no: ai soldi del ricco Mauler che sanerebbero le finanze del suo gruppo, e alle derive violente delle lotte operaie, si è sottratta al suo compito di staffetta e ha contribuito così a far precipitare gli eventi verso il fallimento dello sciopero generale e verso la sua propria morte per freddo, nel gelo di una nevicata profondamente simbolica.
Statuaria come un’immagine di santa, Giovanna è introdotta su una portantina e issata su un grottesco altare, mentre attorno si leva l’Osanna del coro (“Concedi ricchezza al ricco! Osanna! / Ed anche virtù! Osanna! / Dài a chi ha ! Osanna! Dagli il potere e la città ! Osanna…”) che non riesce però a coprire le ultime parole di Giovanna, santa dei macelli, sacrificata sull’altare del profitto garantito per pochi e della religione buona per tutti:
Perché c’è un abisso tra l’alto e il basso, più grande
di quello che c’è tra l’Himalaia e il mare
e quello che in alto accade
in basso lo si ignora,
e in alto non si sa che cosa avviene in basso…