rivista anarchica
anno 37 n. 327
giugno 2007


canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

 

I figli di domattina
La canzone di lotta portoghese - 1

Somos filhos da madrugada
Pelas praias do mar nos vamos
À procura de quem nos traga
Verde oliva de flor no ramo
Navegamos de vaga em vaga
Não sou bemos de dor nem mágoa
Pelas praias do mar nos vamos
À procura de manhã clara
(Jose Afonso – Canto moço)


Abbiamo già avuto modo di trattare, qualche tempo fa su queste pagine, una delle più eccelse figure della storia della canzone d’autore. Si tratta di Jose Afonso, per antonomasia u Zeca. Artista al crocevia fra molte tradizioni popolari, quali il fado e le musiche di provenienza africana, iniziatore di un nuovo modo di scrivere che avrebbe influenzato tutte le generazioni di cantautori portoghesi, da quella che più immediatamente e accanto a lui combatté la sua stessa battaglia culturale (Adriano Correia de Oliveira, appunto, di cui questo articolo tratta più sotto) a quella che lo seguì e sorse a cavallo della “rivoluzione dei garofani” che il 25 aprile del 1974 mise fine a mezzo secolo di dittatura fascista (Fausto, Jose Mario Branco, Sergio Godinho, Janita Salomé, Vitorino, ecc…), alla generazione ancora successiva, che non è direttamente venuta in contatto con Zeca, ma che è nata nel suo luminoso ricordo (Dulce Pontes, Madredeus).
Zeca fu un grande cantante, raffinato nell’espressione e dotato di una musicalità spontanea che coniugava il mai fatto all’orecchiabile. Poeta e simbolo del libero Portogallo (la sua canzone “Grandola vila morena” fu scelta dalla radio clandestina come segnale dell’inizio della rivoluzione nella notte fra il 24 e il 25 aprile del 1974 ), autore di grande impegno politico e civile, Zeca non fu mai lo sputasentenze che sta lì a spiegarti col ditino alzato il giusto e il meno giusto. Era un uomo generoso, capace di toccare le menti migliori che venivano in contatto col suo lavoro di ricerca e di proposizione, l’elenco dei musicisti che collaborarono ai suoi dischi è impressionante, la sua opera ha aperto – con l’esempio, ma non solo – la strada a una delle più interessanti esperienze musicali del secondo ’900, la canzone Portoghese, un laboratorio in cui voglio farvi entrare per presentarvene i protagonisti, troppo poco noti in Italia.
Zeca Alfonso e Adriano Correia de Oliveira giovanissimi

Adriano Correia de Oliveira

Già accanto a Zeca fin dai primi anni ’60, forse senza giungere al netto rigore di tutta la sua produzione, si ritrovarono alcuni artisti coraggiosi e insostituibili, primo fra tutti Adriano Correia de Oliveira, voce cristallina, sguardo purissimo, animo squassato, che morì a soli quarant’anni incompreso e alcolizzato per la tristezza e il dolore, albatro coi nervi a fior di pelle, i cui dischi fanno sempre correre un brivido per la schiena all’ascoltatore.
Adriano era nato nel 1942 a O Porto in una famiglia tradizionalista e cattolica.
Giunto a Coimbra per compiervi gli studi giuridici (che non terminò mai), si ritrovò ventenne in uno dei momenti di massima tensione storica, ideologica e culturale del movimento che nell’università aveva uno dei punti di forza.
Erano gli anni in cui le guerre coloniali mostravano il loro volto più brutto, gli studenti vivevano con l’incubo di partire; chiunque aveva davanti agli occhi l’esempio concreto di amici, sodali, fratelli maggiori, antichi compagni di giochi infantili, salpati in divisa per tornare, mutilati nel corpo e nelle speranze, o per non tornare affatto.
Oltre a questo i giovani portoghesi si sentivano di appartenere a un popolo ormai tagliato fuori dalla storia, separato dalla caldaia ribollente del mondo, da cinquant’anni di feroce repressione e di ammuffimento culturale…
Il fado, il canto tradizionale degli studenti, con le sue tematiche esistenziali-amorose di dolore e accettazione (pare che fado provenga appunto dalla parola fatum… il che la dice lunga!), pur nei suoi eccelsi esiti poetici e musicali, non poteva assomigliare a questa necessità di rinnovamento, di libertà, di aria pulita.
Il ’62 e il ’63 furono anni di grande mobilitazione e di grandiose manifestazioni vigliaccamente represse, quasi tutti i nostri eroi cantautori – e Adriano fra i primi – in quegli anni conobbero la passione politica e la prigione.
Ma furono anche anni “collettivi”, gli artisti, gli studenti, i rivoluzionari – e tutti lo erano un po’ – vivevano l’uno a casa dell’altro, mangiavano, dormivano, amavano e creavano assieme. Cercavano linguaggi nuovi mischiando fra di loro le arti, questa fu una grande generale intuizione di quegli anni e di questa intuizione Adriano fu un perno fondamentale.
Zeca Afonso certo era stimato, ammirato e riverito, ma, come un fratello maggiore, restava un po’ distante da questo processo di creatività generalizzata, anche per il carattere schivo e l’oggettiva caratteristica del suo enorme talento (egli era altrettanto bravo a scrivere, cantare e comporre) tendeva a tenere il momento compositivo per sé e, solo successivamente, in fase di registrazione o durante l’esibizione, coinvolgeva – e con quanta sapienza! – gli altri artisti.
Adriano fu invece l’indispensabile provocatore, il catalizzatore delle energie, il pungolo attivo. Tutti nel ricordarlo ricordano la dolce irruenza dei suoi mille progetti che spalancavano la porta al suo arrivo.
Adriano si servì sempre delle parole degli altri per le sue canzoni. Scriveva ottime musiche, però non si fermò a quelle e cantò tante belle canzoni popolari o interamente di altri autori, persino qualcuna del “maestro” Zeca.
Prima di ogni altra cosa O Adriano era – e su questo tutti sono d’accordo – una voce:
“La voce di Adriano era allegra e triste. Solidaria e solitaria, c’era dentro tenerezza e dolore, speranza e disperazione, condivisione e abbandono, festa e lotta. E anche nostalgia e fraternità. Nessuna altra voce portoghese, con l’eccezione di Amalia Rodriguez e di Jose Afonso, è così carica di quel non so ché di ancestrale che portiamo nel sangue, come il richiamo del mare e l’amore della terra, come la melodia e il tono del nostro esistere, del suo ritmo segreto, della sua musica primordiale. Voce di Fado e di fato, passaggio dei mori e dei celti che abitano in noi, la voce di Adriano era anche l’avviso di allerta e di battaglia. Era una voce che necessitava di poesia, e della quale la poesia andava in cerca. Perciò l’incontro fu così naturale, come quando per la prima volta poesia e musica, che come si sa sono nate insieme, si incontrarono. Ché miracolo fu quest’incontro? Direi che fu il miracolo della difficile semplicità. Fu così che nacque la poesia: legata alla musica, per essere veicolo di storia e di memoria, per cantare l’amore o per lasciare il segno delle epopee passate e future, per informare e per formare, dare testimonianza e passare il testimonio”.
Sono parole scritte da Manuel Alegre, uno dei grandi poeti portoghesi contemporanei, nel 1994 in occasione della riedizione delle opere complete di Adriano; parole grosse, certo, qualcuno potrebbe pensare perfino esagerate…
Adriano Correia de Oliveira e Manuel Alegre

Quando Manuel Alegre, con cui Adriano aveva già collaborato proficuamente, fu prima messo in prigione e poi costretto all’esilio, il cantante incise le sue poesie in un intero disco tematico, quasi un poema in musica, dal titolo non fraintendibile: “O canto e as armas” che sin dalla copertina denunciava la sua appartenenza a quel poeta proibito.
Mentre un artista impegnato, vento del popolo, veniva separato con un esilio crudele dalla sua vita e dalla sua battaglia, ecco che il cantore lo riportava – con un culto del coraggio che arrivava allo sprezzo della sua stessa incolumità – al centro del fiume.
Era il 1969, ci sono cose che non si dimenticano, ci sono cose che non dimentico.
Il lavoro di Adriano coi poeti non somiglia a quello delle altre grandi voci della poesia di cui ci siamo occupati. Léo Ferré conduceva un solitario dialogo a distanza di anni, a volte di secoli, con i poeti maledetti. Paco Ibanez, nell’esilio parigino, piluccava la letteratura spagnola del siglo de oro e degli autori del ’900, per mantenere un legame morale e linguistico con la cultura fucilata dagli sgherri fascisti di Franco, e anche quando con alcuni di questi poeti s’è ricongiunto (Goytisolo, Alberti) è stato un ricongiungimento a posteriori; similmente a lui fece anche Luis Cilia con la letteratura portoghese. Zeca ha messo molto sporadicamente, ma con i soliti esiti eccelsi, in musica qualche verso di Pessoa e di Luis de Camoes.
Adriano si cacciava, chitarra alla mano, nelle case dei poeti attivi in quel periodo a Lisbona, a Coimbra, a O Porto e li sollecitava a scrivere appositamente, con un’idea dell’arte tutta legata a un momento di impegno diretto, ma anche con l’idea che la canzone di lotta andasse condotta a un altissimo livello: non strofe improvvisate alla bell’e meglio sui fatti, ma la discesa in strada del fiore della lirica contemporanea, una doppia disfida lanciata ai poeti, invitati ad abbandonare la torre d’avorio tipografica, e a sé stesso, per affinare la sua tecnica musicale e di canto in modo da reggere adeguatamente un tale stimolo letterario.
Oltre al già citato “O canto e as armas” mi piace ricordare qui almeno il disco “Que nunca mais”, coi testi interamente e appositamente scritti da Manuel de Fonseca e coi meravigliosi arrangiamenti di uno dei più grandi cantautori portoghesi di sempre, Fausto, è a mio avviso il capolavoro di Adriano, un disco di potenza visionaria, di urticante ironia, di commovente lirismo. La voce di Adriano, forse già minata dall’alcol, incrina qua e là la sua cristallina nettezza, raggiungendo vette d’intensità unica. Concepita e realizzata a cavallo della rivoluzione dei garofani, ma uscita subito dopo, l’opera porta assieme stanchezza e forza e fu giudicata nel ’75 dalla rivista inglese “Music Week” il miglior disco portoghese dell’anno.
Nel processo post-rivoluzionario il comunista Adriano Correia de Oliveira si impegnò a fondo, costituendo – come da antico sogno – una cooperativa di lavoratori dello spettacolo, la Cantabril, per continuare a portare la sua voce dovunque servisse, la maggior parte delle volte senza alcun compenso, infatti finì per morire in miseria.
Nel 1981 proprio un problema legato a un’incredibile rigidità burocratica nella gestione della cooperativa, che non riconobbe ad Adriano i numerosi spettacoli dati gratuitamente pretendendo le intere quote percentuali pattuite, ne decretò l’espulsione votata a maggioranza. La cosa parve talmente enorme che molti artisti (Zeca, Jose Mario Branco) insorsero, alcuni soci (Luis Cilia) abbandonarono per protesta la Cantabril e il giornalista Julio Pinto – che conosceva le precarie condizioni di salute del suo compagno – la definì un assassinio.
Avviene a volte che chi ha sostenuto il peso di repressione, carcere, censura e tutta la violenza di un potere nemico, cada poi senza difese alla prima pugnalata presa alle spalle dai propri stessi compagni.
Gli ultimi due spettacoli dati da Adriano furono in sostegno di uno sciopero e in un incontro scolastico per celebrare la rivoluzione, ancora una volta per pura solidarietà.
Adriano Correia de Oliveira morì il 16 di ottobre del 1982.
Diciotto anni prima, nel 1964, quando la repressione sembrava aver stroncato il movimento e le turbolenze che nei due anni precedenti avevano preoccupato il governo fascista di Salazar, in una riunione del movimento studentesco clandestino Adriano intonò le strofe che, con Manuel Alegre e Antonio Portugal, aveva composto il pomeriggio stesso “Trova do vento que Passa”. La sala esplose, costrinse il cantante a ripetere quattro o cinque volte il canto, poi tutti andarono in strada e intonarono in coro:

Mesmo na noite mais triste
Em tempo de servidão
Há sempre alguém que resiste
Há sempre alguém que diz não.

Anche nella notte più triste
In tempi di schiavitù
C’è sempre qualcuno che resiste
C’è sempre qualcuno che dice no.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it